Lezione? “Imparare da ciò che è successo” ma soprattutto “ora lavorare insieme per ridurre le liste d’attesa”. Usa parole chiare il professor Stefano Carugo, Associato di Malattie dell’Apparato Cardiovascolare all’Università degli Studi di Milano, Direttore di Unità Operativa Complessa del Ospedale Maggiore Policlinico di Milano e Responsabile per la Regione Lombardia della Società Italiana di Cardiologia. Durante l’emergenza Covid Carugo è stato responsabile dell’HUB cardiologico milanese per gli Infarti. E ora ha ben presente le priorità. “La prossima pandemia? Sarà quella delle malattie cardiovascolari” dice ribadendo un concetto che sta portando avanti da settimane fra addetti ai lavori, decisori politici e sulla stampa.
Come pubblicato da True Pharma in più occasioni, il calo di attività nell’interventistica cardiologica durante la pandemia ha assunto a tratti proporzioni drammatiche. Sia a livello nazionale, che in Lombardia e in Piemonte. In questi mesi la Società Italiana di Cardiologia Interventistica (GISE) assieme ad altre realtà del settore sta portando i numeri in suo possesso alle Commissioni Salute delle varie Regioni per provare a struttura un piano di risposta locale e/o nazionale. I motivi di questo drastico calo? Tanti ma su tutti la chiusura nei mesi più duri del 2020 delle emodinamiche e trasformate in terapie semi intensive, la paura dei pazienti nel recarsi in ospedale tanto da rimanere a casa fino all’infarto. È un dato che accomuna diversi Paesi europei. In generale ha chiuso quasi del tutto, con cali superiori al 70% la classica e tradizionale attività ambulatoriale, quella da Centro Unico Prenotazioni.
“Tanti pazienti non sono riusciti a curarsi – dice Carugo – tanti che non hanno seguito la cosiddetta aderenza terapeutica, altri ancora sono rimasti chiusi in casa per la paura, nemmeno in presenza die sintomi più gravi” e “ancora oggi assistiamo a persone anche vaccinate, magari con la prima dose, che attendono almeno l’inoculazione della seconda dose”. Per questo motivo il professore dell’Università degli Studi di Milano ritiene che la “prossima sfida sia quella della cardiologia subito dopo la campagna vaccinale, recuperare chi è rimasto indietro e aiutare le istituzioni nell’abbattimento della liste d’attesa”. Una vera e propria priorità a prescindere da discussioni sul medio-lungo periodo rispetto alla necessità di un Piano Cardiologico Nazionale e l’occasione Recovery Plan che tuttavia, per il momento, non sembra destinare risorse speciali al comparto.
In qualche modo la situazione italiana non è isolata. Il dato a livello europeo fotografa un aumento della mortalità a domicilio sotto lockdown aumentata del 20% per le patologie cardiache. Guardando al futuro le previsioni della Commissione Europea parlano delle cardiopatie come una delle principali cause di mortalità nel vecchio Continente. Le cause? Numerose. Dai fattori ambientali alla piramide demografica. Mentre invece nell’immediato c’è da affrontare altri fattori di rischio. Per esempio? “La sedentarietà” risponde secco Carugo. “Un anno di pandemia chiusi in casa si riflette anche sul peso e sulla circolazione. È questo già di per sé un fattore di rischio cardiovascolare”