Che cos’è la Gig Economy? Perché divide tanto l’opinione pubblica, tra chi la demonizza e chi ne è entusiasta fruitore o addirittura protagonista? Come mai è diventato un tema emergente nel dibattito non solo economico e sindacale, ma anche politico? Scopriamo di più su un fenomeno economico che sta crescendo a velocità esponenziale e che rischia di esplodere in questo momento di post pandemia.
Gig Economy: cos’è e come nasce
La Gig economy è un fenomeno relativamente nuovo, ma che è cresciuto e si è strutturato con una velocità impressionante negli ultimi 10 anni.
Il termine ‘gig’ era usato a inizio del ‘900 nel mondo dei musicisti jazz per indicare, in gergo, l’ingaggio per una sera. Gig è dunque una storpiatura del termine engagement ed è una parola diventata oggi famigliare.
Per gig economy dunque, si intende l’economia prodotta dallo scambio di prestazioni lavorative di autonomi che mettono a disposizione di aziende e private i loro servizi, quando hanno tempo e quando vogliono, senza vincoli, né dall’una, né dall’altra parte. La caratteristica della Gig economy è che, a fare da tramite tra lavoratori e compratori di lavoro, a farli incontrare, sono piattaforme online, siti web o app.
La gig economy è dunque una parcellizzazione del lavoro, trovato tramite strumenti tecnologici che fungono da intermediari. Un fenomeno, che è cresciuto così velocemente, proprio perché legato allo sviluppo, velocissimo delle possibilità del digitale. E non solo.
Un altro motivo della crescita esponenziale della gig economy, è anche il cambiamento che in questi dieci e più anni ha subito, e continua a subire il mercato del lavoro, che per alcuni versi è sempre più globalizzato, per altri sempre più parcellizzato. Una crescita che si è andata ad inserire perfettamente in un periodo di crisi, con le aziende che già da tempo tendevano a tagliare costi, anche occupazionali, e a delegare a professionisti o ditte esterne, alcuni servizi.
La gig economy ha semplicemente abbattuto ogni costo per alcuni tipi di servizi, realizzando, attraverso l’algoritmo una razionalizzazione del mercato inconcepibile finora, ma anche del tutto indifferente a molti dei fattori che vengono presi in genere in considerazione in un rapporto di lavoro, tra committente e lavoratore veramente autonomo.
Gig economy: un tema caldissimo
La prima volta che il termine Gig Economy è entrato con una certa importanza nel dibattito politico, è stato nel 2015, quando Hillary Clinton, durante la sua campagna ha posto il tema delle tutele dei nuovi lavoratori delle piattaforme online.
Da quel momento in poi, con la crescita del fenomeno, il problema ha interessato sempre più persone e ora è diventato un nodo da sciogliere in moltissimi paesi. Complice anche la crisi, quella che era nata come “un’economia dei lavoretti“, che molte persone usavano per arrotondare, è diventata con il tempo, soprattutto per alcune fasce anagrafiche e sociale, un’alternativa alla disoccupazione. Ed è qui che sono nati i problemi.
Gig Economy, un settore da regolamentare
Perché si è andata a creare una sempre più larga zona grigia in cui i lavoratori sono formalmente autonomi, ma di fatto non hanno l’indipendenza economica e la forza contrattuale che contraddistingue un lavoro autonomo, che in genere sceglie tariffe e clienti.
Un’inchiesta a Milano l’anno scorso, ad esempio, ha commissariato Uber Eats per caporalato. I riders, che sebbene autonomi, non potevano decidere le loro tariffe e lavoravano per 3€ l’ora, secondo gli inquirenti venivano addirittura spiati per essere sicuri che non perdessero tempo tra una consegna e l’altra.
Più di recente, nel Regno Unito, dove la gig economy coinvolge 5,5 milioni di persone, una sentenza della Corte Suprema di Londra ha stabilito, dopo un iter giudiziario lungo cinque anni, che Uber deve considerare i suoi autisti come dipendenti, e non come lavoratori autonomi e inquadrarli di conseguenza.
Gig Economy: pro e contro
In un contesto in cui il ‘lavoretto’ è sempre meno scelta e sempre più necessità, il fatto di tenere il rapporto lavorativo come autonomo, pur pretendendo di imporre tariffe e controllare prestazioni, nasconde semplicemente l’abbattimento dei costi, anzi, del costo, quello del lavoro, azzerando le tutele e gli oneri contributivi.
Questo è ovviamente un grandissimo vantaggio competitivo per la piattaforma, in grado di offrire un servizio al cliente finale infinitamente meno costoso, rispetto a quello che potrebbe mai offrire un imprenditori con dei dipendenti o anche un vero lavoratore autonomo.
Il tutto, rivestito però da una patina ‘smart’, perché, vista dalla parte del consumatore, di vantaggi, dalla gig economy, ce ne sono eccome.
La tecnologia ha di fatto reso, proprio perché più economici, anche più accessibili diversi servizi. E questo viene salutato come una sorta di perfezionamento del mercato.
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C’è un quindi un’altra questione importante legata alla gig economy.
Da più parti si invoca la necessità di regolamentazione di un mercato cresciuto alla velocità della luce, non solo legandola alla questione della tutela dei lavoratori, ma anche a quella degli imprenditori, e dei lavoratori autonomi dello stesso settore,
costretti a subire una concorrenza contro cui non hanno armi. Pensando alla gig economy ci vengono subito in mente i riders delle piattaforme di delivery, o gli autisiti di Uber. Eppure, con il tempo, la gig economy si è allargata a molti altri campi.
Effetti indiretti della gig economy
Sono spuntate come funghi piattaforme in cui i freelance possono offrire i loro servizi a chi li sta cercando. Dal fotografo al web designer, passando per il grafico o il traduttore. Ma quello che si trova sulle piattaforme è spesso lavoro sottopagato, con un range di tariffe bassissime, stabilito quasi sempre dalla piattaforma, che può così vendere servizi a prezzi imbattibili.
Un sistema che non danneggia solo chi lo accetta svendendo le sue prestazioni, ma indirettamente, tutti gli operatori di quel determinato settore.