La pandemia di Covid19 ha rimesso al centro sanità e salute e PNRR e ultima legge di bilancio testimoniano quanto il comparto necessiti di investimenti. Eppure sul fronte assicurativo, come rivela in questa intervista esclusiva a True-News, Dario Focarelli, direttore generale di ANIA (Associazione Nazionale fra le Imprese Assicuratrici), permane un divario notevole tra la spesa di tasca propria degli italiani (40 miliardi di euro) e la parte assicurata, ferma a cinque miliardi. Da qui la necessità di accelerare l’iter normativo per una sanità integrativa sulla scorta di quanto avvenuto alcuni anni fa per la previdenza complementare, grazie anche alla leva della deducibilità fiscale.
Altrimenti difficilmente il comparto della Health Insurance potrà fare la differenza anche per lavoratori autonomi e Pmi, che al momento restano distanti dalle polizze salute, per lo più legate a rimborsi per le spese sanitarie collettive utilizzate da aziende più strutturate come forma di benefit e welfare per i dipendenti, perché troppo onerose. E per le compagnie stesse i vantaggi potrebbero sembrare limitati se si considerano gli alti costi distributivi e il limitato ricavo economico. Eppure il loro ruolo può essere centrale in questa fase di transizione tra un modello di servizio sanitario finora basato per lo più sugli ospedali, ma nel futuro sempre più orientato ad avere nella casa il primo luogo di cura. Da qui il focus dato alla telemedicina, tra i banchi di prova della collaborazione pubblico-privato e della trasformazione digitale su cui spinge il PNRR e che può trovare nelle assicurazioni un facilitatore.
Direttore Focarelli, quanto vale il settore dell’assicurazione sanitaria in Italia?
Gli italiani hanno una spesa out of pocket, di tasca propria, che si attesta sui 40 miliardi e solo una piccola parte è coperta da assicurazioni sanitarie, fondi o casse. Il totale della parte assicurata in ambito sanitario ammonta infatti a 5 miliardi.
Perché gli italiani si assicurano poco?
Gli italiani si assicurano poco perché non riescono ad apprezzare il grande vantaggio che l’assicurazione può offrire. Tendono a spendere quando c’è la necessità, mentre l’assicurazione ha un altro approccio: “rende protetti” nel momento del bisogno. Aumentare la protezione assicurativa privata non vuol dire diminuire l’offerta di sanità pubblica, al contrario. Crediamo che l’Italia – e la pandemia lo ha ampiamente dimostrato – abbia bisogno di molti più servizi sanitari.
Di che cifre stiamo parlando?
La spesa sanitaria pubblica nel 2019 era pari a 115,7 miliardi. Con il Covid siamo arrivati a 123,5 miliardi nel 2020 e il valore è destinato ad aumentare anche nel 2021. Secondo le previsioni della Nadef (la nota di aggiornamento al documento di economia e finanza, ndr) di qualche giorno fa, dovrebbe attestarsi sui 129,4 miliardi. Possiamo riscontrare quindi un fortissimo incremento della spesa in rapporto al Pil: passando dal 6,5% del 2019 al 7,5% nel 2020 fino al 7,3% nel 2021.
Cosa dobbiamo aspettarci per il futuro?
Secondo le previsioni della Nadef dovremmo attenderci un mantenimento in valori assoluti della spesa, a fronte di una diminuzione dell’incidenza rispetto al Pil. Noi però siamo convinti che una spesa sanitaria di qualità sia tra i desideri delle persone e quindi sia auspicabile un investimento anche più consistente della spesa pubblica
Cosa si può fare di più?
Sicuramente si deve coniugare l’aumento della spesa pubblica, e il PNRR va in questa direzione, con un efficientamento della spesa privata. Ripeto, la grossa anomalia italiana sta infatti nel divario tra la spesa sostenuta di tasca propria dagli italiani rispetto alla componente assicurata.
Come si può ridurre questo divario?
Esistono alcuni comparti di lavoratori autonomi o delle Pmi che non hanno sostanzialmente accesso a una copertura assicurativa sanitaria. È perciò necessario capire come migliorare la copertura per quelle ampie fasce della popolazione che al momento ne sono sprovviste. Per farlo occorre innanzitutto realizzare un quadro normativo per la sanità integrativa, sul modello di ciò che è stato fatto alcuni anni fa per la previdenza complementare. Serve anche una standardizzazione di regole in campo fiscale. Infine, bisogna ottimizzare le sinergie tra spesa pubblica e spesa privata. Solo così potremo aumentare la protezione per le famiglie e per i lavoratori autonomi.
Lei citava l’impatto del PNRR: quale sarà in questo settore?
Il PNRR mette al centro la sanità, in particolare quella pubblica. Nel piano c’è un’analisi condivisibile sul Sistema Sanitario Nazionale (SSN) in cui emergono punti di forza e di debolezza. Ad esempio, si dice che nel complesso il SSN presenta esiti sanitari adeguati, un’elevata speranza di vita alla nascita nonostante la spesa sanitaria pro-capite risulti inferiore rispetto alla media UE. Tra le criticità, evidenzia come ci siano significative disparità territoriali nell’erogazione dei servizi, in particolare in termini di prevenzione e assistenza sul territorio; un’inadeguata integrazione tra servizi ospedalieri, servizi territoriali e servizi sociali; tempi di attesa elevati per l’erogazione di alcune prestazioni; una scarsa capacità di conseguire sinergie nella definizione delle strategie di risposta ai rischi ambientali, climatici e sanitari.
Data questa radiografia della situazione, il Piano si concentra su due comparti: quello rivolto alle reti di prossimità, strutture e telemedicina per l’assistenza sanitaria territoriale con un investimento di 7 miliardi e quello legato a innovazione, ricerca e digitalizzazione del SSN con 8,63 miliardi. Per lei questa impostazione è corretta?
Si tratta di investimenti importanti e necessari soprattutto nell’ottica di un rinnovamento tecnologico. Stando all’Agenda Digitale, infatti, il nostro parco di macchinari è datato, l’utilizzo del Fascicolo Sanitario Elettronico è ancora a macchia di leopardo e i medici di famiglia non usano spesso gli strumenti di telemedicina. Secondo uno studio recentemente condotto da Deloitte emerge, poi, come tutti i Paesi europei, Italia inclusa, debbano fare grossi investimenti in questo comparto, soprattutto per quanto concerne la telemedicina.
Quali sono gli aspetti dalla portata più innovativa introdotti dal PNRR?
C’è l’idea di sviluppare le cure domiciliari con una destinazione di denaro importante e credo che ciò sia positivo e dovuto. Il concetto di base è di attivare le 602 Centrali Operative Territoriali (COT), una in ogni distretto, con la funzione di coordinare i servizi domiciliari con gli altri servizi sanitari, assicurando l’interfaccia con gli ospedali e la rete di emergenza-urgenza. Altra intuizione corretta è quella di avvalersi della telemedicina per supportare al meglio i pazienti, specialmente quelli con malattie croniche e gli anziani. Sicuramente però le cure domiciliari non possono essere la soluzione a tutto, soprattutto quando si ha a che fare con persone non autosufficienti, ma era necessario cominciare a colmare un gap notevole per l’Italia.
Come si inserisce il ruolo delle assicurazioni in questo contesto?
Questo è un settore in cui gli assicuratori possono offrire molti servizi e soluzioni: ad esempio, diverse compagnie hanno sviluppato servizi di telemedicina e di teleconsulto per rafforzare il rapporto con l’assicurato-paziente e la rete è già ben avviata. Il nostro contributo può essere importante per rendere più efficiente il sistema. Il fatto che la casa diventi il primo luogo di cura attraverso le potenzialità offerte dalla tecnologia è una strada giusta.
L’altro grande settore di intervento riguarda l’aggiornamento tecnologico e digitale del parco ospedaliero. All’acquisto di oltre 1.300 nuove grandi apparecchiature per Tac, risonanze magnetiche, mammografi e altre strumentazioni sono destinati circa 4 miliardi. Un atto dovuto?
Sì, vista l’anzianità del nostro parco macchinari. Il loro aggiornamento determinerà una migliore accuratezza nella diagnostica, collegata allo sviluppo dell’informazione digitale. E arriviamo così al Fascicolo sanitario elettronico per il quale sono stati stanziati 1,4 miliardi.
Su questo fronte si è aperto un dibattito acceso visto che il fascicolo ha base regionale e molti sostengono che le risorse non siano sufficienti.
Dobbiamo cercare di abbandonare regionalismi e provincialismi e fare in modo che diventi un punto di aggregazione per tutti, sanità pubblica e privata. Se un cittadino, ad esempio, fa un test diagnostico ricorrendo alla sanità privata attraverso la sua assicurazione, questo deve entrare nel fascicolo, altrimenti il fascicolo perde la sua ragione d’essere.
Secondo lei basteranno questi 15,63 miliardi di investimenti?
È una domanda che si pongono in molti e, in verità, non lo sappiamo. Probabilmente no, perché la sanità ha bisogno di continui investimenti, ma adesso è prioritario spendere queste risorse, farlo bene e in un’ottica di proiezione verso il futuro.
A proposito di futuro, sulla scorta anche del PNRR, come cambierà il comparto dell’Health Insurance tra cinque anni, sia a livello di polizze sia a livello di modello distributivo?
Partendo dal presupposto che si è fatto molto bene ad investire in sanità, resta molto complesso il tema legato alle modalità di erogazione del servizio sanitario. Fino ad oggi, c’è stato un servizio sanitario il cui modello era basato per lo più sugli ospedali; per il futuro si parla della casa come primo luogo di cura. Il confronto tra questi due modelli non si esaurirà qui. Dovrà nascere inevitabilmente un’offerta più ampia di erogazione di servizi sanitari, anche privati. Cito solo alcuni temi: le residenze assistite, le case di comunità o, ancora, la figura dell’infermiere di prossimità per garantire una prima assistenza.
E i privati come possono intervenire?
Sul tema dell’erogazione dei servizi sanitari i privati devono giocare il loro ruolo. Anche le assicurazioni hanno l’ambizione di farlo, integrando servizi specifici, non strettamente assicurativi, in grado di ampliare il rapporto con il paziente-assicurato. Immagino assicurazioni che opereranno sempre più in sinergia con enti pubblici, ad esempio per la gestione dell’intramoenia (la libera professione intramuraria dei medici ospedalieri, ndr), e creeranno servizi sempre più sofisticati, a cui le persone potranno accedere sulla base di una polizza che offre anche servizi di telemedicina.
Cosa potranno fare ancora le compagnie assicurative?
Il punto cruciale riguarda avere una sanità integrativa e di qualità con le garanzie ben delineate e con diverse opzioni, non solamente assicurative, come fondi, casse e fondi aperti. Il tutto con una governance e regole chiare a tutela dei cittadini. Al momento, sebbene sia possibile assicurare la sanità integrativa con polizze individuali, è spesso complicato e molto costoso perché occorrono prodotti ricchi. Inoltre, in Italia si è deciso che questa tipologia di polizza abbia una durata annuale e non a lungo termine. Per il cittadino potrebbe essere più vantaggioso averla di durata maggiore. Quindi il mercato deve riflettere sulla lunghezza e sulla qualità delle coperture, soprattutto in un’ottica di prevenzione. Sintetizzandolo con uno slogan: più persone assicurate, con contratti più lunghi e attraverso una partnership solida tra le persone e le assicurazioni.
Riguardo ai canali distributivi, quanta parte avrà il digitale?
Le polizze salute sono per lo più collettive, quindi stabilite da rapporti bilaterali con il comparto o con la società, e in piccola percentuale individuali. In quest’ultimo caso normalmente è la nostra rete agenziale che si occupa dell’intermediazione. Sono certo che la parte collettiva continuerà a svilupparsi e la componente della bancassicurazione, alla stregua di quanto avvenuto in altri comparti, avrà un ruolo cruciale a livello distributivo. Riguardo alla distribuzione digitale, diversi studi dimostrano come in Italia si prediliga ancora il rapporto diretto con un consulente, a maggior ragione quando si trattano temi delicati come quello della salute. È pur vero che, per alcune coperture più facilmente identificabili e acquistabili, il digitale può essere un canale percorribile. Tuttavia, senza aderire a un fondo collettivo e senza l’ausilio di un esperto, credo sia difficile il ricorso al solo canale digitale per la sottoscrizione di una polizza.
Come si potranno sfruttare allora le potenzialità del digitale?
Si potranno sfruttare per tutto ciò che riguarda la gestione del rapporto tra l’assicurato, la compagnia e il medico e per la sottoscrizione di determinati tipi di coperture come l’Instant Insurance, le micro-assicurazioni che si possono attivare all’istante quando se ne ha l’esigenza.
Riguardo ai costi, spesso le polizze salute risultano piuttosto onerose, soprattutto se individuali e con coperture complete. Cosa si può fare per abbattere tali costi e aumentare il numero di sottoscrizioni?
Le polizze sanitarie sono tra loro molto diverse, per alcuni settori la copertura è massima e il premio si avvicina al valore della deducibilità fiscale, in altri è molto più circoscritta e si arriva a poche centinaia di euro l’anno. È inutile parlare di un costo medio della polizza sanitaria. Si tratta comunque di un comparto, quello delle polizze sanitarie, in cui il risultato economico per le compagnie è molto basso, un po’ per una questione sociale e un po’ perché, quando le persone sanno di essere assicurate, cercano di sfruttare al massimo la polizza.
È per questo che non mancano coloro che si chiedono quali vantaggi porti puntare sulle polizze sanitarie visti gli alti costi distributivi e lo scarso ricavo economico per le compagnie. È così?
Credo sia una prospettiva sbagliata. La sanità integrativa ha anche la funzione di calmierare i prezzi delle visite e in genere dei servizi. Le tariffe in convenzione, infatti, riducono sensibilmente i costi per coloro che sottoscrivono una polizza o aderiscono a un fondo.
E poi c’è anche la questione della deducibilità fiscale.
Esatto. Da molti anni i contributi a fondi e casse sanitarie sono deducibili dal reddito per un importo annuo non superiore a 3.615,20 euro. La misura aiuta lo sviluppo del settore che oggi conta circa 15 milioni di aderenti a fondi e casse e sarebbe, quindi, giusto ampliare alle polizze assicurative sanitarie il beneficio della deducibilità. Ciò darebbe un impulso allo sviluppo del sistema sanitario integrativo, favorirebbe prezzi dei servizi calmierati e comparabili, e soprattutto, diminuirebbe il numero di persone costrette a versare soldi di tasca propria quando stanno male o molto male.