Bob Dylan vende i suoi master, ovvero il catalogo delle registrazioni, alla Sony Music, compresi “i diritti sulle nuove pubblicazioni”, come ha annunciato la società. Un’intesa stellare: si parla (le cifre non sono state rese note) di 200 milioni di dollari. L’accordo, stipulato a luglio, è rimasto nascosto per mesi. Già a fine 2020 Dylan aveva ceduto alla Universal Music Publishing (rivale di Sony) il copyright sui testi delle sue canzoni per circa 300 milioni di dollari.
Non solo Bob Dylan: chi vende i master
Scelta sorprendente? No, perché a dicembre 2021 anche Bruce Springsteen ha venduto i suoi diritti musicali a Sony Music Entertainment per una cifra da record: si stima 550 milioni di dollari. Bob Dylan e “The Boss” sono solo gli ultimi di una lunga serie: Paul Simon, Tina Turner, Stevie Nicks, Shakira, Neil Young, Red Hot Chili Peppers, David Bowie e molte altre star hanno venduto tutto o parte del loro lavoro a prezzi che hanno raggiunto le centinaia di milioni.
Che cosa succede nel mondo della musica
Gli ultimi due anni sono stati decisamente spumeggianti per la musica: investitori, compagnie musicali e società di private equity – attirate dall’ascesa dello streaming e dalla promessa di aumentare i ricavi musicali in futuro – hanno versato miliardi di dollari nell’acquisto di cataloghi di canzoni.
“Solo nell’ultimo anno, abbiamo effettuato 300 valutazioni per un valore di oltre $ 6,5 miliardi”, ha rivelato a dicembre 2021 al New York Times Barry M. Massarsky, economista specializzato nel calcolo del valore dei cataloghi musicali per conto degli investitori.
Non molto tempo fa, la musica era vista come un business al collasso, a causa di pirateria dilagante e vendite in calo. Oggi non più. Lo streaming e la crescita globale dei servizi in abbonamento come Spotify, Apple Music e YouTube hanno ribaltato le fortune del settore.
Investimenti, la musica è il nuovo mattone
E così nuovi investitori, comprese le società di private equity, hanno versato miliardi di dollari nel mercato, considerando le royalties musicali come una sorta di merce sicura: un investimento con tassi di rendimento prevedibili e rischio relativamente basso, un po’ come il settore del mattone.
Per i principali conglomerati musicali tali accordi servono a consolidare il potere e ottenere una leva negoziale con i servizi di streaming e altre società tecnologiche, come social media e piattaforme di gioco, che spesso fanno accordi per utilizzare la musica.
Per gli artisti, infine, la vendita porta vantaggi fiscali. Le royalty sono in genere tassate come reddito ordinario, mentre le vendite su catalogo possono qualificarsi come plusvalenze, che in genere hanno aliquote inferiori. Non solo: in ottica ereditaria, tra i cespiti di un testamento, i soldi sono molto più facili da dividere.