Il 40% dei caregiver oncologici manifestano disagio economico dopo l’insorgere della malattia nell’assistito. Per il 6% la situazione di criticità finanziaria diventa estremamente grave. Per quanto riguarda i cambiamenti nella condizione lavorativa dall’insorgere della patologia oncologica a seguito di diagnosi di cancro, in termini percentuali le fluttuazioni più importanti si registrano fra i lavoratori a tempo indeterminato, dove vi è una significativa diminuzione, dal 35,1% al 32,4%. A seguire sui pensionati (con un incremento del 2%) e sui disoccupati, cassaintegrati e liste di mobilità, che aumentano dal 4,1% al 5,5%. è quanto emerge dal XIII Rapporto sulla condizione assistenziale dei malati oncologici realizzato dalla Federazione Italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia (FAVO) e presentato fra il 13-16 maggio in occasione della Giornata Nazionale del Malato Oncologico. Un corposo lavoro di ricerca promosso da FAVO realizzato da Datamining, in collaborazione con Aimac, INT di Milano e Pascale di Napoli, che analizza il quadro italiano, il Piano Europeo di Lotta contro il Cancro i gap territoriali, il tumore al tempo del Covid e le innovazioni digitali nella gestione globale del sistema salute.
Caregiver oncologici: 57% donne, calo occupazione di 2 punti
Il focus invece sulle difficoltà finanziarie dei caregiver apre uno squarcio sul dramma di chi si ritrova a mutare radicalmente le proprie condizioni di vita per prendersi cura di un assistito. L’indagine è stata condotta su un campione di 1.205 caregiver, per il 57% donne e per il 43% uomini, con un’età media di 52 anni. Nella stragrande maggioranza dei casi si tratta di persone legate al malato di cancro da un rapporto di parentela: moglie, marito, figlia, figlio, sorella, fratello o genitore, ed in misura minore altre parentele. Per quanto riguarda il titolo di studio, si tratta di titolari di un diploma secondario nel 39% dei casi, nel 23,7% di laureati, nel 13,2% di titolari di qualifica professionale, nel 17,8% di scuola media inferiore e nel 5,1% di licenza elementare.
Dal punto di vista della condizione professionale al momento in cui ha iniziato ad occuparsi del paziente, si trattava di lavoratori dipendenti a tempo indeterminato nel 35% dei casi ed a tempo determinato nel 7% dei casi; di liberi professionisti nel 9% dei casi; pensionati nel 16% dei casi; e casalinghe nel 13%. Per lo più impiegati nei settori professionali di servizi, sanità, commercio, turismo, pubblica amministrazione, industria e agricoltura. In generale, si riscontra una diminuzione di circa il 2,5% della popolazione attiva (dal 60,8% al 58,4%), un dato che conferma la difficoltà di mantenere il lavoro durante la fase di assistenza legata alla malattia, anche al netto delle uscite del lavoro per età pensionistica, ma con valori meno incisivi di quelli riscontrati nella popolazione di malati.
Assistenza? Fino a 100 ore a settimana
In più della metà dei casi il caregiver convive con il malato e l’assistenza prestata riguarda, in ordine di importanza, l’accompagnamento, il supporto morale e psicologico, i rapporti con l’équipe curante, il supporto nelle attività quotidiane ed in quelle esterne ed anche il supporto economico; per un impegno orario settimanale medio di 42 ore, che in alcuni casi raggiunge livelli molto più elevati (fino a 100 ore settimanali). Numeri questo sull’impegno settimanale che fotografano meglio di qualunque dato quanto sia di fatto impossibile mantenere inalterata la propria condizione lavorativa. Sotto questo profilo gli ausili in termini di assistenza non provengono dal sistema di welfare ma in larga parte da forme di mutuo-aiuto famigliare. L’indagine ha permesso di rilevare i dati relativi al reddito, alle spese sostenute ed all’impegno lavorativo. Il reddito dei caregiver si è ridotto, da quando ha iniziato ad occuparsi del paziente, in 324 casi su 1.205 intervistati, in media del 29%. Rispetto alle cause della riduzione, quella più indicata sono le assenze, seguite dal rendimento lavorativo. Anche le spese sostenute vengono indicate come terza causa di riduzione del reddito, ed alla richiesta di indicare di che tipo di spese si sia trattato, i care-giver segnalano principalmente le spese di trasporto, alimentazione, assistenza domiciliare retribuita e supporto psicologico.
Elisabetta Iannelli: “Colpiti liberi professionisti e precari”
“Dall’analisi emerge con drammatica evidenza – dichiara Elisabetta Iannelli, Segretario Generale FAVO che il 28 maggio sarà ospite di “Salute Direzione Nord” alla Fondazione Stelline di Milano per parlare del ruolo del terzo settore in epoca Covid – come le tipologie di lavoratori dove il disagio economico è rilevante siano costituite dai liberi professionisti, dai lavoratori disoccupati o in cassa integrazione, dai lavoratori ‘fragili’, ovvero coloro che hanno contratti a tempo determinato o forme flessibili di lavoro”. “È necessario ed urgente – prosegue Iannelli – che vengano rafforzate le misure di sostegno a tutela del caregiver lavoratore”. Il riferimento è alla concessione di permessi o congedi retribuiti, adattamenti dell’orario di lavoro o giustificazioni per le assenze, per equiparare tutti i lavoratori ai contratti di lavoro subordinato. “Ma è ancora più urgente e non più rinviabile che si pongano in essere azioni positive a sostegno dei caregiver lavoratori autonomi e liberi professionisti, finora drammaticamente privi di adeguata tutela, se non in termini di eventuali minime agevolazioni fiscali o contributi economici una tantum”.
In effetti, anche se dal 2018 a oggi qualche intervento e stanziamenti specifici nelle leggi di bilancio sono stati inseriti, i dati FAVO fotografano esattamente quanto sottolineato da Elisabetta Iannelli: fra i caregiver oncologici il disagio economico rilevante viene riscontrato con particolare intensità per la tipologia del lavoratore flessibile (36% di coloro che manifestano un disagio economico rilevante appartengono a questa tipologia contro la quota della categoria sull’intero campione del 26%). Analogo discorso potrebbe farsi per i dipendenti privati (24% vs. 21%) mentre, al contrario, nel caso degli inattivi manifesta disagio economico rilevante “solo” il 31%, a fronte di una consistenza della categoria sul campione del 42%