Sono i due lati della medaglia. Uno brilla e l’altro no. Da una parte la ricerca che progredisce anche grazie alle eccellenze italiane. Dall’altra quelle che la professoressa Francesca Rovera, ordinaria e direttrice del Centro di ricerche in Senologia dell’Università dell’Insubria e responsabile della Breast Unit Asst dei Sette Laghi di Varese, definisce “le vittime indirette della pandemia”. Le pazienti che non hanno fatto i controlli nel 2020 per i tumori al senso. Per paura nel recarsi nei presidi sanitari. Qualche volta anche per l’impossibilità materiale. “Lo screening è stato chiuso per qualche tempo ma anche dalla riapertura – dice la dottoressa parlando con true Pharma a margine dell’evento “La riforma socio-sanitaria in Lombardia” il 14 luglio – avvenuta ormai settembre 2020 vediamo una grande difficoltà nelle pazienti ad accettare una nuova disponibilità e l’accesso all’ospedale per essere sottoposte ai controlli”.
Covid e lockdown: ritardi nelle diagnosi del cancro al seno
Le conseguenze? La fotografia degli stadi di malattia. “Verso la fine del 2020 siamo arrivati a trattare e gestire collegialmente – spiega Rovera – degli stadi più avanzati avanzati, cioè delle malattie in fase relativamente più tardiva rispetto agli stessi mesi dell’anno precedente”. Significa una sola cosa: diagnosi tardive. Pazienti che si sono sentite il nodulo ma per qualunque motivo hanno ritardato la diagnosi. Conseguenze operative? “Questo comporta interventi chirurgici più demolitivi e, a volte, l’impossibilità di intervenire chirurgicamente che lascia spazio alla necessità di terapie non chirurgiche, come la chemioterapia” spiega la responsabile della Breast Unit nel varesotto.
Ritardi diagnostici, quindi, che portano spesso ad avere una “diffusa e disseminata, una malattia metastatica” con il risultato che talvolta non è più possibile eradicare il tumore “ma solo tamponare” afferma la dottoressa con un invito e uno sprono alle donne: “Non avere paura nell’eseguire gli esami: il covid ha già fatto troppe vittime, non diamogli ulteriore spazio perché queste sono le conseguenze indirette della pandemia, con la malattia oncologica che non viene diagnostica portando a morte le pazienti. Facciamo i controlli perché il Covid non ha annullato le patologie tumorali. Serve tornare allo stesso timing di prima”.
È questa – legata dunque alla prevenzione – l’unica vera emergenza relativa al cancro al seno, almeno per quanto riguarda il territorio di Varese. L’accessibilità alle cure durante la pandemia invece è stata garantita nella sua quasi totalità per quanto riguarda la Breast Unit. Come? Con la capillarità. “Grazie alla disponibilità dei presidi periferici delle Asst Sette Laghi siamo riusciti a compensare bene ammortizzando la disponibilità di sale operatorie anche durante il periodo pandemico”. Tradotto: la patologia è stata distribuita “geograficamente” in maniera omogenea. Con il bilancio chirurgico dei tumori della mammella a Varese ha chiuso nel 2020 con l’85-88% delle prestazioni rispetto al 2019. Un calo minimo se confrontato con altre branche della medicina interventistica, con veri e propri tracolli.
Cancro al seno, i risultati della ricerca
Nessun crollo quindi. Tanto che nell’ateneo dove Francesca Rovera insegna come professoressa ordinaria la ricerca è andata avanti con brillanti risultati. È del marzo 2021 l’articolo scientifico sostenuto da Associazione Caos e pubblicato sulla prestigiosa rivista internazionale “Cancers»”, dedicato al Carcinoma duttale in situ (Cdis). Rappresenta oggi circa il 20-25% della patologia tumorale della mammella e si sviluppa all’interno dei dotti mammari senza superare la membrana basale. È un precursore non obbligato dei carcinomi duttali infiltranti della mammella (Cdi) e la sua progressione a carcinoma infiltrante si osserva in una percentuale compresa tra il 13% e il 50%. Cosa ha scoperto il team di Rovera nel Centro di Ricerca in Senologia dell’Università dell’Insubria nell’ambito del filone di ricerche sull’utilizzo di nuova strumentazione chirurgica e valutazione dell’accesso chirurgico sia alla mammella che al cavo ascellare? Che è possibile giocare d’anticipo. “Dalla valutazione di un campione esteso di pazienti che sono state trattate chirurgicamente per questa forma molto precoce di carcinoma della mammella, che si sviluppa all’interno dei dotti e come tale non ha potere metastatico, lo studio ha scattato la fotografia del campione di popolazione trattata con quelle che sono le possibilità chirurgiche e le conseguenze”. Risultati? “Si vede chiaramente – chiude la professoressa – che la diagnosi precoce, trovando il tumore in una fase iniziale quando non è ancora esteso, diventato infiltrante e non ha acquisito potere metastatico, significa salvare la vita alle pazienti o comunque offrire loro la possibilità di un trattamento oncologicamente radicale”.