A Roma e nelle Regioni lo sanno tutti. È il “nodo” da risolvere entro maggio 2022 per non perdere la tranche da 7 miliardi di euro del Pnrr dedicati alla sanità territoriale. La riforma dei Medici di Medicina Generale (Mmg). Per instaurare con gli stessi un rapporto di lavoro convenzionato – come già avviene oggi – ma con un impegno di orario fisso: 38 ore settimanali di cui 20 ore da svolgere negli studi e 18 ore dentro le nuove infrastrutture previste da Next Generation EU. Su tutte la Case di Comunità dove impiegare almeno 6 ore a settimana. Il Servizio parlamentare di Bilancio ha calcolato in un miliardo di euro l’anno, a regime dal 2026, gli oneri per la finanza pubblica e del servizio sanitario per remunerare il personale di Case e Ospedali di Comunità.
Ma quanti medici vorranno rinunciare alla libera professione?
Più facile a dirsi che a farsi. Già a luglio scorso la bozza formulata dal Gruppo di lavoro presso Agenas sull’Assistenza territoriale – chiarissima nei numeri su una seria di standard come Infermieri di Comunità, Distretti socio-sanitari, Centrali operative territoriali, Case e Ospedali di Comunità, Hospice – rimaneva vaga a dir poco su questo punto. È chiaro che serve un decreto o comunque uno strumento “snello”. I tempi sono troppo stretti per il lungo iter di un’iniziativa legislativa parlamentare e dal “basso”, fatta di audizioni e documentazione depositata nelle relative commissioni di Camera e Senato. Ancor più vista la partita che nella Capitale si sta giocando sulla Presidenza della Repubblica, con annessi, connessi e incognite anche post elezione al Quirinale a partire dall’eventuale e futura maggioranza parlamentare, che sta rallentando la discussione. Sullo sfondo l’incognita che riguarda proprio la scelta “simbolo” dei medici e dei loro sindacati: in quanti saranno disposti a passare dalla libera professione a un rapporto di lavoro simil-subordinato? Una domanda che pare quasi un controsenso nel Paese in cui la precarietà lavorativa e la non continuità dei rapporti contrattuali assume, in taluni settori, la portata di una piaga endemica. Ma che non smuove, per ora, la categoria “centrale” dell’assistenza sanitaria sul territorio.
Linee guida e atti di indirizzo per i medici “non massimalisti”
Bozze di decreto ancora non ne circolano. Linee guida e atti di indirizzo sì. Partoriti in sede di Conferenza Stato-Regioni. Oltre al rapporto di lavoro subordinato i punti centrali riguardano la relazione fiduciaria con i pazienti già oggi in carico: come intaccherà su questi la nuova formula di “convenzionamento”? Di certo l’ipotesi che per ora circola è quella che riguarda i medici cosiddetti “non massimalisti”: coloro che hanno un numero di assistiti inferiore ai 1.000 e dovrebbero completare l’impegno orario svolgendo attività organizzate e promosse dal Distretto. Che si aggiungono alle 18 ore in servizio presso gli studi privati dove va garantita una forbice fra le 5 ore (fino a 500 assistiti) e le 20 settimanali (1.500 pazienti). L’apertura dello studio va garantita 5 giorni a settimana nella fascia oraria 8.00-20.00 con due slot mattutini e due pomeridiani.
Medici, il sistema “a compensazione”
Il sistema sarà per così dire “a compensazione”: il medico che ha in carico 700 pazienti, per esempio, che significa un minimo di 7 ore settimane (1 ora ogni 100 pazienti) metterà le restanti 13 ore (che in astratto avrebbe passato in studio) a disposizione di attività e progetti promossi dal Distretto socio-sanitario come per esempio la stesura di Piani diagnostico terapeutici assistenziali (Pdta), Piani di assistenza individuali (Pai), progetti di salute, campagne di prevenzione, vaccinazioni, assistenza domiciliare, telemedicina e attività di studio e ricerca. A queste si aggiungo le restanti 18 ore di attività sempre eterodirette dall’alto, di cui almeno 6 nelle Case di Comunità.
Il nodo ancora non risolto della retribuzione variabile
Proprio alle “funzioni” sopra citate – che a seconda delle caratteristiche possono essere svolte nelle Case di Comunità (hub e spoke), in studio, nella sede della AFT (Aggregazioni funzionali territoriali) o in altri locali individuati dalle autorità sanitarie –: verrà legata una parte della retribuzione, altro nodo tutt’altro che sciolto nel nuovo schema di convenzionamento. Il 30% della stessa infatti verrebbe legata proprio al rispetto di obiettivi definiti dal Distretto e dalle AFT rispetto alle attività elencate in precedenza. Per adesso però nessuno è sceso a un maggior grado di dettaglio se non sancire il principio della retribuzione variabile. Mentre viene invece previsto che gli studi debbano essere collegati in rete e verranno incentivate le aggregazioni tra professionisti.