Lunedì 2 ottobre Katalin Karikó e Drew Weissman sono stati premiati con il Nobel per la fisiologia o la medicina 2023 per le scoperte che hanno “portato all’approvazione di due vaccini Covid-19 basati su mRna di grande successo alla fine del 2020”, come è stato annunciato al Karolinska Institutet di Stoccolma in Svezia, secondo tradizione. “Vaccini hanno salvato milioni di vite e prevenuto malattie gravi in molte altre persone”. Martedì 3 ottobre invece è stata la volta del Nobel per la Fisica, assegnato a Pierre Agostini, Ferenc Krausz e Anne L’Huillier “per i metodi sperimentali che generano impulsi di luce di un trilionesimo di secondo (‘attosecondo’) per lo studio della dinamica degli elettroni nella materia”.
Seguirà nei prossimi giorni il premio per la chimica, che insieme ai primi due renderà omaggio alle menti più brillanti nel campo della scienza.
Il problema dei Premi Nobel in campo scientifico
L’assegnazione di questi primi due premi, però, mette già in luce un dibattito sollevato nei giorni scorsi dalla comunità scientifica, che ha evidenziato come questi riconoscimenti, istituiti dall’industriale svedese Alfred Nobel più di un secolo fa, rappresentino sì l’apice dei risultati della ricerca, ma oggi non siano più adeguati a dare un’immagine corretta della percorso di certe scoperte trasformative, che spesso richiedono decenni di studi e un articolato lavoro di team.
Non a caso sempre più spesso i Nobel attirano anche la loro parte di critiche, a volte scatenando polemiche e risentimenti su chi viene scelto e chi viene escluso, come ha affermato alla CNN Martin Rees, cosmologo e fisico britannico, ex presidente della Royal Society, associazione scientifica britannica, la più antica del mondo.
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Come è cambiato il modo di fare ricerca scientifica
Oggi, infatti, l’immagine del genio solitario che vive un momento eureka è scomparsa da tempo, ammesso che sia mai esistita. La sfida dei nostri tempi infatti è la natura sempre più collaborativa della ricerca scientifica, organizzata in ampi progetti di ricerca a cui contribuiscono grandi squadre di scienziati. E non è infrequente che le scoperte possono essere effettuate simultaneamente da diversi team, anche a livello internazionale. Ad esempio, il Nobel per la fisica 2017 ha riconosciuto la scoperta delle onde gravitazionali, attribuendola a Rainer Weiss, Barry C. Barish e Kip S. Thorne, ma gli articoli chiave hanno coinvolto quasi 1.000 autori: tuttavia, solo tre di loro hanno ricevuto il premio.
La stessa dinamica nella ricerca scientifica per molti altri progetti, tra cui per esempio quello della mappatura del genoma umano, che ha coinvolto centinaia di persone ed è stata conclusa nel 2022, più volte in odore di Nobel.
Nobel, la regole del tre e la “scienza di squadra”
E qui veniamo alla regola del tre. I comitati di selezione del Nobel, secondo il regolamento stabilito dal fondatore Alfred Nobel nel 1895, possono onorare solo un massimo di tre persone per premio. Un’idea che poteva forse essere adeguata in passato, ma che ora rischia davvero di non esserlo più e, anzi, rischia di essere un ostacolo per riconoscere l’intero team dietro alcune scoperte, per quanto gli incaricati possano seguire un processo rigoroso per valutare le candidature ed individuare i contributi più significativi. “Ci può essere un progetto in cui diverse persone hanno lavorato in parallelo e per il Nobel ne vengono individuate alcune e non altre. Di fronte a una squadra, non è ovvio che le persone scelte siano le figure dominanti”, ha detto ancora alla CNN Rees, autore del libro “If science is to save us”.
Anche il premio Nobel dovrebbe aggiornarsi
Non solo. Per cercare di avere una visione complessiva i comitati Nobel in genere scelgono progetti di ricerca che risalgono a decenni prima: una visione retrospettiva spesso necessaria, dato che può volerci del tempo prima che il significato di alcune ricerche scientifiche diventi chiaro. Tra l’altro, sempre nel rispetto del regolamento, i premi si concentrano solo tre discipline scientifiche, ovvero chimica, fisica e medicina-fisiologia, lasciando esclusi campi quali matematica, informatica, scienze della terra e del clima e oceanografia. Anche nei tre campi ammessi, poi, secondo uno studio del 2020, solo cinque aree su 114 diverse sottodiscipline scientifiche rappresentano più della metà dei premi Nobel assegnati dal 1995 al 2017: fisica delle particelle, fisica atomica, biologia cellulare, neuroscienze e chimica molecolare.
Tutto questo, sempre secondo Rees, rischia di far sembrare il Premio privo di contatto con la realtà, lontano dalle priorità scientifiche del momento. Un esempio? L’intelligenza artificiale che sta trasformando la vita delle persone a un ritmo senza precedenti. Ma la strada di un Nobel per l’AI è decisamente ancora lunga.