Home Future Ora i de-influencer ti dicono cosa NON comprare 

Ora i de-influencer ti dicono cosa NON comprare 

Ora i de-influencer ti dicono cosa NON comprare 

Storicamente gli influencer sono nati per consigliare di comprare qualcosa: un prodotto must have, spesso disponibile con uno sconto grazie a codici speciali, un brand di tendenza, uno stile di vita (consumistico, naturalmente). Poi è arrivata la fase degli influencer del pensiero, quelli che condividono le loro teorie politiche, filosofiche, ambientaliste. Oggi entriamo in una nuova fase: quella dei content creator che rinnegano le loro origini e diventano de-influencer. Influencer al contrario. Il loro obiettivo? Spingere le persone a risparmiare ed evitare spese inutili.

E così la nuova colonna di sonora di TikTok è questa: ti diciamo cosa NON comprare. Questo prodotto? Non funziona. Quel brand? Non vale il clamore che lo avvolge. Risultato: l’hashtag #deinfluencing ha oltre 159 milioni di visualizzazioni in tutto il mondo, Italia inclusa. Un segno, forse, dei tempi che cambiano: siamo stufi di rincorrere la moda e le sue tendenze, pagandole a caro prezzo.

Chi sono i de-influencer

Qualche esempio: Bita (@bbybeets) è una giovane 25enne che invita i suoi follower a non rincorrere le proposte fashion, se con il proprio stipendio non ci si può permettere di comprare un paio di pantofole Ugg Tasman da 95 sterline o un paio di cuffie Apple AirPods Max da 550 sterline.  Non dobbiamo sentirci obbligati a spendere per essere à la page a tutti i costi.

 

@bbybeets I thought I made good money but GIRL some of you are moving mad how does everyone just own expensive stuff now ? #deinfluencing #luxury ♬ Chill Vibes – Tollan Kim

“Don’t buy” è l’alert lanciato da @alyssastephanie in tanti dei suoi tanti video, in cui passa in rassegna una serie di prodotti che, secondo lei, non vale la pena comprare, dai profumi alle creme, passando per le spazzole per capelli. “They don’t live up to the hype”, ovvero “non sono all’altezza della loro fama”.

 

@alyssastephanie pt 5 of things you rlly dont need 💀 plz keep in mind these are things that didnt work for me and if they make you happy keep at it #deinfluencing #antihaul #deinfluencer ♬ original sound – Alyssa ✨

Insomma, se l’economia degli influencer è nata dal desiderio di una maggiore autenticità nella pubblicità rispetto alla dinamica dei testimonial tradizionali, tradizionalmente pagati per fare adv, la tendenza al deinfluencing nasce dalla consapevolezza che uno spot non più essere considerato affidabile solo perché è stato girato in un salotto, come accadeva all’inizio. Lo pensa un’ampia fetta dei giovani utenti, tanto che secondo la società di ricerche di mercato GWI il numero di Gen Z interessati agli influencer è sceso del 12% dal 2020.

@glowyale_ siete d’accordo? 💘 *non ho nulla contro questi brand* #deinfluencing #deinfluencingskincare #deinfluencingproducts #deinfluencingbeautyproducts #deinfluencingitalia ♬ original sound – alessia ☁️✨


Certo, non si tratta di una novità assoluta: la marea dell’anticonsumismo si alza e si abbassa da sempre, dentro e fuori il mondo del social commerce. Vi ricordate gli “anti-haul” di YouTube? Era l’era dell’internet pre-TikTok e gli haul erano video in cui le persone mostravano i loro acquisti agli altri fanatici dello shopping. Ma nel 2015 cominciò una sorta di rivoluzione, partita in particolare dal settore del make-up, sotto la guida di una drag queen consapevole: Kimberly Clark (alias Chris Giarmo) postò  il suo primo anti-haul, mostrando gli articoli per il trucco che non avrebbe comprato, anziché far vedere ai suoi follower i prodotti per cui aveva speso i suoi soldi. Diede così il via a una vera e propria tendenza, che oggi ricorda da vicino il de-influencing di Tiktok. Come dire, corsi e ricorsi della storia, anche digitale.