Bisogna seguire i soldi per capire la “crisi” in cui si è infilata la sanità dell’Emilia Romagna. Il “modello Emilia” della regione rossa per eccellenza. Dove il privato non attecchisce e la sanità viene garantita a tutti, anche chi viene da fuori. E che si è svegliata nelle settimane di gennaio con una guerra fratricida interna all’Assessorato alla Sanità della giunta guidata dal governatore Stefano Bonaccini. L’assessore, Raffaele Donini, vecchio uomo (non in senso anagrafico) Pd, già giornalista dell’Unità e assessore ai Trasporti, contro la Direttrice Generale di origine greca, Kyriakoula Petropulacos, per tutti “Licia”. Donna inflessibile, una carriera a scalare posizioni e risolvere problemi (soprattutto di bilancio) della sanità di Bologna. Oggi defenestrata senza troppi grazie con una sospensione cautelativa messa nera su bianco in delibera di giunta dopo gli attriti e lo scontro a viso aperto della settimana scorsa. Sospensione che sembra avere poco del temporaneo.
Sanità Emilia-Romagna, Petropulacos “defenestrata”: inedito asse dirigenti-sindacati
“Ho trovato il mio ufficio sgombrato di tutte le mie cose che erano sul tavolo, nei cassetti e l’addetto informatico stava portando via il computer” ha dichiarato la ex Dg. Il motivo? A onor del vero ignoto. Tutto nato da una querelle di basso livello con i sindacati su screening e tamponi Covid per i dipendenti. Poco più che ordinaria amministrazione. I sindacati? “Hanno chiesto anche per iscritto la mia testa – ha detto al Corriere Petropulacos –. Ma non sono stati solo loro, anche alcuni direttori generali con i quali per me era molto difficile lavorare”. Un curioso e inedito asse dirigenti-sindacati. Dovuto a cosa? Di soldi – parlavamo – e di bilanci. Basta dare un’occhiata ai conti preventivi delle principali Aziende Unità Sanitarie Locali dell’Emilia (Ausl) per farsi un’idea della tempesta in corso.
Il 2022? In totale da una prima stima mancheranno all’appello “tra i 450 e 500 milioni” ha detto il 22 febbraio lo stesso assessore Donini, stemperando tuttavia i toni, e tornando a puntare Roma. Il governo è nel mirino dell’asse dei governatori che chiedono fondi dopo le spese eccezionali a causa del Covid. Nel 2020 i soldi sono arrivati, inclusi fondi europei che hanno aiutato a superare la mareggiata. Nel 2021 ancora no e non si sa, di preciso, quanti e quando arriveranno. Ma nell’anno appena trascorso c’è di più: si sono spesi soldi per la gestione del Covid, la sorveglianza sanitaria, sdoppiamento dei reparti, le vaccinazioni e via dicendo ma contemporaneamente sono crollati i ricavi. Discorso valido soprattutto per le “sanità di eccellenza” (come l’Emilia, ma anche Veneto o Lombardia) che vivevano di grandi avanzi contabilizzati grazie alla mobilità sanitaria interregionale dei pazienti. Oppure a visite e consulenze in intramoenia dentro le strutture pubbliche o convenzionate.
Ausl Romagna, i numeri del buco
Qualche esempio tratto dai bilanci preventivi del 2021? La Ausl Romagna mostra un risultato d’esercizio negativo per 106 milioni di euro, contro un micro avanzo dell’anno precedente, rispetto al consuntivo 2020. Motivo principale? “Si registra una riduzione – si legge nella stessa nota illustrativa del bilancio preventivo – del finanziamento destinato alla copertura dei costi Covid (aumentati di 55 milioni di euro rispetto al 2020, ndr) determinata dalla mancata riproposizione dei fondi ricevuti nel 2020 a seguito della presentazione dei progetti europei Fesr e Fse, nonché del finanziamento ricevuto dalla Struttura Commissariale per complessivi 74,7 milioni. Inoltre, le risorse stanziate nel 2021 a livello nazionale sono sensibilmente inferiori a quelle erogate nel 2020 per circa 26,7 milioni”.
Basta fare la somma ed ecco il “buco” di una sola azienda nonostante la Regione abbia provato a mettere una pezza con 34 milioni di euro aggiuntivi di finanziamento a sostegno dell’equilibrio finanziario (il pareggio di bilancio). Parlavamo della mobilità dei pazienti fra Regioni: i saldi 2021 per la sola l’Ausl Romagna portano a un ammanco di sei milioni di euro. Come anche il “sensibile calo per prestazioni a privati paganti”, non quantificato, seppur in leggere recupero negli ultimi mesi con i ticket sanitari.
Sanità Emilia-Romagna: in rosso anche l’Ausl Modena
Non è affatto un caso isolato. La Ausl Modena? Perde 15,3 milioni di euro (sempre a preventivo 2021) con i costi della produzione esplosi di ulteriori 43 milioni di euro in generale per la struttura. Sono 47 i milioni aggiuntivi che è costato il Covid nel modenese, azienda già risanata anni fa dalla stessa Dg di origine greca, di cui la voce più grossa (24 milioni) per i servizi sanitari legati alla pandemia. Il tutto mentre i finanziamenti legati all’emergenza si riducevano di 36 milioni (28 colmati dalla Regione) e i contributi in conto esercizio diminuivano di altrettanti 7,9 milioni. Ci sono anche micro-voci che rendono però molto chiara la situazione degli ammanchi: per esempio l’affitto dell’ospedale di Sassuolo, dopo la totale sospensione del 2020 come misura di sostegno per l’emergenza, ha ripreso solo nel secondo semestre 2021 portando a bilancio poco più di un milione di euro.
A Piacenza all’appello mancano 35 milioni di spesa
Andiamo avanti. Piacenza – nella prima ondata la seconda provincia più colpita d’Italia essendo lo snodo logistico del Paese dove magazzini e attività produttive non si sono mai sostanzialmente fermati – ha dovuto fare i conti nel 2021 con 47 milioni di “costi Covid”. Quelli coperti dallo Stato? Poco meno di 12 milioni. Mancano 35 milioni di spesa all’appello.
Sanità, esercizio negativo anche a Bologna
Andiamo nel capoluogo: Bologna. Il rendiconto preventivo dell’Irccs nel suo complesso ha previsto risultato d’esercizio negativo, con una perdita di 2,5 milioni di euro che deriva in larghissima parte dal disavanzo sul versante assistenziale quantificato in una perdita di 2,8 milioni pari al 5,24% del valore della produzione. In realtà aumentano il valore della produzione e i ricavi grazie a una serie di riassetti organizzativi come l’ unificazione con l’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Bologna della neuropsichiatria dell’età pediatrica con l’ampliamento complessivo di 12 posti letto in degenza ordinaria e 2 di day hospital e l’ingresso della Unità Operativa Complessa Oncologia del Sistema Nervoso che ha previsto un ulteriore incremento di altri 4 letti, ma analogamente aumentano anche i costi dell 11%. In particolare gli incrementi del costo del personale (27 milioni, +17% sul 2020) e dei beni sanitari.
Sanità in Emilia-Romagna, la cura da cavallo minacciata dalla dg
Senza andare ulteriormente nel dettaglio delle 18 diverse aziende sanitarie, inclusi gli Ircss, nella regione governata dal centrosinistra l’andazzo è chiaro. La Direttrice Generale aveva messo in piedi, almeno sulla carta, un piano che assomiglia tanto a una “cura da cavallo” per i diversi enti che nell’arco di un triennio avrebbe potuto riportare la situazione in equilibrio anche con le proprie forze e senza contare su un aiuto – per ora solo auspicato – e risolutivo di Roma. Perché una cosa è certa: i soldi del Pnrr che pure sono tanti non possono essere usati per rimettere in senso una situazione pesante e di cui è anche difficile trovare singole responsabilità.
Sanità, il piano dell’Emilia-Romagna per i fondi del Pnrr
Proprio il 22 febbraio Bologna ha annunciato il “suo” Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza che va inviato a Roma entro il 28 febbraio da tutte le Regioni: 530 milioni di euro che da Piacenza a Rimini serviranno a realizzare 84 nuove Case della Comunità (124,6 milioni), 45 Centrali operative territoriali (15,3 milioni), 27 Ospedali di comunità (68 milioni), transizione digitale degli ospedali (98,6 milioni), nuove apparecchiature ad alto contenuto tecnologico (80,8 milioni) e 14 interventi per il miglioramento e l’adeguamento sismico delle strutture ospedaliere (142 milioni). Notizia positiva – certo – ma c’è anche un’incognita che riguarda tutti: questa è la spesa per investimenti (soprattutto infrastrutturali in senso lato) che viene garantita dal grande piano europeo. Poi, a cose fatte, ci sarà la spesa corrente per far funzionare quelle stesse infrastrutture: significa personale, che spesso al momento non esiste nemmeno in astratto e va formato, manutenzioni e gestioni ordinarie, applicativi, costi amministrativi.
Emilia-Romagna, Petropulacos: “Ho detto troppi no”
Tutto ciò va trovato nei prossimi anni nei bilanci che già esistono, a meno di non voler tornare a un’epoca in cui l’equilibrio finanziario non è più una priorità, politica prima ancora che contabile. Farlo tenendo conto delle esigenze di tutti dentro sistemi complessi non è facile. E forse c’è anche questa ragione dietro l’addio forzoso dalla sanità emiliana di Kyriakoula Petropulacos. “Ho detto troppi no” ha dichiarato nell’ultima uscita pubblica. “Mi veniva richiesto di accondiscendere a scelte che personalmente non condividevo. Come la richiesta di aumentare la capacità edificatoria di un ospedale per acquistare un terreno e realizzare una casa di accoglienza per malati e parenti. Con i bilanci in disavanzo non si può, per me”. Chiunque arrivi dopo di lei dovrà comunque fare i conti con la realtà.