È abituato a parlare con i numeri il dottor Stefano Genovese. Una vita nella sanità privata convenzionata, il responsabile dell’Unità di Diabetologia, Endocrinologia e Malattie Metaboliche presso il Centro Cardiologico “Monzino” IRCCS ha preso in carico con il suo team oltre 2.000 pazienti con diabete mellito a partire dal novembre 2017- erano zero all’epoca, prima della nascita dell’Unità nell’autunno di quell’anno- con il compito di monitorare, seguire e trattare una patologia importante e frequente nel paziente con malattie cardiovascolari, che aumenta il rischio di sviluppare eventi cardiovascolari. Bacino di riferimento? Il sud di Milano.
E i numeri di cui parla Genovese con True Pharma dicono altro: “In Italia? Sul diabete da anni è violato uno dei principi fondanti del sistema sanitario nazionale”. Quale? “L’equità di accesso alle cure”. Il riferimento? Ai “farmaci innovativi che riducono drasticamente il rischio di mortalità e complicanze cardio-vascolari”.
Farmaci innovativi, la nuova frontiera per combattere il diabete
Una delle frontiere più interessanti per una patologia cronica come il diabete. Farmaci a cui – nella migliore delle ipotesi – possono accedere oggi solo 4 pazienti su 10. Perché “il 60% delle persone con diabete è seguito da medici di medicina generale o specialisti differenti dal diabetologo”. Che non possono autorizzare o prescrivere, nonostante non si tratti di un problema di accessibilità economica, essendo prodotti già oggi inseriti nel sistema prezzo-rimborso dell’Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa) e quindi passati dal Ssn.
C’è un “problema organizzativo per la sanità, non solo economico”
Non è solo un problema economico – quindi. Non di “tecnologia” o disponibilità. Bensì di organizzazione. “Immaginiamo di poter utilizzare il teleconsulto fra clinici a questo scopo” illustra la sua idea Stefano Genovese, che oltre ad essere stato nominato di recente nel Consiglio Direttivo della Società Italiana di Telemedicina per la Lombardia, fa anche parte di un gruppo di lavoro europeo che studia politiche nel campo delle cure integrate e della salute digitale per le patologie croniche”. Politiche che Genovese definisce “i veri temi del futuro”.
Per esempio? “Condivisione e incrocio delle cartelle cliniche fra medico di medicina generale e diabetologo” spiega il clinico del “Monzino” a True Pharma.
Tradotto: il Mmg ha in carico un ipotetico signore con diabete mellito che lamenta anche ipertensione, ipercolesterolemia e obesità ed è pertanto ad elevato rischio cardiovascolare. Il medico di base vorrebbe prescrivere un farmaco agonista recettoriale del GLP1 che può essere “vidimato” solo dallo specialista di diabetologia.
Ingorgo organizzativo, come uscire dall’impasse?
Cosa si fa per uscire dall’impasse? Viene attivato il servizio di teleconsulto fra clinici e non secondo il tradizionale asse medico-paziente. Ci potrebbe essere un contratto o un’intesa per la quale ogni anno gli specialisti del Monzino – ad esempio – garantiscono assistenza a un certo numero di medici di medicina generale della zona, magari associati in forme cooperative. Si fanno inviare regolarmente o su richiesta i report clinici, verificano se c’è l’indicazione d’uso e loro volta inviano il piano terapeutico, finalmente ufficiale e operativo. “Il paziente non dovrebbe venire in ospedale– dice Genovese – ma il risultato sarebbe lo stesso di un accesso in presenza”.
Gli ostacoli a tutto ciò? Ancora una volta non sono economici almeno in senso stretto, perché lo strumento permetterebbe a livello di sistema-salute di risparmiare una serie di costi indiretti a parità di appropriatezza terapeutica. Fra questi ci sono gli spostamenti fisici dei malati cronici, spesso in età avanzata, quelli dei caregiver con relativo tempo sottratto al proprio lavoro o vita personale. La stessa prontezza o immediatezza “d’intervento”, rispetto all’accesso fisico dallo specialista, ne risentirebbe in meglio con più rapidità e puntualità.
È “questo un blocco economico-organizzativo” dice Genovese nella convinzione che la vera innovazione spesso sia sciogliere nodi di questa portata più di un fideistico approccio verso la tecnologia, comunque già esistente, ma che diventa nulla di fronte a complicazioni di governance sanitaria.
Futuro della sanità post-pandemia, necessaria una riflessione profonda
Riflessioni sul futuro del sistema sanità e sull’efficacia delle decisioni che il Direttore della Diabetologia del Monzino ha sviluppato in pandemia. Il Centro Cardiologico è stato l’hub covid-free per la rete cardiovascolare in Regione Lombardia. Sommerso di accessi da pazienti provenienti da ospedali, reparti e ambulatori – soprattutto pubblici che oggi invece devono fare i conti con monumentali liste d’attesa – convertiti dalla sera alla mattina per la battaglia contro il virus, allo stesso tempo la squadra di Genovese ha potuto continuare a operare.
Nella consapevolezza che proprio il diabete e un’eventuale comorbidità con il virus rappresenta uno dei principali fattori di rischio.
Telemedicina: un nuovo strumento al servizio di medici e pazienti
Nel primo lockdown si è trattato di lavorare con un po’ di “artigianalità”, come la definisce il dottore, inventandosi forme di telemedicina e remotizzazione, almeno del consulto, con qualunque strumento di comunicazione in loro possesso. Nella seconda fase riaprendo le prestazioni ma anche strutturando un vero proprio ambulatorio digitale di telemedicina. Al cui interno ci sono piattaforme dove monitorare abitualmente i dati del controllo glicemico e dell’infusione di insulina. Con la software house che gestisce la cartella clinica diabetologica, hanno invece sviluppato un “modulo” di telemedicina che ora è utilizzato anche con le riaperture ospedaliere a pieno ritmo. In questo contesto sarebbe opportuno valorizzare le applicazioni Digitali (mobile Health) su smartphone, all’interno del più ampio concetto di Telemedicina, strumenti questi che durante la pandemia si sono rivelati indispensabili di educazione, training, controllo e vicinanza a tutte le tipologie di Pazienti Diabetici, in particolare per la gestione delle dosi di insulina, della rotazione dei siti di iniezione, piuttosto che di suggerimenti alimentari attraverso l’impiego di applicazioni atte ad apprendere i bisogni di cura e di comportamento del paziente.
Più importanti ancora i dispositivi per il controllo glicemico da remoto. Proprio come per i classici dispositivi per il cuore (pacemaker), utilizzano una tecnologia a sensore dotati di piattaforme dove si vede l’andamento glicemico dei pazienti che hanno applicato questo device. Per i pazienti diabetici di tipo 1 che fanno terapia insulinica con microinfusore ci sono sistemi di misura dell’andamento quotidiano, o consultabili anche in real time. “Sono prestazioni riconosciute e convenzionate” dice Stefano Genovese, immaginando una loro più larga diffusione.
“La telemedicina? Agevola il paziente, ma non fa risparmiare tempo”
Ma va anche “sfatato un mito” o “luogo comune” molto di moda nell’ultimo periodo anche come conseguenza culturale della pandemia fra gli addetti ai lavori. La telemedicina? “Non è vero che significhi risparmiare tempo per il clinico” afferma Genovese. “Si tratta di un miglioramento del servizio che riduce i costi indiretti per il sistema sanitario, ma una visita in teleconsulto all’operatore sanitario comporta lo stesso impiego in termini di tempo di una visita in presenza”.
Qualche costo diretto lo può far risparmiare, forse, su altre branche della medicina: come i reparti di vulnologia per la cura delle ferite post-intervento o trauma/incidente, dove i rischi connessi a eventuali infezioni e quindi ri-ospedalizzazioni hanno anche in termini economici un impatto pesante sui conti. E tuttavia quella telemedicina se non accompagnata poi da un investimento in cure domiciliari – l’operatore che va a casa a curare la ferita, le cosiddette “cure integrate su cui c’è molto da lavorare per i pazienti cronici” dice il dottore – rimane fine a sé stessa. In Diabetologia? “La telemedicina riduce i costi indiretti del paziente – chiude lo specialista del Monzino –: un esempio è il caregiver che non deve accompagnare al polo ospedaliero la persona accudita prendendosi mezza giornata di ferie o di 104. È questo il vero vantaggio per il sistema salute nel suo complesso. Ma non va confuso con un risparmio economico netto e diretto per l’ospedale”.