Nonostante gli scetticismi e lo spettro della bolla che da sempre insegue il settore, alla fine Coinbase si è quotata in borsa. È arrivata al cuore di quel mondo finanziario che i teorici del Bitcoin volevano in qualche modo “rottamare”: Wall Street. E, a differenza di altre IPO attesissime, come quella di Deliveroo, è andata molto, molto bene. Nel solo primo giorno di quotazione, Coinbase avrebbe venduto circa cinque miliardi di dollari in azioni, con il CEO Brian Armstrong che è riuscito a piazzarne più di 700 mila (dati: SEC).
Buon per lui, verrebbe da dire. Ma cosa comporta a noi, il resto del mondo, di questa IPO? Coinbase è il servizio di exchange per criptovalute più utilizzato e noto al mondo. Fondato nel 2012, appena tre anni dopo la nascita di Bitcoin, rese facile a tutti comprare e scambiare criptovalute, fino allora ancora piuttosto ostiche per l’utente medio. Per dare un’idea della crescita dell’azienda (e del suo titolo in borsa), basta citare il rapper Nas, che con la sua QueensBridge Venture Partners investì nell’azienda nel 2013 quando valeva 143 milioni di dollari. Mercoledì scorso il titolo ha toccato quota cento miliardi di valutazione.
Oltre che un ottimo investimento, l’affaire Coinbase si sta rivelando un grande evento simbolico. Di Bitcoin e criptovalute varie si parla tanto, spesso concentrandosi sui lati negativi (come quello energetico) e finora l’establishment ha trattato il settore come un qualcosa di anomalo. Pirata. Da quando uno dei suoi exchange più importanti è a Wall Street, dove fa pure la parte del leone, sarà sempre più difficile farlo. Anche per questo sempre più investitori e fondi “istituzionali” investono sul cripto, mentre quello della bolla sembra essere un pericolo sempre più lontano. Sarà vero, o è proprio così che nascono le vere bolle? Lo vedremo: intanto, Coinbase si gode questo bull market.