“Il nostro scopo è nel nostro nome: Space V sta per Space Vegetables o in breve Space Veg”. In altre parole, come coltivare al meglio le piante in avamposti extraterrestri: questa la missione della startup guidata dal primo astronauta italiano, Franco Malerba, che sta progettando un’innovativa serra verticale adattiva per “fare ricerca agronomica nello spazio e offrire agli astronauti, oggi in orbita e domani sulla Luna, la possibilità di alimentarsi con verdure fresche in tempi ragionevolmente vicini”, ha spiegato durante l’ottava edizione del Festival dello Spazio di Busalla (Genova), come riportato da Adnkronos. Non solo: da questa sfida può anche nascere l’opportunità per la Terra di affrontare e potenzialmente sconfiggere il problema della fame nel mondo.
Space V, chi è Franco Malerba
Franco Malerba, 77 anni, è un ex astronauta, militare e politico italiano, nonché ex ingegnere e manager di Thales Alenia Space. In passato ufficiale di complemento per la Marina Militare, è stato il primo astronauta italiano della storia, avendo fatto parte dell’equipaggio portato in orbita dallo Space Shuttle Atlantis il 31 luglio 1992 nel corso della missione STS-46.
Oltre a sfruttare la sua esperienza, Space V può contare su un team multidisciplinare di ingegneri con esperienza in meccatronica, ICT e agrotech e manager con esperienza nella creazione di imprese. Fondata nel 2021 con sede a Genova e Torino, nell’aprile 2022 la startup è stata accettata come una delle poche startup italiane ospitate dall’ESA BIC (Business Incubation Center), oltre a far parte dell’incubatore I3P del Politecnico di Torino.
Multilevel Adaptive Greenhouse
Space V è in prima linea nella progettazione di attrezzature all’avanguardia per la coltivazione di piante nello spazio. In particolare, è impegnata nel trasferimento della Multilevel Adaptive Greenhouse da terra allo spazio: una serra adattiva multilivello che stata sviluppata da Germina – azienda madre di Space V – per applicazioni a terra in aziende di precisione, vertical farm e coltivatori domestici.
La startup, dopo aver acquisito questa tecnica, l’ha adattata all’ambiente spaziale, dove le condizioni ambientali sono molto più dure che sulla Terra e gli imperativi per risparmiare massa, volume, energia e acqua sono più evidenti.
Come è fatta la serra per coltivare verdure nello spazio
La serra occupa il volume di due cassetti degli armadi tipici dell’arredo della Stazione Spaziale Internazionale per un totale di tre ripiani di coltivazione: il piano più basso è fisso, mentre gli altri due si possono spostare in altezza in base al ritmo di crescita delle piante. I ripiani di coltivazione hanno una doppia funzione: nella parte inferiore ospitano quello che serve per la crescita delle piante come l’illuminazione a led, il condizionamento, il filtraggio dell’aria; nella parte superiore accolgono il vassoio di coltivazione con il substrato idroponico. L’ultimo ripiano è un tetto mobile, che può raggiungere come altezza massima il soffitto della serra.
A differenza delle serre tradizionali standard, quindi, l’innovazione sta nell’adattamento progressivo del volume disponibile per ogni pianta in base al livello di crescita. A ottimizzare l’altezza dello spazio tra i ripiani è un sistema meccatronico per il movimento automatico dei ripiani di coltivazione, gestito con algoritmi di Intelligenza Artificiale attraverso un Decision Support System (DSS).
I vantaggi della serra adattiva
Secondo uno studio dell’Università di Genova, quando si confronta una serra verticale tradizionale con la serra adattiva, la resa produttiva aumenta dell’80%, la domanda di energia diminuisce e il volume totale disponibile viene sfruttato quasi al 100%. Inoltre, se anche la parte contenente il substrato dell’apparato radicale fosse adattiva, il guadagno di resa potrebbe aumentare fino al 115%. Sono inoltre in corso studi per valutare diversi substrati di coltivazione e il riciclaggio dei rifiuti organici prodotti a bordo.
Una soluzione anche sulla Terra?
Progettato per lo Spazio, il sistema di serra intelligente di Space V potrebbe rivelarsi rivoluzionario anche sulla Terra, perché potrebbe promuovere soluzioni abitative per la presenza dell’uomo in ambienti isolati oppure inospitali sulla Terra, oltre a supportare applicazioni terrestri quali il riciclaggio dei rifiuti e il trattamento delle acque.