La casa “come primo luogo di cura”. È uno degli slogan che segnano il Recovery Plan italiano nel capitolo sulla salute. In pandemia questo concetto si è declinato, in chiave emergenziale, nella consegna a domicilio di farmaci e dispositivi medici per i pazienti.
È l’home delivery, una delle frontiere su cui si lanciano attori pubblici e privati dell’universo sanità. Un aumento del comparto è “auspciabile” per la dottoressa Maria Grazia Angeletti, Direttrice del Dipartimento dei servizi territoriali dell’Asst Grande ospedale metropolitano Niguarda di Milano. Ma per lei, che gestisce una partita che riguarda l’utenza del Niguarda ma anche di tutta la città di Milano e dell’Asst con un bacino di 1,6 milioni di persone, “la consegna a domicilio non è da preferire”. “Per la mia esperienza e se potessi scegliere – dice Angeletti a True Pharma – opterei per il canale della consegna attraverso le farmacie territoriali che comunque in caso di paziente fragili o allettati gestiscono anche la distribuzione all’indirizzo di residenza”.
L’importanza delle farmacie territoriali e la frontiera dell’home delivery
Ci sono motivi pratico-operativi, logistici, economici e, lato pazienti, psicologici dietro le parole dalla dirigente ospedaliera. “Le farmacie territoriali sono ubique e disseminate sul territorio -spiega Angeletti –. L’esperienza che abbiamo su dispositivi come cateteri, pannoloni, le stomie, ci ha dimostrato che la consegna che avviene mensilmente invece che trimestrale nelle farmacie attraverso un software delle strutture, almeno in Lombardia, , è più efficiente dal punto di vista economico e gradita dal paziente a livello psicologico perché può andare a ritirare il suo stock quando vuole e non viene vissuta come un’invasione coatta alla propria abitazione”. Per comprendere le sue parole bisogna conoscere il contesto: durante i lockdown diversi pazienti si sono rifiutati di aprire ai tecnici manutentori o agli installatori in caso di prima consegna (per esempio dei ventilatori), facendosi consegnare i dispositivi sul pianerottolo di casa ma senza firmare le bolle di consegna. Nei mesi più duri del 2020, a farsi carico della distribuzione delle forniture dei microinfusori per i pazienti diabetici di tipo – filone che True Pharma sta approfondendo con una serie di interviste nel settore pubblico e privato – sono state le aziende.
Consegnando gratuitamente ogni tre mesi all’indirizzo indicato dall’ospedale i materiali normalmente ritirati ai servizi territoriali di zona, in particolare i sensori per il monitoraggio continuo della glicemia. Consegna gratuita per l’ospedale e, di fatto, non prevista dai contratti o capitolati d’appalto ma necessaria in quei mesi. “Hanno aiutato il servizio sanitario” dice Angeletti. I numeri? Circa “2mila pazienti diabetici, spesso giovani – spiega –. Molti peraltro tornati nei paesi di origine delle famiglie, in fuga dalla Lombardia, e le aziende si sono fatte carico anche delle consegne nei luoghi di temporaneo domicilio degli assistiti, o in quelli dove erano rimasti bloccati per lavoro”.
Altri 3.200 sono i pazienti milanesi che necessitano del monitoraggio con tecnologia sensore, da aggiungere ai 2mila standard. La spesa totale di questa partita (infusori e monitoraggio in continuo) “cuba oltre sei milioni di euro all’anno per la città di Milano e l’Asst Nord” spiega la responsabile del servizio del Niguarda, l’Asst che funge da centrale acquisti per tutta la città e da pagatore con delega delle altre aziende in quanto servizio di protesica sovrazonale, quello che Regione Lombardia ha chiamato Servizio Unificato di Protesica Integrativa. Oltre a Milano anche Cinisello, Bresso, Cormano, Cusano, Sesto San Giovanni e Cologno Monzese e l’area hinterland del nord est, fra le più densamente popolate.
Il servizio di consegna gratuita lo ha cominciato una ditta. Sono diventate sei nel 2020. Sette nel 2021. Consegne trimestrali ma è chiaro che non si potrà andare avanti così a lungo. I contratti sono del 2018 e non prevedono un “servizio” ulteriore rispetto alla fornitura come invece avviene da anni per altre tipologie come i pannoloni dove c’è una gara d’appalto unica per l’intero territorio di Regione Lombardia.
Cosa cambierebbe con l’intermediazione delle farmacie, come suggerito da Maria Grazia Angeletti? “Si ritira un’unica fornitura mensile e non più trimestrale. Può sembrare irrilevante per il diabete dove si arriva addirittura a consegne ogni sei mesi senza un grosso imgombro”. Ma “per altre tipologie di dispositivi significa dover avere in casa una stanza in più solo da adibire a magazzino di stoccaggio domestico” dice.
O ancora – aggiunge la dottoressa spiegando di riferirsi solo al contesto di Milano e delle grandi aree metropolitane da bnon confondere invece con il “modello” da applicare nelle valli o aree montane – ci sono una serie di aspetti economici legati a sprechi, usura e conservazione dei materiali. Che permangono a prescindere dalle condizioni cliniche del paziente, in miglioramento p peggioramento, e che anzi accentuano lo sperpero di risorse. “In genere il medico fa la prescrizione nel momento della dimissione dell’ospedale – illustra Angeletti – quando il paziente ha la necessità del massimo della fornitura casalinga per far fronte a qualunque evenienza o banalmente al fatto di non saper utilizzare correttamente tutti i dispotivi”. “Poi passano le settimane e nel post dimissione il paziente si stabilizza, recupera e quindi ha bisogno di meno quantitativo di materiale, oppure lo usa meglio perché ha imparato a utilizzarlo con efficienza”. Lo stesso discorso vale in caso di peggioramento, anche fatale. “Se il paziente è grave, fragile, e decede nei mesi successivi, la fornitura trimestrale non viene recuperata soprattutto per quanto riguarda i dispositivi monouso o di diabete. Del resto non si sa come e dove sono stati conservati, la confezione deve essere integra, senza manomissioni, non devo essere stati esposti a fonti di luce o calore”.
Con l’intermediazione delle farmacie “pazienti e caregiver ritirano una sola fornitura mensile e c’è un risparmio in termini di pianficaizone”. Idem per i quantitativi die lotti, sia che si tratti di pannoloni, sacche per le stomie, o microinfusori. Tanto è vero che in Veneto già si adotta questo modello sui diabetici, mentre in Lombardia lo si fa solo per l’automonitoraggio. “La farmacia è il luogo intermedio più adatto, vicino all’utente, e c’è un ulteriore aspetto da sottolineare rilevante” afferma la Direttrice del Dipartimento Servizi Territoriali dell’Asst Niguarda: “In farmacia abbiamo un accordo: il paziente ha una quantità a disposizione, poniamo di 90 sacche nell’arco del mese. Ma non è obbligato a ritirare tutto in una soluzione unica e noi paghiamo solo ciò che viene ritirato”. Da dati interni di lungo periodo su alcuni dispositivi dove la filiera è rodata da oltre 20 anni, si è in grado di “stimare un risparmio del 20% – dice Angeletti –: A fronte di 100 prescritto, il paziente ritira 80, senza che venga inficiata la continuità e l’aderenza tepapeutica perché è lui stesso ad autoregolarsi sulla disponibilità del quantitativo senza fare scorte che in questo senso sono addirittura dannose perché i dispositivi hanno una scadenza e rischiano di non essere conservati con modalità corrette diventando inefficaci”. Un approccio che “evita anche che il paziente debba tornare dallo specialista per ridurre l’ordine della prescrizione, con un’inutile ulteriore visita specialistica per clinici e familiari”.
Morale? “Credo che l’intermediazione delle farmacie sia un sistema più virtuoso – conclude la Dirigente aggiungendo un solo tassello –: Sembra un dettaglio ma di questi tempi diventa cruciale: traffico e inquinamento. Cosa comportano 40Mila consegne mensili a domicilio per una città come Milano in termini di traffico dei corrieri, posti auto, inquinamento, ambiente e, quindi in ultima istanza, anche salute collettiva?” si chiede. E chiude: “Capillarità sì, ma con le dovute proporzioni ed evitando esternalità negative”.