Perche questo articolo dovrebbe interessarti? Il consumo di suolo in Italia è in continua crescita. Colpa (anche) della mancanza di una legge nazionale. Perdere suolo significa perdere pure servizi ecosistemici, con un costo di otto miliardi all’anno. E nelle città ormai si registrano sino a sette gradi in più rispetto alle aree naturali La soluzione? Non è piantare qualche albero, ma sviluppare vere politiche di rigenerazione urbana
Da decenni associamo la nostra idea di sviluppo all’espansione edilizia. Dimentichiamo costantemente che il suolo è vivo ed è un bene comune. Il risultato? Abbiamo costruito troppo e, spesso, male. E continuiamo a farlo. Secondo il report dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) nel 2021, anno a cui risalgono gli ultimi dati disponibili, il consumo di suolo in Italia è tornato a crescere con una media di 19 ettari al giorno. È il valore più alto del decennio. In soli dodici mesi abbiamo sfiorato i 70 chilometri quadrati di nuove coperture artificiali.
Consumo di suolo in Italia: è quasi il doppio della media europea
“In Italia abbiamo una superficie artificiale che ormai copre il 7,13% del territorio. È quasi il doppio della media europea”, commenta Michele Munafò, dirigente Ispra e responsabile del Rapporto sul consumo di suolo. “È un valore preoccupante per due motivi. Il primo, perché l’Italia ha poco territorio utilizzabile. È lunga e stretta e solo un quarto delle sue aeree sono pianura, mentre il resto è tutto collina o montagna. Questo 7,13% quindi si concentra in una piccola parte del territorio. Il secondo motivo è che l’Italia è un Paese fragile, come le cronache purtroppo ci ricordano spesso. Ci sono problemi legati a dissesto idrogeologico, frane, alluvioni, rischio sismico… Siamo un Paese in cui avremmo dovuto costruire meno e meglio, non male e tanto come abbiamo fatto. E come continuiamo a fare”.
Nel 2021 la regione più virtuosa è stata la Valle d’Aosta, che ha comunque aggiunto più di dieci ettari alla sua superficie consumata. Gli incrementi maggiori sono avvenuti invece in Lombardia (883 ettari in più), Veneto (684 ettari), Emilia-Romagna (658), Piemonte (630) e Puglia (499).
Le ragioni dell’iper-cementificazione italiana
Cosa ha portato l’Italia a un consumo di suolo così elevato, anche pensando al confronto con la media europea? Ci sono diversi fattori da prendere in considerazione. Tanto per cominciare, sebbene se ne sia discusso varie volte nel corso degli anni non esiste una legge nazionale sul consumo di suolo. Un altro elemento centrale è la scarsa efficacia della pianificazione del governo del territorio.
“C’è un’elevata frammentazione in piccoli Comuni, ciascuno con le proprie competenze”, spiega Munafò. “Molti strumenti urbanistici sono superati e seguono dinamiche irrealistiche, ad esempio previsioni demografiche non veritiere. Anche quando queste pianificazioni sono ben realizzate, spesso non vengono seguite: ci sono fenomeni di abusivismo, trasformazioni in deroga a strumenti urbanistici… Questo ha portato anche a una dispersione insediativa molto forte. Nel Nord Europa, per esempio, si vede chiaramente quando finisce l’area urbana e quando inizia la campagna. Per noi è difficile trovare questo confine”.
Il suolo che abbiamo perso ci costa otto miliardi all’anno
Nella nuova Strategia per il suolo per il 2030 l’Unione europea ribadisce l’importanza di arrestare il consumo e il degrado del suolo. Invece di migliorare, però, la situazione italiana peggiora. Con più di un effetto negativo, ovvero quelli che la Commissione europea stessa chiama costi nascosti. Un suolo non edificato o agricolo garantisce infatti dei servizi ecosistemici: ci fornisce da mangiare, rallenta i fenomeni erosivi, mitiga il dissesto idrogeologico, riduce l’inquinamento, raffresca l’aria e non trattiene l’acqua ma, anzi, la lascia filtrare. Quest’ultimo aspetto è particolarmente attuale: il terreno è come una spugna e l’acqua che vi penetra alimenta le falde sotterranee, risorse idriche preziose che la siccità del 2021 ha mandato in crisi e che le piogge cadute fino a oggi non sono ancora riuscite a rigenerare totalmente.
L’asfalto impermeabile invece impedisce al terreno di assorbire l’acqua, che dunque scorre in superficie, e rende le città più vulnerabili agli eventi climatici estremi. Perdere i servizi ecosistemici del suolo non edificato, comunque, ha un costo ambientale ed economico che nessuno inserisce nel bilancio di un nuovo progetto edilizio. “Considerando il consumo di suolo tra il 2006 e il 2021, abbiamo stimato che oggi paghiamo circa otto miliardi di euro all’anno di costi nascosti, ovvero legati alla perdita di servizi ecosistemici. Ci sono poi costi non quantificabili, che riguardano ad esempio la qualità della vita delle persone”, dice Munafò.
Il problema delle isole di calore urbane
Nel 2021 oltre il 70% delle trasformazioni nazionali si è concentrata nelle aree cittadine, dove si condensano in modo particolare gli effetti sociali, sanitari ed economici del riscaldamento globale. “Il noto fenomeno delle isole di calore è una delle conseguenze del consumo di suolo, perché le aree in cui la vegetazione è meno presente sono sempre più calde”, spiega l’esperto. “Quando sostituiamo un’area naturale o permeabile con una artificiale, quindi, la temperatura tende a crescere molto. Mediamente a livello nazionale nel periodo estivo abbiamo una differenza di temperatura registrata al suolo di sette gradi tra aree completamente costruite e aree completamente naturali. Ovviamente c’è una certa gradualità: fortunatamente non tutte le aree urbane sono totalmente sigillate e qui la differenza di temperatura può essere di uno o due gradi”.
Roma si conferma la città italiana che consuma più suolo di tutte le altre: solo nel 2021 ha perso altri 95 ettari. Guardando ai capoluoghi di regione, seguono in classifica Venezia (che in dodici mesi ha perso 24 ettari di terraferma), Milano (19), Napoli (18), Perugia (13) e L’Aquila (12). L’idea che per cambiare le cose sia sufficiente piantare qualche albero, magari presentando l’intervento come compensazione alla realizzazione di una grande opera, non ha senso. È necessario invece frenare davvero l’ulteriore sottrazione di territorio e, allo stesso tempo, rinverdire le città e migliorare la qualità delle aeree verdi già esistenti. “In questo, il ruolo di tutti i cittadini è importantissimo: sono loro il vero presidio sul territorio”.
Il futuro è la rigenerazione urbana
L’altra via da seguire è questa: recuperare, rigenerare e riutilizzare ciò che abbiamo già costruito. Nel 2021 gli edifici esistenti non usati e degradati occupavano una superficie di oltre 310 chilometri quadrati: un’estensione pari a quella di Milano e Napoli. “Molti manufatti sono in stato di degrado e abbandono. Dovremmo portare l’attenzione proprio su queste aree, dove dovremmo prioritariamente insediare nuove attività, residenze e infrastrutture”, commenta Munafò. Il punto è perfettamente calzante anche se si parla di energie rinnovabili, nello specifico del fotovoltaico. In Italia il più recente consumo di suolo è dovuto infatti soprattutto agli edifici (nel 2021 più di mille ettari di aree agricole sono stati destinati a nuovi fabbricati), alle infrastrutture (circa un terzo dell’attuale consumo di suolo) e al settore della logistica (che nel 2021 ha sottratto più di 300 ettari), ma una parte ha a che fare con l’istallazione del fotovoltaico a terra, che copre circa 17.500 ettari.
“La nostra opinione è che i due obiettivi – la tutela del suolo da un lato, la decarbonizzazione e la spinta sulle rinnovabili dall’altra – non siano in conflitto”, chiarisce Munafò. “Però anche in questo caso dovremmo privilegiare le installazioni sugli edifici esistenti: coprire quindi infrastrutture, parcheggi, eccetera”. Il punto resta è sempre lo stesso: piuttosto che consumare nuovo suolo, dovremmo concentrarci su quello che abbiamo già edificato. È il cuore della cosiddetta rigenerazione urbana – o rigenerazione e basta, se vogliamo allargarci oltre i confini delle città. Concetto familiare nel Centro e nel Nord Europa da almeno un trentennio, in Italia è una novità degli ultimi anni. “Se ne sta finalmente parlando, meglio tardi che mai, ma non c’è ancora un indirizzo chiaro”, commenta l’esperto. “Ci sono state alcune esperienze singole importanti, ma la rigenerazione urbana dovrebbe essere la chiave per rendere di nuovo vivibili le nostre città, per adattarle ai cambiamenti climatici e per renderle più sostenibili”.