Ve la ricordate Clubhouse? Sì, forse è già il caso di parlarne al passato, anche se l’app esiste ancora. Lanciato a marzo del 2020, il servizio permette di creare delle stanze (“room”) in cui ospitare discussioni su temi a piacere, moderando il dibattito e invitando gli ospiti. Un sistema esclusivamente audio che ha permesso a tante persone di riunirsi, discutere e scambiarsi opinioni nei mesi più difficili della pandemia.
Il boom pandemico di Clubhouse
Insomma, un’app che ha beneficiato dell’isolamento sociale e dei lockdown, crescendo dal mezzo milione di utenti del novembre 2020 ai 9,8 milioni dello scorso febbraio. In pochi mesi, lo ricorderete, Clubhouse divenne l’app del momento, attirando artisti, attori, imprenditori e persone comuni. Il tutto, sia chiaro, rimanendo disponibile solo su iOS, quindi per utenti Apple.
La versione Android, infatti, è uscita solo lo scorso aprile: troppo tardi, secondo alcuni, anche se il fondatore dell’app Paul Davison si dice fiero di aver sposato “un approccio misurato alla crescita”. Da allora la crescita del servizio si registra perlopiù sul circuito Android, anche se i numeri sono molto più bassi di quelli di pochi mesi fa. Club ha avuto “appena” 900 mila nuovi iscritti lo scorso aprile, per dire.
Da 0 a 4 miliardi di dollari di valore
Il boom di Clubhouse si è accompagnato a un aumento folle del suo valore. Nel maggio 2020 era un servizio su invito disponibile solo a 1500 persone ma veniva già valutata 100 milioni di dollari dal noto fondo a16z (Andreessen Horowitz). A gennaio 2021 il suo valore era salito a un miliardo di dollari. Ad aprile dello stesso anno, un nuovo round di investimenti lo fece schizzare a 4 miliardi di dollari. Josh Felser, investitore tecnologico e uno dei primissimi utenti dell’app, lo aveva detto fin da subito: “O è finita entro luglio oppure è qualcosa di grosso”.
Il futuro di Clubhouse, tra Facebook e Twitter
La verità sembra essere nel mezzo, come sempre. Clubhouse vale davvero 4 miliardi di dollari? Pare proprio di no – ma non temete, a16z è un fondo abbastanza grande da sopravvivere al suo investimento azzardato. Non è solo il post-pandemia a giocare contro l’app, permettendo a tutti di noi di uscire di casa con sicurezza e serenità. C’entra anche la competizione, che nel frattempo ha già realizzato dei “cloni” del servizio: è quello che ha fatto Twitter con “Spaces” e quello che sta architettando Facebook.
L’idea di Clubhouse rimane utile – almeno a qualcuno, in certi casi – ma è facilmente implementabile in una struttura più grande. È forse questo il principale problema dell’app: chissà se fra un anno saremo ancora qui a parlarne – e quanto varrà.