I rifiuti di plastica alla deriva negli oceani, comunemente associati all’inquinamento fisico e chimico e alle conseguenze sulla fauna marina e sulla catena alimentare, sono anche un possibile covo di batteri pericolosi. A portare alla ribalta studi e teorie precedentemente trascurate, perché considerate catastrofiste, è stata la pandemia da Covid-19: ora si riflette sulle ricerche a disposizione per spingere le società di tutto il mondo a puntare sulla produzione di plastiche ecocompatibili e sulla riduzione drastica della plastica monouso. Vediamo perché potenzialmente le isole di plastica sono bombe batteriologiche.
Plastica negli oceani: pericolo batteri
In genere, quando si parla degli oceani inquinati a causa della plastica (fino alla formazione di vere e proprie isole), si immaginano uccelli o tartarughe marine con la pancia piena di rifiuti in pvc e affini. Invece, c’è un’altra minaccia invisibile agli occhi, che ha importanti conseguenze per la salute umana e animale. A studiarla sono state Karen Shapiro, docente di patologia, microbiologia ed immunologia della University of California a Davis, ed Emma Zhang, ricercatrice veterinaria presso lo stesso ateneo, che hanno pubblicato uno studio sulla rivista Scientific Reports, come riportato da The Conversation.
Che cosa sono le microplastiche?
Le microplastiche sono minuscole particelle di plastica presenti in molti cosmetici, che possono formarsi anche quando materiali più grandi, come vestiti o reti da pesca, si rompono in acqua. Sono ormai diffuse negli oceani, dove vengono ingerite dai pesci e dai crostacei, compresi quelli che arrivano sulle nostre tavole.
Le due ricercatrici americane si sono chieste che cosa succede quando le microplastiche e gli agenti patogeni, che causano malattie, finiscono nella stessa acqua. “Abbiamo scoperto che gli agenti patogeni dalla terraferma possono arrivare alle spiagge attraverso microscopici pezzi di plastica: i germi si concentrano così lungo le coste e da lì iniziano il loro viaggio verso le profondità marine“. In particolare, sono tre parassiti i parassiti al centro della ricerca, portatori di malattie, anche mortali, per l’uomo: i protozoi unicellulari Toxoplasma gondii (Toxo), Cryptosporidium (Crypto) e Giardia. Tutti finiscono nei corsi d’acqua attraverso le feci degli animali e delle persone.
Batteri in viaggio sulla plastica negli oceani
Le simulazioni di laboratorio hanno dimostrato come un numero significativo di parassiti si aggrappi alla microplastica, che arriva a contenerne una concentrazione doppia o tripla rispetto all’acqua di mare. Non solo: le microfibre, comunemente provenienti da vestiti e reti da pesca, ospitano un numero maggiore di parassiti rispetto alle microsfere, comunemente presenti nei cosmetici. Un risultato importante, perché sono proprio le microfibre il tipo più comune di microplastica che si trova nelle acque marine, sulle spiagge costiere e pure nei frutti di mare.
Lo studio dimostra che le microplastiche potrebbero fungere da sistemi di trasporto per i parassiti, che in mare non possono replicarsi, ma che potrebbero trovare nei rifiuti dell’oceano un comodo mezzo per “fare autostop” e potenzialmente viaggiare per lunghe distanze, diffondendosi lontano dalle loro fonti originali sulla terra e arrivando così in regioni che altrimenti non sarebbero in grado di raggiungere.
D’altra parte, la plastica che affonda concentrerà gli agenti patogeni sul fondo del mare, dove vivono animali che si nutrono di filtri come vongole, cozze, ostriche, abaloni e altri crostacei.