Il cambiamento climatico sta mettendo sotto pressione l’industria del caffè, coltura tropicale estremamente vulnerabile ai cambiamenti climatici, che non ama le variazioni di temperatura e cresce solo in una stretta fascia intorno all’Equatore. L’alternarsi di freddo e siccità che ha colpito nel 2021 il Brasile, produttore numero uno al mondo, ha già fatto schizzare alle stelle i prezzi in previsione di uno scarso raccolto. Non solo: il consumo di questa bevanda è in crescita costante nel mondo: per far fronte alla domanda la produzione dovrebbe triplicare entro il 2050, ma questo porterebbe alla deforestazione delle aree più delicate del Pianeta, come la foresta pluviale, che verrebbero rase al suolo per far spazio alle piantagioni. Se si considera poi il mix di malattie e parassiti che hanno spazzato via i raccolti in molte regioni del mondo, è facile capire perché siamo alla ricerca di soluzioni per un caffè sostenibile.
Caffè sostenibile? L’idea dalla Finlandia
Per proteggere il Pianeta, e allo stesso tempo soddisfare la voglia di un espresso o di un American coffee in milioni di persone, arriva dalla Finlandia l’idea di coltivarlo in laboratorio. Un’alternativa che l’ente di ricerca VTT, società tech senza scopo di lucro di proprietà statale, ha già trasformato in realtà, producendo caffè grazie all’agricoltura cellulare. Pare anche che l’aroma e il gusto siano simili a quelli a cui siamo abituati, mentre sul fronte della sostenibilità i vantaggi sono decisamente incoraggianti.
Caffè sostenibile grazie all’agricoltura cellulare
Come si produce “un espresso” in laboratorio? Il processo prevede la sterilizzazione di una foglia della pianta di caffè per eliminare i contaminanti indesiderati. Essa viene poi posizionata su una base di sostanze nutritive, come minerali e zuccheri, che stimolano la crescita cellulare. Successivamente le cellule vengono spostate in un bioreattore, ovvero un contenitore a temperatura controllata che contiene una sospensione liquida, in cui la coltura può crescere ulteriormente. Man mano che cresce, la biomassa viene trasferita a bioreattori progressivamente più grandi fino a quando non è pronta per essere raccolta; il processo dura circa due settimane.
“La polvere che otteniamo è un materiale chiaramente molto diverso dai chicchi di caffè e il procedimento di tostatura è un po’ più complicato “, spiega Heiko Rischer, capo del gruppo di ricerca VTT. Tuttavia, una degustazione da parte di un panel di assaggiatori ha dato giudizi incoraggianti: “Siamo molto vicini al caffè. Non è esattamente lo stesso, magari non è il gusto che ti aspetteresti da una bevanda di alta qualità, ma gli assomiglia molto e i diversi livelli di tostatura hanno dato effettivamente sfumature di aroma diverse”.
Non solo: un’analisi di laboratorio ha restituito un verdetto simile, mostrando “sovrapposizioni significative” con il profilo aromatico del caffè convenzionale. In ogni caso c’è spazio per miglioramenti: “Grazie alla tecnologia la composizione del prodotto finale, ad esempio il contenuto di caffeina, può essere modificata regolando determinate condizioni”, aggiunge il responsabile del progetto, sottolineando come ad esso collaborino specialisti di diversi ambiti, delle biotecnologia alla chimica alle scienze alimentari.
Agricoltura sostenibile
Attualmente il caffè prodotto in laboratorio rappresenta un esperimento e non può essere commercializzato: negli Usa serve l’approvazione normativa da parte della FDA (Food and Drug Administration) prima di poterlo vendere ai consumatori, mentre in Europa è necessaria l’approvazione come “Novel Food”.
“L’esperienza di bere la prima tazza è stata emozionante. Penso che ci vorranno circa quattro anni per ottenere tutte le approvazioni normative per la vendita e per avviare una vera produzione”, conclude Rischer. “Per ora abbiamo dimostrato che il caffè coltivato in laboratorio può essere una realtà e che l’agricoltura cellulare è una delle strade verso una produzione alimentare più sostenibile”.