di Francesco Floris
Un nuovo indicatore sull’aderenza terapeutica? Serve per “entrare nella testa del sistema”. Sintetizza così Federico Spandonaro, professore all’Università degli Studi di Roma Tor Vergata e presidente del CREA Sanità (Centro per la Ricerca Economica Applicata in Sanità), la genesi del primo e nuovo parametro aggregato in Italia da inserire nei Livelli Essenziali di Assistenza (Lea) per misurare quella che la definizione da manuale indica come “il grado di effettiva coincidenza tra il comportamento individuale del paziente e le prescrizioni terapeutiche ricevute dal personale sanitario curante”. Tradotto: come ci curiamo? E quali sono le conseguenze di comportamenti scorretti?
“Mancano gli incentivi”
Può sembrare un problema banale. Non lo è. L’aderenza? “Se non è proprio prevenzione – risponde Spandonaro a True Pharma – rientra nell’ambito di ciò che sta a monte della cura”. Si è partiti da un’assunzione di principio: “Se ne parla molto da anni ma non decolla mai”. “Questo perché – spiega il professore – mancano gli incentivi nel sistema per far diventare il tema dell’aderenza una priorità”.
“Nella testa del sistema”
Accade “perché né il Sistema di Garanzia di Lea, né tantomeno negli indicatori che vengono forniti ai Direttori Generali delle Asl, ci sono mai obiettivi che riguardano l’aderenza terapeutica in maniera esplicita”. Come se nella famosa “testa del sistema” mancasse un collegamento sinaptico. Che ora si spera di attivare. Come? “Il Sistema di Garanzia funziona così – spiega Federico Spandonaro –: le Regioni che sono adempienti rispetto ai Lea ricevono l’intero finanziamento a cui hanno diritto. Altrimenti questo non accade per la parte di risorse variabili fino a quando non mettono in campo misure correttive”. “Nella testa del sistema e a cascata nelle figure dirigenziali deve passare il concetto che l’aderenza è una priorità. Promuovendo l’indicatore vogliamo innescare un circolo virtuoso per uscire dalla solo declaratoria di questi anni”.
I dati
Un meccanismo di incentivi che “come sempre accade con l’incentivazione è una medaglia a due facce”. Perché rischia di cronicizzare i problemi pre-esistenti dei diversi sistemi sanitari. A titolo di esempio vediamo alcuni dati: in Italia meno del 30% fra chi ha avuto prescrizioni relative agli antidepressivi segue in maniera appropriata le terapie. Idem per il diabete. L’aderenza si raggiunge invece quando questa percentuale supera l’80%.
L’impatto economico e di salute? Se questa soglia fosse rispettata si risparmierebbero 460 euro annui a paziente per l’ipertensione; 560 euro pro capite per l’insufficienza cardiaca. A salire anche fino a 1000-1500 euro a seconda di patologie e classi di farmaci o terapie. Tutte spese eccessive che derivano da una molteplicità di fattori: complicanze, ri-ospedalizzazioni, infezioni ospedaliere, terapie che si allungano nel corso del tempo.
Cosa accade a una regione che già non rispetta il parametro? Le vengono tagliati i fondi rischiando l’incancrenirsi del problema? Proprio su questo snodo sta una delle innovazioni più importanti del nuovo criterio unico elaborato dagli specialisti del CREA. “La complessità nella costruzione dell’indicatore sull’aderenza non è trovare un numero e basta – spiega Spandonaro a True Pharma – ma misurare la distanza effettiva dal massimo che si può realizzare nelle condizioni della propria regione”. È quasi una stima “dell’aderenza potenziale”. Proprio nell’ottica di farla tornare “in cima alle priorità” di Regioni e dirigenti sanitari, ma con la concretezza che tramuti il raggiungimento del benchmark in un “araba fenice”. Sfuggendo peraltro alle facili soluzioni che, a volte, sono solo illusioni ottiche: “Gli studi su quanti soldi si risparmierebbero sono veri – dice il Presidente del CREA – ma non sono veri dal giorno dopo”. “Quel risparmio non è immediato ed è per questa ragione che fatica a entrare nell’agenda di un sistema sanitario che campa cercando di far tornare i conti ogni anno, con risparmi magari inferiori ma privilegiando politiche che hanno effetti immediati”. “Non mi attendo infatti che si liberino risorse dal giorno dopo ma di ottenere un risultato a tendere”. Il concetto di fondo che giustifica il ragionamento rimane quello di apertura: l’aderenza è cura ma anche prevenzione.
Il metodo
Lo studio condotto dal numero uno del CREA e il suo team ha portato all’analisi di 928 report di cui 69 pubblicazioni. Dieci anni di letteratura internazionale, domestica ma anche della cosiddetta “letteratura grigia”. Partendo dai dati rilevati dall’Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa) nei rapporti OsMed. Un mole e complessità di dati e documenti da cui emergono alcuni aspetti degni di osservazione. I livelli di aderenza alle terapie e ai farmaci sono influenzati da numerosi fattori: c’è la variabilità geografica con “l’Italia stretta e lunga e un gradiente nord-sud evidentissimo”. O ancora: c’è variazione da struttura a struttura, legata al personale medico. Ma sono soprattutto due i fattori principali: il livello socio-educativo dei pazienti e della popolazione in generale e la tipologia di sistema-Paese nel quale ci si cala.
Le variabili
Sul primo punto Spandonaro evidenzia come “l’aspetto sociale, il livello di istruzione e le condizioni socio-economiche, impattano sulla sensibilità verso una corretta aderenza ai farmaci”. “I Paesi non sono tutti uguali – dice – ma si ripete il segno e una constante: dove c’è un maggior livello di istruzione c’è maggiore aderenza quindi è chiaro che senza tenere conto di talune condizioni, per esempio regionali dentro l’Italia, vi è il rischio di replicare ulteriormente le disparità territoriali pre-esistenti-. Per questo motivo l’indicatore va standardizzato”.
Secondo: il contesto nazionale. “Molti studi riportano l’evidenza di un impatto degli aspetti economici individuali sull’aderenza e questo avviene perché il 70-80% delle ricerche sono state condotte negli Stati Uniti, dove le medicine vengono pagate dal paziente e la propria capacità economica influenza di gran lunga il modo in cui si segue o meno una cura”. “È questa una variabile – continua Spandonaro – che nel sistema italiano mi attendo non sia una barriera. O comunque meno significativa, perché da quel punto di vista c’è la copertura del sistema sanitario nazionale”.
Se il professore romano dovesse trovare un limite nell’operazione realizzata è quello della “trasferibilità di questi studi internazionali” su “sistemi con organizzazioni differenti”. È altrettanto vero però che “il lavoro è stato costruito su una revisione sistematica di letteratura per capire quale fosse l’impatto della non aderenza da un punto di vista economico e non essendoci studi fatti su dati italiani abbiamo dovuto prendere quelli provenienti da altri contesti e riadattarli”. Con l’obiettivo di “costruire un indicatore che fosse la base per incentivare il sistema ad essere più proattivo rispetto all’aderenza”.
Pnrr? “Combattere disuguaglianze”
In una fase in cui, chiude il docente di Tor Vergata “il Piano nazionale di ripresa e resilienza nel capitolo sanità pone certamente l’obiettivo di investire per ridurre le disuguaglianze. Non può essere l’ennesima occasione persa e i gap regionali devono essere al centro del Recovery Plan”.