Perché questo articolo ti può interessare? Se hai mai pensato “ma se scompare l’orso polare, a me cosa cambia?”, in questa intervista il naturalista del WWF Italia Marco Antonelli spiega quali sono i rischi (per tutti) legati all’estinzione delle specie e al calo della biodiversità. E, anche, che cosa possiamo fare a riguardo nel nostro piccolo
La perdita di biodiversità e il declino degli ecosistemi nel mondo hanno raggiunto le dimensioni della catastrofe. Scorrere la lista delle cose che abbiamo già perso, e di quelle che stiamo probabilmente per perdere, è inquietante. Abbiamo perso, ad esempio, più del 50% delle barriere coralline. Almeno il 20% della foresta amazzonica. Più dell’80% delle foreste atlantiche. E poi ci sono gli animali. Dall’inizio del XVI secolo a oggi almeno 680 vertebrati, dal dodo al lupo di Sicilia, e almeno il 9% di tutte le specie di mammiferi allevati per l’alimentazione o l’agricoltura sono state portate all’estinzione. Chi è rimasto non se la passa meglio. Secondo l’ultimo rapporto Ipbes, Piattaforma intergovernativa di politica scientifica sulla biodiversità e i servizi ecosistemici , il tasso di estinzione si sta velocizzando: circa un milione di specie, cioè un quarto di quelle conosciute, sono attualmente a rischio di sopravvivenza. Di queste, la metà potrebbe sparire definitivamente entro la fine di questo secolo.
A sottolineare la gravità della situazione è anche il recente report del WWF sulla biodiversità. «Gli scienziati calcolano che l’impatto del genere umano su tutte le altre forme di vita sia arrivato ad accelerare tra le cento e le mille volte il tasso di estinzione naturale delle specie, avviando la sesta estinzione di massa», riporta il documento pubblicato lo scorso 12 maggio. Del significato, delle cause e delle conseguenze di questa situazione parliamo con Marco Antonelli, naturalista del WWF Italia.
Il report del WWF, ma non solo, dice che stiamo vivendo la sesta estinzione di massa. Cosa significa esattamente?
Significa che valutando le popolazioni di vegetali e animali, soprattutto negli ultimi cinquant’anni, si nota un calo decisamente preoccupante e superiore alle percentuali considerate naturali. Vale a dire: comparando i tassi di estinzione di oggi con quelli che dovrebbero essere i tassi di estinzione naturali, cioè dovuti alle normali variazioni ambientali e climatiche, oggi siamo tra le cento e le mille volte più veloci. Questo ci fa pensare di essere in una nuova estinzione di massa, la prima causata da fattori non naturali, ma dall’essere umano. Le altre cinque estinzioni di massa (la più famosa, ma non la prima, è quella Mesozoico, che ha dato il via alla scomparsa di quelli che chiamiamo dinosauri) hanno avuto invece, per dirlo con parole semplici, delle cause astronomiche
C’è l’impressione che la maggior parte delle persone fatichi a percepire il collegamento tra la perdita di biodiversità e l’estinzione di una specie, e le conseguenze che poi toccano tutti noi direttamente. Proviamo a spiegarlo: se perdiamo biodiversità, cosa perdiamo davvero?
Perdiamo dei tasselli fondamentali per il corretto funzionamento di quello che ci circonda. Dobbiamo immaginare la natura come un mosaico. Se cominciamo a levare una tessera, forse non succede nulla. Se ne leviamo due, tre, cinque o dieci, potrebbe crollare tutto. Sembra un discorso puramente teorico, ma è realtà: gli equilibri dell’ecosistema derivano veramente dai ruoli che ogni specie animale e vegetale svolge. Perdiamo i servizi ecosistemici, cioè i servizi che la natura ci dà gratuitamente. Facciamo un esempio, semplificando. Con la siccità abbiamo sempre meno acqua, quindi creiamo dei nuovi bacini: un intervento che comporta una spesa economica, la modificazione degli habitat, nuova cementificazione… In realtà basterebbe gestire in maniera naturale fiumi, alberi e bacini lacustri per far sì che ci siano delle riserve di acqua tutto l’anno, perché la natura ha già dei suoi meccanismi per garantirle. Questi meccanismi possono essere portati avanti da alcune specie che noi, però, abbiamo fatto estinguere o quasi. Il castoro da solo, ad esempio, riesce a creare dei bacini che favoriscono la biodiversità, aumentano le riserve idriche e facilitano la presenza di acqua anche in stagioni particolarmente siccitose
In questa sesta estinzione di massa, come diceva, per la prima volta la causa è l’impatto dell’essere umano, sia diretto sia indiretto. Ad esempio?
Una delle cause della perdita di biodiversità oggi ritenute primarie è il cambiamento di uso del suolo. Gli habitat naturali – foreste, praterie primarie, eccetera – stanno lasciando spazio ad agricoltura intensiva, cementificazione e urbanizzazione. Ovviamente questo comporta da un lato la scomparsa degli habitat naturali, dall’altro la scomparsa delle specie che li vivono. Poi c’è il sovrasfruttamento delle specie: ad esempio, la pesca intensiva che sta depauperando i nostri mari. Pensiamo anche al cambiamento climatico, che è causato dalle nostre emissioni di gas serra nell’atmosfera. Questi gas serra aumentano le temperature medie e cambiano il regime delle precipitazioni: anche questo va a influire sulla qualità degli habitat naturali. Poi ci sono le specie aliene invasive, cioè le specie introdotte dall’uomo fuori dai loro areali di distribuzione naturali e che vanno a competere con le specie già presenti in loco. Sembra una cosa da niente, ma in realtà è una delle cause di estinzione più gravi in alcune aree della terra, soprattutto nelle acque dolci
Quelle che cita sono dinamiche complesse, che si sviluppano su archi temporali ampi e che sembrano per certi versi inarrestabili. Dunque, le chiedo: questa accelerazione del tasso di estinzione secondo lei può essere frenato? Si può ancora invertire la tendenza?
Sicuramente il tempo sta per scadere, perché i dati che emergono dagli studi sono drammatici. Per fare un esempio, dagli anni Settanta a oggi circa il 68-70% delle specie di vertebrati studiati stanno subendo un calo. Questo dovrebbe essere sufficiente a farci capire che bisogna agire ora. È necessario invertire il trend, mettere un freno. Per farlo si parte dalle nostre scelte quotidiane e dai nostri stili di vita e si arriva molto più in alto, alle scelte politiche internazionali. Ci sono tanti aspetti che a livello globale devono cambiare: le emissioni di CO2, le politiche industriali, le fonti energia utilizzate…
Il report del WWF sottolinea la necessità di attivare la società civile. Individualmente possiamo agire prima di tutto con il voto, partecipando quindi alla vita politica del Paese. Ma poi?
Come dice, innanzitutto possiamo cercare di indirizzare le nostre scelte verso una politica più sensibile a certe tematiche. È fondamentale: se non cambiano le cose in alto, non possiamo cambiarle in basso. Possiamo però adottare scelte di vita più sostenibili anche nel nostro piccolo. Puntare sui pannelli solari o comunque su forme di energia pulita. Privilegiare mezzi di locomozione che non usino combustibili fossili. Variare la nostra dieta, anche, virando verso abitudini alimentari vegetariane, sostenibili e a chilometro zero. Con i nostri comportamenti quotidiani possiamo finanziare o meno dei sistemi più o meno sostenibili
Concentriamoci sull’Italia: qual è lo stato della biodiversità nel nostro Paese e cosa si sta facendo per tutelarla?
L’Italia è il Paese con la più alta biodiversità d’Europa. Ospita la metà delle specie vegetali d’Europa e un terzo di quelle animali, che sono circa sessantamila. Nonostante questo, gli studi dimostrano che gran parte di queste specie sono a rischio. Il 30% delle specie di vertebrati – quindi pesci, anfibi, mammiferi, uccelli – sono minacciate e lo stesso vale per una specie su quattro di quelle presenti nel Mediterraneo e per il 70% degli habitat naturali. L’Italia ha una posizione strategica dal punto di vista geografico: lega l’Europa e l’Africa, i Balcani e la penisola Iberica. Ricevendo influssi da tutte queste regioni, è veramente un hotspot di biodiversità, che però negli ultimi secoli non è stata gestita bene. Quello che va fatto è innanzitutto avere dei dati sempre più aggiornati per vedere se le politiche di conservazione stanno avendo effetti. Poi ovviamente bisogna anche applicarle, queste politiche di conservazione, e non lasciarle solo sulla carta. Ad esempio, entro il 2030 dobbiamo portare al 30% la percentuale di territorio protetto in Italia. Oggi siamo al 22% di aree terrestri, poi c’è un 15% di aree marine. Dobbiamo quindi aumentare i parchi nazionali, le riserve e le aree protette in senso più ampio possibile.