Energia uguale potere. La lotta al cambiamento climatico porterà sconvolgimenti geopolitici, che cambieranno l’ordine mondiale, come già successo in passato con le rivoluzioni del carbone e del petrolio. E così la Cina, uno dei Paesi più “peccatori” quando si parla di climate change, si ritroverà avvantaggiata perché ha un asso strategico nella manica. A tracciare un disegno del nuovo ordine mondiale, come riporta Die Welt, è Daniel Yergin, esperto di geopolitica ed industria energetica, nel suo libro “The New Map: Energy, Climate, and the Clash of Nations”.
Climate change: Cina regina del nuovo ordine mondiale
In pratica, la Cina sarà il grande vincitore de nuovo assetto geopolitico, mentre gli attuali esportatori di petrolio, ovvero Russia e Medio Oriente, risulteranno i grandi perdenti. Tra i due estremi, in una posizione intermedia, ci saranno Stati Uniti ed Europa, come dimostra uno studio dell’ECFR (European Council of Foreign Relations.
Pro e contro per l’Europa
In particolare l’Unione Europea, con il suo ruolo di pioniere, potrebbe fornire standard globali per la transizione green, ma allo stesso tempo si ritroverebbe a sostituire la sua attuale dipendenza dai fornitori di energia fossile, in particolare la Russia, con una nuova dipendenza dalla Cina per quanto riguarda le nuove materie prime necessarie per la svolta energetica. Un’altra possibile criticità per l’Europa è la destabilizzazione dei Paesi vicini, se esportatori di energia come Algeria, Arabia Saudita o Russia non riusciranno a sviluppare nuovi modelli di business.
Cina nuova Arabia Saudita di un mondo più green
Ironicamente, insomma, la Cina si ritroverà ad essere la nuova Arabia Saudita di un mondo rispettoso del clima. Questo perché la Repubblica Popolare è il più importante produttore al mondo di litio, attualmente materia prima insostituibile per realizzare batterie come quelle necessarie per auto elettriche, e-bike ed e-scooter. Al contrario, attualmente la Cina deve importare circa il 75% del petrolio che le serve per mantenere il funziona la sua economia e Pechino ha sempre guardato con preoccupazione a questa vulnerabilità strategica, definita il “dilemma di Malacca”. Le petroliere in arrivo dal Medio Oriente o dall’Africa devono infatti attraversare appunto lo “Stretto di Malacca”), che separa l’Indonesia dalla Malaysia, una delle più antiche e importanti vie marittime al mondo, principale via di comunicazione tra l’oceano Indiano e l’oceano Pacifico. In caso di guerra, l’industria cinese potrebbe essere facilmente tagliata fuori dai rifornimenti di carburante.
Russia e Nord Africa: quale futuro
Tornando ai nostri “vicini di casa”, per l’Europa si aprono rischi ed opportunità. In particolare dopo il 2030 dovrebbe esserci una rapida riduzione delle importazioni dalla Russia, forse anche a favore dell’Arabia Saudita, “la cui produzione di petrolio rilascia solo la metà del carbonio di quella russa”, secondo il rapporto ECFR. Questo lascerà un segno chiaro sul bilancio e sull’economia di Mosca, che sta quindi cercando da tempo di aprire nuovi mercati in Asia, per esempio in Cina. Ma, anche se avrà successo, il futuro calo della domanda mondiale di combustibili fossili farà crollare i prezzi e l’aggressiva politica estera che la Russia sta perseguendo non sarà più così facile da finanziare, conseguenza comunque positiva per l’Europa.
Climate change, non solo Cina: quale ruolo per l’Europa
La transizione energetica potrebbe però destabilizzare anche altri vicini dell’Unione Europea, non solo esportatori di energia come Russia e Arabia Saudita, ma i paesi del Nord Africa le cui economie sono sostenute dai ricavi derivanti dall’esportazione delle materie prime. L’Algeria, ad esempio: il paese è il terzo fornitore di gas dell’UE e le esportazioni di energia rappresentano il 60% del bilancio statale. Se questo dovesse scomparire in tutto o in parte, potrebbero esserci insurrezioni oppure nuove ondate di migranti nel Mediterraneo.
La transizione energetica forzata sta costringendo questi paesi a costruire rapidamente un nuovo modello di business e sembra consigliabile che l’Europa possa aiutare almeno i paesi ricchi di energia solare in Nord Africa e Medio Oriente in questa direzione. Il sole, ad esempio, potrebbe essere utilizzato per produrre elettricità o idrogeno verde, che potrebbe essere acquistati dall’Europa. Dopotutto, anche nel nuovo mondo climate-friendly, il Vecchio Continente sarà comunque dipendente dalle importazioni di energia.
Il cambiamento climatico porrà dunque l’UE non solo di fronte a enormi problemi economici, se vorrà mantenere la competitività delle imprese europee, ma anche a grandi sfide di politica estera poiché cambierà drasticamente la struttura del potere mondiale.