Quando si parla di ambiente, l’attenzione globale è molto concentrata sugli oceani, dove le temperature hanno raggiunto ormai livelli record: acque così calde contribuiscono a provocare tempeste, uragani e piogge estreme, oltre a divorare le vaste calotte glaciali della Groenlandia e dell’Antartico. Non solo: l’inquinamento causato dall’uomo ha fatto nascere enormi isole di plastica, che stanno rovinando gli ecosistemi marini. Oltre agli oceani, però, c’è un altro allarme che sta diventando sempre più importante e che merita di ricevere la giusta attenzione: è quello che riguarda la biocrosta del deserto, considerata la “pelle della Terra”.
Che cos’è la biocrosta del deserto?
La biocrosta è uno scuro strato millimetrico composto da funghi, licheni, muschi, cianobatteri e altri microbi. Di fatto, è una “pelle” che protegge il pianeta nei luoghi più secchi, come il deserto, limitando l’erosione e consentendo la vita anche in condizioni difficili. In totale, questo strato ricopre il 12% della superficie terrestre. Che cosa fa? Immagazzina acqua, assorbe anidride carbonica e rilascia ossigeno, produce nutrienti indispensabili per la vita di altri organismi superiori, come azoto e carbonio.
Le conseguenze del climate change
La biocrosta del deserto, come gli oceani, è minacciata dagli effetti del cambiamento climatico e dalle attività dell’uomo. Può ricrescere, ma ci vogliono secoli. Perderla significa che le dannose tempeste di sabbia aumenteranno, insieme al declino della biodiversità. Senza la biocrosta infatti il terreno viene spazzato via più facilmente dal vento, impedendo qualsiasi tipo di coltivazione o comunque di crescita di specie vegetali. Tutta questa polvere nell’aria può anche causare un aumento delle malattie respiratorie.
Non solo: l’altro problema imprevisto dell’erosione è che la sabbia può depositarsi sui ghiacciai ed abbassare l’albedo superficiale del manto nevoso, che riflette la luce solare, facendo sì che il ghiacciaio assorba più energia e si sciolga più velocemente.
Per lungo tempo l’importanza della biocrosta del deserto è stata sottovalutata: invece, proprio come gli organismi microscopici sono vitali per la nostra salute (si pensi ai batteri intestinali per la digestione e la prevenzione delle malattie), la pelle del deserto ospita un’intera comunità di organismi vitali per l’ecosistema.
Biocrosta del deserto: lo studio
A lanciare l’allarme, è un recente studio dell’USGS, Istituto Geologico degli Stati Uniti, che dal 1996 monitora la terra nel Canyonlands National Park, in Utah, avendo a disposizione anche alcuni dati raccolti negli anni ‘60. E’ evidente negli ultimi anni un crollo nel numero di licheni: sia nel 1967 che nel 1996 la loro percentuale all’interno della biocrosta era intorno al 19%, mentre dal 2003 è iniziato un rapido declino e oggi è solo del 5%. Questo a causa dell’interferenza umana e del climate change, che nella zona provoca un aumento di 0,27°C per decennio.
Gli esperti lanciano anche un’allarmistica previsione: entro il 2070 dal 20 al 40% della biocrosta sarà sparito. E’ importante porre l’attenzione sui deserti perché , per certi versi, sono i paesaggi dimenticati del cambiamento climatico. Questo nonostante le zone aride coprano circa il 40% della superficie terrestre e supportino circa 2 miliardi di persone, con le biocroste che rappresentano il 12% della superficie del nostro pianeta.