È un taglio del nastro a cui ci si augura ne possano seguire tanti altri: 218 per la precisione nei prossimi anni. Il 22 dicembre il Presidente di Regione Lombardia, Attilio Fontana, e la vice presidente e assessore al Welfare, Letizia Moratti, si sono presentati in via Rugabella 4 a Milano, zona Policlinico, per inaugurare l’omonima Casa di Comunità (CdC) – uno dei veri e propri pilastri a cui è legato il successo o l’insucesso sia del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza per quanto riguarda i capitoli sanitari, sia la riforma regionale lombarda della sanità approvata definitivamente a dicembre. Con Fontana e Moratti anche il Dg di Ats Città Metropolitana Milano, Walter Bergamaschi, ed Elisabetta Fabbrini, Dg dell’Azienda socio sanitaria Nord Milano proprietaria degli spazi appena riconvertiti in Casa della Comunità dopo aver ospitato il poliambulatorio territoriale fino ad oggi.
Una struttura su 5 piani per accogliere le funzioni della CdC
Grandi dimensioni (5030 mq), si sviluppa su 5 piani ed è di recente ristrutturazione tanto che, in linea con la progettualità di una Casa di Comunità, nel corso dell’anno 2020 sono stati trasferiti presso la sede di via Rugabella il Servizio “scelta e revoca” e i Servizi “Fragilità”, “Polifunzionale” e “Incontinenza”. È pronta, quindi, la struttura per accogliere le funzioni proprie della CdC, ospitando anche i servizi presenti in altri punti di erogazione territoriale del Municipio, in questo caso il primo di Milano.
La Città metropolitana ospiterà 71 Case di Comunità
È proprio dal capoluogo che bisogna partire. Non fosse altro per i numeri in ballo. L’ultimo atto formale di Regione Lombardia ha messo nero su bianco cifre, mappe, procedure. Il 15 dicembre la giunta ha approvato le tabelle integrative, dopo una serie di mini correttivi sui numeri, e relative alla localizzazione dei terreni e degli immobili da destinare alla realizzazione di 218 Case di Comunità, 71 Ospedali di Comunità e 101 Centrali Operative Territoriali.
Se ancora mancano alcuni dettagli sui modelli organizzativi da applicare all’interno e sulle modalità di attuazione/costruzione/realizzazione – oltre, come ovvio, a dipendere tutto dalla rapidità con cui i fondi del Pnrr affluiranno alle casse regionali – alcune certezze si possono cominciare a dare per assodata: a cominciare dal numero, indirizzi e proprietà di Case di Comunità che Milano ospiterà nel prossimo futuro: saranno 71 in tutta la Città Metropolitana contro 23 Ospedali di Comunità (OdC) e 36 Centrali Operative Territoriali (Cot). Se a livello Lombardo Milano guida la classifica, prendendo a riferimento le CdC, subito dietro si collocano l’area dell’Insubria con 31, Brescia e Brianza (26 ciascuna), 20 per Bergamo, 18 per l’Ats Montagna, 15 in Val Padana e 11 a Pavia.
Le CdC su terreni di proprietà del servizio sanitario regionale
Per quanto riguarda il capoluogo lombardo, le CdC sorgeranno su terreni (o più spesso immobili già esistenti ma riconvertiti) di proprietà del Servizio Sanitario Regionale ma anche di altri enti. Come quelli del Comune di Milano (ad esempio il Mercato di Gorla, via Barabino, via Ghini, via De André, via Faenza, via Aldini), della Città Metropolitana (viale Piceno) della Asp Golgi Redaelli (via Caterina da Forlì).
Nelle tabelle allegate alla Delibera di Regione Lombardia si possono leggere una parte degli indirizzi già individuati e che saranno interessati dagli interventi di trasformazione nei singoli quartieri e Municipi come anche negli altri territori della regione.
L’incognita della realtà disponibilità dei medici alla gestione delle CdC
Non bisogna tuttavia semplificare troppo o dare la partita già per vinta. Oltre ai nodi sottolineati in precedenza e oggetto al momento di una interlocuzione fra Ministero della Salute e Direzione Generale Welfare, ciò che ancora va tastato è la reale disponibilità dei medici alla gestione delle CdC. Non si tratta di nodo facile da scogliere come peraltro dichiarato dalla stessa Letizia Moratti in più occasioni sostenendo che, in assenza di una riforma dei medici di base, l’Italia rischia addirittura di veder sfumare i suoi 7 miliardi di euro di finanziamenti del Recovery alla sanità territoriale.
La soluzione passa da una maggiore associazione dei medici in forme cooperative
Per ora il meccanismo è questo: la porzione immobiliare trasformata in CdC viene concessa in subconcessione ad uso esclusivo ai Medici di Assistenza Primaria convenzionati con il Servizio Sanitario Nazionale, per lo svolgimento di attività sperimentale di presa in carico di cittadini con patologie cronico-degenerative. L’uso è gratuito, come forma di incentivo per i medici che – va sempre ricordato: sono liberi professionisti – esclusi i costi relativi alle spese generali inerenti le utenze, il riscaldamento, le pulizie e tutti i servizi logistici.
Al momento Ats Milano ha chiuso il 6 dicembre il primo avviso per la Manifestazione d’Interesse su via Rugabella e si attende di conoscere gli eventuali punteggi, graduatorie e consistenze dell’interesse da parte dei medici. Si naviga comunque a vista e c’è chi scommette che la soluzione debba passare, oltre che dagli aspetti economici (il Servizio Bilancio del Senato stima in un miliardo l’anno i costi del personale per far funzionare le Cdc dal 2026 ) da una maggiore associazione dei medici in forme cooperative: soggetti plurimi e collettivi ma allo stesso tempo flessibili negli spazi e nei tempi per poter prendere in carico un numero consistente di strutture e pazienti anche sfruttando le nuove possibilità della telemedicina.