Si fa presto a dire che l’elettrificazione è la risposta ai nostri problemi. La realtà è più complicata e, purtroppo, un po’ meno green di quello che viene spesso raccontato. In un mondo ideale, infatti, potremmo ricavare buona parte della nostra energia da fonti come il vento e il sole, ma rimarrebbe un punto cruciale: i motori e le batterie, che necessitano di materiali e risorse la cui raccolta e distribuzione è ancora molto problematica. Una recente indagine del Guardian ha messo in fila i principali nodi ambientalisti ed etici della “green economy”, disegnando un quadro piuttosto sconfortante: partiamo dal cobalto, elemento essenziale per la produzione delle batterie elettriche, e dalla Repubblica del Congo, Paese africano dove si trova il 60% dei giacimenti globali della risorsa. E dove migliaia di bambini e ragazzine lavorano come minatori, estraendo cobalto e respirando la polvere tossica che produce, avventurandosi in cunicoli e tunnel pronti al collasso. Un vero buco nero dei diritti dell’uomo, su cui si basa il nostro futuro “pulito”. Non va meglio con il litio, la cui estrazione sta sconvolgendo gli ambienti del “Triangolo del Litio del Sud America”, composto da Cile, Argentina e Bolivia. Per estrarlo, si pompa acqua da falde sotterranee, causando smottamenti e il fenomeno della subsidenza (l’abbassamento del terreno), oltre che accelerando il processo di desertificazione. Infine, il rame, che troviamo in quantità tre volte superiori nelle macchine elettriche rispetto a quelle tradizionali. Risultato? L’interesse globale nei confronti della risorsa – già oggi piuttosto ricercata – è destinato ad “aumentare del 300% entro il 2050”.
(Foto: Coordenação-Geral de Observação da Terra/INPE – Wikimedia)