Perché questo articolo può interessarti: a novembre 2022, durante Cop27, è stata presa la storica decisione di istituire un fondo Loss and Damage, cioè un fondo per riparare i danni e le perdite connessi alla crisi climatica. Le tempistiche per rendere il fondo operativo sono strettissime: la volontà politica è forte e si stanno facendo passi avanti, ma restano diversi nodi ancora da sciogliere.
L’attuale strategia globale di contrasto alla crisi climatica si regge su tre pilastri. Il primo è la mitigazione. Per quanto ancora possibile, bisogna limitare le conseguenze negative del cambiamento climatico, ad esempio riducendo le emissioni e favorendo la diffusione delle energie rinnovabili. Il secondo è l’adattamento.
Bisogna investire oggi per essere pronti a reagire domani ai probabili eventi estremi connessi ai cambiamenti del clima, dalla siccità alle alluvioni. Il terzo è la riparazione dei danni e delle perdite. Bisogna supportare economicamente i Paesi vulnerabili che, pur non avendo contribuito per nulla o quasi all’attuale crisi climatica e all’aumento delle emissioni, ne stanno pagando il prezzo più alto.
Se i primi due pilastri sono già da tempo parte del discorso pubblico e oggetto di investimenti, il terzo è una novità relativamente recente e ancora discussa. O meglio, il tema dei danni e delle perdite (Loss and Damage) è da anni sui tavoli tecnici, ma è diventato centrale solo nel novembre 2022 alla Cop27 di Sharm el-Sheikh, in Egitto. Durante la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici dell’anno scorso, infatti, è stata presa la storica decisione di istituire un meccanismo di Loss and Damage.
Loss and Damage: cosa vuol dire e a cosa serve
L’idea alla base della decisione è questa. Alcune conseguenze della crisi climatica non sono più evitabili. Sono realtà, sono quotidianità, sono presente e futuro. Sono conseguenze talvolta improvvise e drammatiche, come le alluvioni, e altre volte a lenta insorgenza, come lo scioglimento dei ghiacciai e la perdita di biodiversità. L’impatto di questi eventi è devastante e sta colpendo Paesi del mondo in via di sviluppo e che storicamente non hanno causato, come hanno fatto invece i Paesi industrializzati, l’aumento delle emissioni e delle temperature globali. Questi Paesi più vulnerabili dovrebbero dunque essere coinvolti in un meccanismo di risarcimento dei danni climatici.
La creazione del fondo Loss and Damage in chiusura di Cop27 è stato un passo importante in questa direzione, comprensibilmente celebrato con entusiasmo. L’obiettivo è rendere operativo il fondo a Cop28, che si terrà tra novembre e dicembre 2023 a Dubai. Mancano pochi mesi, dunque, ma i nodi ancora da sciogliere sono diversi. “Questa tempistica molto stretta ha generato sicuramente un po’ di scetticismo”, commenta Jacopo Bencini, Policy Advisor Italian Climate Network. “I lavori però stanno andando avanti”.
Loss and Damage: a che punto siamo?
A gestire i lavori per costruire il fondo Loss and Damage è un Comitato di transizione che, come stabilito a Cop27, è composto da 24 esperti, di cui 14 nominati dai Paesi del Sud del mondo. Il Comitato si è riunito per la prima volta tra il 27 e il 29 marzo. Mentre il primo workshop vero e proprio è stato il 29 e il 30 aprile. Già in questi primi incontri è stata tracciata la direzione da seguire. Anche se rimangono chiaramente diverse questioni nebulose. Inoltre, nulla è scolpito nella pietra: le bozze potrebbero essere modificate nel corso dell’anno, prima di Cop28.
Stando alle informazioni messe per ora nero su bianco, sappiamo che il fondo Loss and Damage “sarà tendenzialmente un fondo aperto a cui potranno collaborare anche gli attori privati. È previsto un board internazionale che dovrebbe corrispondere ai 24 esperti, di cui 14 del Sud Globale, del Comitato di transizione attuale. Mi pare strano che questo punto possa procedere così com’è, però a oggi è presente nelle bozze”, spiega Bencini.
“In nessuno caso sono previste riparazioni bilaterali tra Paese colpito e Paese responsabile. Invece, durante l’anno si terranno aperte delle linee di granting e ogni Paese, attore subnazionale o attore privato – questo punto è ancora molto nebuloso – potrà fare domanda per ricevere questi fondi a fondo perduto”.
La responsabilità è estesa a tutti i Paesi
Una prima domanda sorge spontanea: quali Paesi dovranno contribuire a finanziare il meccanismo del Loss and Damage? “Tendenzialmente il fondo sarà aperto a tutti”, dice Bencini. “Non siamo più nell’ottica in cui solo i Paesi ricchi hanno delle responsabilità. Anzi, il fondo è stato creato sotto l’Accordo di Parigi: ciò vuol dire che è costruito con un nuovo approccio “dal basso”, che coinvolge tutti. Il concetto di responsabilità è allargato a tutti i Paesi; altrimenti qualche nazione che è ancora considerata in via di sviluppo ma che è comunque campione di emissioni, come la Cina o l’India, potrebbe non contribuire: questo non deve succedere”.
Non è previsto un meccanismo sanzionatorio, o qualcosa di simile, per scoraggiare i Paesi che dovessero sottrarsi alla responsabilità di contribuire al fondo Loss and Damage. “In questo tipo di contesti l’unica ‘arma sanzionatoria’, per così dire, è salvare la faccia”, spiega Bencini. “I grandi Paesi con responsabilità, e possibilmente non guidati da negazionisti climatici, sicuramente contribuiranno al fondo. Non facendolo, potrebbero perdere la faccia nei negoziati”.
Non è un rischio da sottovalutare, come si è visto anche da Cop27 in poi. Spiega Bencini: “Lo scorso anno gli Stati Uniti sono usciti da Cop27 completamente isolati sul tema clima e si tratta di dinamiche geopolitiche assolutamente non banali in questo momento. È evidente che gli Stati Uniti dovranno avere una parte nella storia del fondo su perdite e danni, anche se per loro è un tema tabù che speravano non emergesse”.
“Molti Paesi europei si sono spinti avanti in questo senso. Facendo però delle promesse di finanziamento nel contesto di schemi assicurativi”. A Cop27 la Germania aveva proposto il Global shield against climate risks. Uno “scudo globale” il cui funzionamento si basava anche su assicurazioni contro eventi estremi e prestiti delle banche multilaterali di sviluppo da erogare alle comunità bisognose in seguito a un’emergenza connessa alla crisi climatica. “È qualcosa di molto diverso dal fondo Loss and Damage: vedremo come questa finanza sarà eventualmente riorientata”, commenta Bencini.
I punti ancora da chiarire
“I Paesi che beneficeranno del fondo Loss and Damage, e questo lo si è detto chiaramente nella decisione finale di Cop27, saranno i most vulnerable countries, i Paesi più vulnerabili”, prosegue Bencini. Non è ancora possibile dire quali siano questi Paesi esattamente, però. Esistono delle classifiche redatte da gruppi di ricerca o nell’ambito di pubblicazioni scientifiche. Ma al momento non c’è una lista ufficiale. “Bisognerà vedere in termini di tassonomia chi potranno effettivamente essere questi Paesi ricevitori”.
Un altro aspetto per ora oscuro, ma evidentemente non di secondaria importanza, riguarda le modalità attraverso cui sarà possibile riconoscere, quantificare e definire un danno correlato alla crisi climatica. “È un punto che manca ancora totalmente. E credo sia il tema centrale della vicenda”, dice Bencini. Anche il ruolo del settore privato sarà ulteriormente chiarito negli incontri e nei workshop da qui a Cop28. “Nelle bozze che si stanno vedendo girare al momento si nota un’attenzione alla partecipazione del settore privato. Lo dico con grande neutralità. Da un lato il proposito è di mobilitare tanta finanza privata nel contribuire a questo fondo. Dall’altro lato se gli attori privati, anche piccoli e locali, potranno accedere al fondo, viene da chiedersi se questo avrà delle implicazioni su aziende grandi o multinazionali. È ancora abbastanza nebuloso”.
La posizione dell’Italia
L’Italia come si sta muovendo, invece? Risponde Bencini: “La posizione italiana su cosa sarà il fondo e su quale potrebbe essere un eventuale contributo, in questo momento, da quello che sappiamo, non è stata ancora definita. Il Governo Meloni, ma era in realtà una cosa già messa in piedi precedentemente dal Governo Draghi, lo scorso anno a Cop27 ha lanciato il Fondo italiano per il clima: 4,2 miliardi su 5 anni, che però non andranno ai most vulnerable countries, ma seguiranno le priorità della cooperazione italiana. Sono fondi su mitigazione e adattamento destinati ai Paesi target della Farnesina, insomma. C’è un po’ di scollamento da questo punto di vista, quindi, ma siamo fiduciosi che il Governo si allinei a quella che dovrebbe essere la nuova tendenza”.
Tutto pronto entro Cop28: una tempistica possibile?
Mancano circa sei mesi a Cop28: arrivare all’appuntamento internazionale con qualcosa tra le mani e rendere operativo il fondo entro il 2024, come era stato annunciato, è davvero realistico? “Chiunque nel mondo della finanza internazionale abbia mai lavorato alla costruzione di un fondo multilaterale, dice che la tempistica è impossibile. Non è mai stato costruito un fondo di questo tipo in così pochi mesi. La volontà politica però è fortissima”, chiarisce Bencini.
“Io vedo due scenari. Il primo: a Cop28 è presa una decisione su uno scheletro di base di quello che potrebbe essere il fondo, per poi renderlo operativo più in là durante il 2024 e chiudere il cerchio a Cop29. Il secondo: i Paesi prendono una decisione del tutto politica lanciando un fondo sostanzialmente monco, ovvero ancora manchevole di alcune definizioni fondamentali rispetto a una futura operatività. Queste definizioni andrebbero poi trovate in seguito. Forse la “fretta politica” potrebbe anticipare il lancio del fondo. Che però così partirebbe quasi sicuramente incompleto”.