Tre milioni di alberi entro il 2030, per fronteggiare il cambiamento climatico e rendere Milano più verde e respirabile. Il progetto era davvero ambizioso: quando nel 2018 la giunta Sala presentò “ForestaMi”, le aspettative erano altissime, riassunte nel report “Verso un parco metropolitano” (pdf) con dati entusiasmanti (come quello delle 0,4 tonnellate di CO2 assorbite da un albero adulto in un solo anno). Stefano Boeri, l’archistar del Bosco Verticale, il simbolo della rinascita verde meneghina, era responsabile scientifico dell’iniziativa. Nella Milano post-EXPO, insomma, anche questa impresa sembrava possibile. Peccato che col tempo, ForestaMI sembra aver perso slancio, e non solo per colpa della pandemia. Dopo i primi annunci trionfali, infatti, il progetto ha cominciato una lenta ma inesorabile mutazione: prima di tutto, gli alberi sono diventati discretamente “piante”, una parola generica in grado di includere anche arbusti e cespugli. Poi il progetto è stato ripensato: milioni di piante, sì, di cui centomila alberi. Meglio che niente, si potrà dire. Ma gli aggiustamenti non finiscono qui, perché l’area di interesse dell’operazione si è col tempo allargata, arrivando a includere la città metropolitana di Milano: una zona dieci volte più grande del Comune, in cui l’effetto benefico della “riforestazione” sarà ovviamente attenuato. Non sono bastate queste novità a mitigare l’entusiasmo, che ha portato ai primi sponsor privati, mentre le parole “alberi” e “piante” continuavano a essere scambiate per sinonimi, generando una confusione che regna ancora oggi. Alla fine è stato Piero Pelizzaro, il Chief Resilience Officer comunale (una carica voluta dal Sindaco e prevista da meno di cento città in tutto il mondo) a dare l’ultimo colpo a ForestaMi, in un’intervista rilasciata alla rivista Valori in cui troviamo il concetto di “piante equivalenti”. In che senso equivalenti? “Nel senso che ci interessa di più come e dove piantumiamo queste piante, che il loro numero. Perché a noi interessa piantumare lungo le strade, nelle aiuole, laddove cioè si formano le isole di calore”. La logica è la seguente: se l’obiettivo è diminuire la temperatura facendo ombra, è meglio piantare cento piante in una zona urbana che mille piante in un zona già piuttosto verde: un ragionamento può anche avere senso ma è la retorica a infastidire e risultare furbetta. Anche perché, nel piano presentato lo scorso ottobre, ritroviamo il solito qui pro quo: i titoli di giornale parlano di milioni di alberi; i documenti, di “piante”. Nel mondo delle piante equivalenti, tutto può succedere. |