di Francesco Floris
Vittorio Colao lo aveva scritto. Un “unico Ministero” con l’obiettivo di raggiungere “una forte accelerazione della trasformazione digitale”. Per chi voleva leggere un pezzo di futuro era tutto lì. Nel rapporto per la Presidenza del Consiglio dal titolo “Iniziative per il rilancio Italia 2020-2022”, dato alle stampe (e alle cronache) con il sintetico nome di “Piano Colao”. Cinquantaquattro pagine redatte dal comitato di esperti radunato attorno all’ex manager Vodafone – fra cui tre futuri ministri del governo Draghi: lo stesso Colao, Cingolani e Giovannini – dove vengono messe nere su bianco le prime mosse per la “digitalizzazione” del sistema sanitario che tanto ha fatto sentire la sua assenza nell’anno della pandemia Covid. “Un investimento significativo sulla digitalizzazione della sanità” si legge nel piano Colao per “lo sviluppo di una piattaforma pubblica che integri telemedicina, homecare e nuove tecnologie di acquisizione dei dati sanitari”. E ancora: “Un intervento sistematico” a favore della “connettività a banda ultra-larga” per “ridurre il divario digitale” e così permettere “l’ampia diffusione tra aziende e privati delle tecnologie innovative” ad esempio “sanità digitale e telemedicina”.
Spunti, slanci ma anche punti fermi. Immaginiamo cosa sarebbe stata l’assistenza durante il Covid senza la ricetta elettronica, senza il certificato telematico di malattia oppure senza il fascicolo sanitario elettronico? Se lo è domandato Sergio Pillon, Rappresentante VAS nella European Public Health Alliance – Digital Health Working Group, già coautore e coordinatore della Commissione Paritetica Nazionale per la governance delle Linee di indirizzo sulla Telemedicina (Ministero della Salute, Conferenza Stato-Regioni), su agendadigitale.eu. Lo ha fatto citando le parole chiave e i discorsi tenuti da alcuni dei nuovi ministri durante il convegno romano “Le parole dell’innovazione in sanità” patrocinato dal Dep (Dipartimento di epidemiologia e prevenzione) del Lazio nel 2018 alla presenza di relatori come Trisha Greenhalgh, “guru” dell’innovazione digitale nel Servizio sanitario naizonale inglese. Con Cristina Messa, neo ministro dell’Università e della Ricerca, che parla del rapporto università-industria-ricerca per lo sviluppo di competenze digitali come “driver” dell’economia, e Roberto Cingolani – neo ministro alla Transizione ecologica – che cita tra “una delle prospettive ora più affascinanti” quella di impiegare “l’intelligenza artificiale, la meccanica quantistica e i supercomputer” per la progettazione e l’accelerazione dal punto di vista chimico della produzione di un farmaco”.
Così l’esecutivo Draghi può partire proprio da qui. Dalle riflessioni recenti di alcuni membri della sua squadra di governo e dal documento redatto a giugno 2020 dalla task force di Colao. Che per esempio nel capitolo dedicato al “Piano di digital health nazionale” mette in ordine di priorità alcuni punti: sviluppare “un Ecosistema Digitale Salute”; connettere gli attori della filiera e rendere “disponibili tutti i dati sanitari del paziente agli operatori autorizzati” per permettere una cura integrata a casa, nelle strutture sanitarie pubbliche/private e in ospedale, attraverso personalizzazione, monitoraggio ed interventi più efficienti. Creare un sistema di “early warning” basato sull’infrastruttura di Tessera Sanitaria “che già collega in tempo reale tutti gli operatori sanitari italiani” integrata con le infrastrutture delle altre amministrazioni.