Perché questo articolo potrebbe interessarti? Dopo il terremoto, la Turchia sarà costretta a rivalutare alcuni piani in politica estera. Questo varrà anche per la Libia, lì dove l’Italia potrebbe inserirsi nella gestione del dossier
Il terremoto dello scorso 6 febbraio ha colpito una Turchia impegnata in una fase molto delicata. Il Paese a breve dovrà andare alle urne, con il presidente Erdogan non così sicuro di una elezione già al primo turno.
Il tutto mentre Ankara vive una duplice condizione tra politica interna e politica estera: da un lato infatti, sul fronte interno, l’economia turca arriva da anni molto difficili e dove l’inflazione viaggia su ritmi di un +83% su base annua. Dall’altro lato invece, il peso della Turchia all’estero è notevolmente aumentato come testimoniato dal suo ruolo nella guerra in Ucraina e nel dossier libico. Quale sarà quindi l’impatto del sisma sul futuro del Paese?
Punti di forza e punti di debolezza di Erdogan
Erdogan è ben consapevole che ogni cataclisma ha delle conseguenze politiche e militari. Una legge non scritta che ha spesso prevalso nella storia, non solo turca ma di ogni territori colpito da tragedie naturali. Le conseguenze del sisma sulla sua presidenza potrebbero non conoscere mezze misure: Erdogan o ne uscirà rafforzato oppure notevolmente indebolito.
Essere al governo in questo momento potrebbe offrirgli dei vantaggi. In primo luogo, può mostrarsi come coordinatore dei soccorsi, catalizzatore dell’interesse internazionale nell’aiutare il suo Paese e capo di una vasta macchina civile e militare volta ad alleviare da subito le sofferenze della popolazione. In secondo luogo, Erdogan ha la possibilità di mostrare in campagna elettorale i piani per la ricostruzione, far vedere di essere in grado di far partire una gigantesca opera di risanamento delle dieci province colpite dal sisma.
“Non solo – aggiunge su TrueNews Francesco Trupia, ricercatore presso il centro di ricerca IMSErt dell’Università di Toruń – il senso di comunità nazionale potrebbe portare i turchi a stringersi attorno alla nazione come accaduto in altri periodi di instabilitá politica. Accade in patria, così come nella diaspora turca e Paesi molto vicini a Ankara, come l’Azerbaijan, primo Paese per numero di soccorritori arrivati nei luoghi del terremoto”. Tutto questo potrebbe quindi portare l’opinione pubblica a puntare sulla continuità al governo e a ridare fiducia a chi è attualmente in carica. “Anche perché – ha poi proseguito Trupia – occorrerà un gigantesco piano di ricostruzione che gli elettori potrebbero decidere di affidare a chi già conosce la macchina del potere”.
E debolezze
Ci sono però anche pesanti punti di debolezza. Il crollo di intere città e l’estensione in un’area così vasta dei danni, ha portato in alcune occasioni al rallentamento della macchina dei soccorsi. Con conseguenti critiche al governo. Critiche che solo in parte sono state zittite dalla censura e dal controllo sui social. “E poi – ha dichiarato Trupia – occorre considerare un altro elemento, quello economico”.
Spiega infatti il ricercatore che l’economia turca negli ultimi anni ha attraversato una fase di grave crisi dovuta all’inflazione. La guerra in Ucraina ha paradossalmemte cambiato lo scenario politico interno: “Il conflitto ha paradossalmente ridimensionato la crisi. Nella posizione di mediatore, Erdogan ha mantenuto una sua coerenza dentro la NATO grazie agli aiuti militari all’Ucraina, e attratto investimenti russi dentro il Paese, trasformandolo nel prossimo hub energetico fondamentale per Mosca”. Adesso con il terremoto e le spese per l’emergenza e la ricostruzione le casse dello Stato sono destinate a subire un grave impatto, capace di destabilizzare nuovamente l’economia.
Come la Turchia si muoverà a livello internazionale dopo il terremoto
Il governo di Erdogan nell’immediato dovrà concentrare meno risorse sulla politica estera. Risorse sia economiche che politiche. “Lo sforzo che dovrà fare Ankara nella ricostruzione sarà immane – ha chiarito Francesco Trupia – un’opera enorme e imponente”. Il Paese, a prescindere dalle prossime dinamiche interne, sarà costretto a essere “distratto” sui fronti più importanti.
Distratto, ma non assente. Negli anni la rete di Erdogan all’estero ha creato rapporti solidi e strutture diplomatiche capaci di non far del tutto scomparire la Turchia dalla scena. Anzi, l’apporto di aiuti internazionali e l’apertura del Paese ai contributi dall’estero nella fase dell’emergenza, potrebbero determinare il consolidamento di alcuni canali diplomatici. Soprattutto con la Russia, ma anche con l’Italia. Roma è tra le più attive negli aiuti in questi giorni e i rapporti con il nostro Paese, dopo gli screzi degli anni passati, sono in netto miglioramento.
Ankara più debole in Libia?
Lungo l’asse Roma – Ankara potrebbe passare gran parte della gestione del dossier libico. Dal novembre 2019 la Turchia, con la stipula di un memorandum con Tripoli, è il principale partner del governo libico stanziato nella capitale. Lo stesso che è riconosciuto dall’Italia. L’avventura turca in Libia tuttavia non è mai stata molto popolare. “Molti turchi – ha dichiarato una fonte diplomatica – si chiedono il reale vantaggio della presenza di Ankara in Tripolitania”.
Per la Turchia cioè sono arrivati più oneri che onori. In una fase in cui il governo sarà costretto a distrarsi per l’emergenza terremoto, il dossier libico potrebbe rappresentare il fascicolo di politica estera più “sacrificabile”. E qui entrerebbe in gioco proprio il nostro Paese, confermatosi principale partner commerciale della Libia. Con una Turchia debilitata e meno attenta alle vicende nordafricane, Roma potrebbe sfruttare i suoi buoni rapporti con Ankara per colmare il possibile vuoto lasciato da Erdogan.
Poche settimane fa Eni e Noc, la compagnia petrolifera libica, hanno stipulato un accordo da otto miliardi di Dollari. Il tutto, secondo molte fonti diplomatiche, anche con il benestare della Turchia che potrebbe avere una quota di quell’investimento. Uno schema adottato prima del sisma e che potrebbe, a maggior ragione, essere replicato nei prossimi mesi.