Da poco rieletta senatrice con i 5 Stelle nel collegio di Giugliano, in Campania, Maria Domenica Castellone è responsabile sanità del partito guidato da Giuseppe Conte. True-News.it l’ha intervistata trattando tematiche che vanno dalla sanità all’ambito farmaceutico.
Il Covid ha fatto emergere le crepe del sistema sanitario nazionale. Cosa c’è da migliorare o rinnovare?
La pandemia ha fatto emergere due crepe nel sistema sanitario. Una è che, nei momenti di crisi, a pagarne le conseguenze sono i più deboli, i più fragili, i malati oncologici. E’ mancata una rete di filtro con gli ospedali. Ora con il Pnrr possiamo rivedere tutta la rete di assistenza con gli Ospedali e le Case di Comunità. Anche qui, affinché questa riforma vada in porto e sia efficace, serve integrare in quelle strutture tutte le figure professionali, dai medici fino ai pediatri passando per il 118 e la guardia medica. L’altro aspetto emerso dalla pandemia è che la sanità non può essere gestita in 20 modi diversi: proponiamo, infatti, la revisione del titolo V dando un ruolo maggiore allo Stato Centrale.
La carenza dei medici, gli eroi della pandemia, è la prima emergenza che deve affrontare il nuovo governo? Secondo lei, in che modo?
La carenza di personale è una conseguenza dei tagli che ha subito la sanità negli ultimi decenni. Se pensiamo che, negli ultimi dieci anni che ci hanno preceduto, al Fondo sanitario nazionale erano stati tagliati 37 miliardi di euro e 46.000 medici e infermieri avevano lasciato il servizio sanitario pubblico per andare a lavorare nel privato e veder riconosciuto il proprio merito. Noi in questi anni abbiamo lavorato molto per integrare personale in ambito sanitario. Abbiamo fatto 40.000 assunzioni di personale. Però è chiaro che per riempire la carenza cronica che c’è serve molto più tempo e bisogna agire su due fronti. Il primo è quello della formazione. Ricordiamoci che, per esempio, per i medici avevamo quell’importo formativo, cioè quel ostacolo dovuto ai pochi posti disponibili di specializzazione che impediva a tutti i medici neolaureati di poter accedere a un percorso di formazione post-laurea perché nel 2018 c’erano solo 6200 contratti di formazione specialistica, a fronte dei 10.000 laureati ogni anno in medicina. Oggi questi posti sono più che raddoppiati perché sono 13.400. Quindi stiamo formando più medici specialisti e sappiamo che per lavorare in ospedale serve avere la specializzazione. Quindi tra qualche anno, quando i primi cicli di specializzazione che abbiamo finanziato saranno conclusi, noi andremo a colmare questa carenza di specialisti perché in realtà non mancano più che mancare medici. Mancano specialisti perché c’era l’imbuto formativo. Però noi, oltre ad aver fatto questo, abbiamo anche creato una struttura, una tecnostruttura, tra Agenas e Osservatorio scuole di specializzazione, che serve a programmare perché in questo Paese, fino ad oggi, si è programmato troppo poco. Quindi noi non solo formeremo più specialisti ma formeremo anche gli specialisti nelle branche dove c’è carenza.
Questi sono gli ambiti in cui bisogna intervenire per un’assistenza che sarà sempre più domiciliare, vicina al luogo in cui la persona vive e per una popolazione che sarà sempre più anziana e con malattie croniche. Molto bisogna fare anche per l’assunzione di altri specialisti nella sanità professionisti della sanità, in particolare gli infermieri. Ma per fare questo serve valorizzare i contratti. Oggi anche i concorsi di accesso alle facoltà infermieristiche vanno deserti, perché è una professione che offre poche opportunità di carriera. Di progredire nella carriera c’è, si esce dopo 40 anni con lo stesso stipendio con cui si è stati assunti. Questo è chiaramente inaccettabile e i nostri professionisti, in particolare i nostri infermieri, sono i meno pagati d’Europa. Infatti noi abbiamo inserito nel nostro programma anche proprio la valorizzazione dei contratti del personale sanitario. E poi serve superare quel vincolo di assunzione del personale legato ancora alle assunzioni del 2004.
Il caro energia si sta abbattendo sugli ospedali e sull’industria farmaceutica. Come affrontarlo?
Noi, da tempo, parliamo di pandemia energetica, cioè diciamo che si sta abbattendo sull’Italia questa crisi energetica, legata sia all’aumentato costo delle materie prime, ma anche alla speculazione che era in atto sul costo dell’energia e che, chiaramente, è stata aggravata dalla guerra. Purtroppo chiediamo interventi da tempo su due fronti. Il primo è un fronte europeo, mettendo in campo, così come è stato in pandemia, un Energy Recovery Fund, quindi uno strumento di debito condiviso che aiuti i Paesi più in difficoltà. Adesso ne sta parlando anche la destra. Però siamo stati i primi a proporlo già a inizio anno. Oltre a l’Energy Recovery Fund, sul piano europeo si deve lavorare al tetto, al prezzo del gas e soprattutto a piani di acquisto e stoccaggio comune. Poi ci vuole un piano italiano che metta in campo nuove risorse attraverso uno scostamento di bilancio che ormai è inevitabile e serve per aiutare le famiglie e le imprese, ma anche attraverso una visione a lungo termine che ci renda sempre più indipendenti dal punto di vista energetico. E per fare questo bisogna puntare sulle rinnovabili. Le strutture sanitarie, le RS, sono tra quelle che più stanno subendo i costi, aumentati i costi dell’energia, anche perché in queste strutture chiaramente non si può pensare al razionamento. E, seppure il governo a un certo punto deciderà di programmare un razionamento, è evidente che vanno preservati gli ospedali e le Rsa. E così come chiede la Fiaso, come chiedono tante associazioni e società scientifiche, l’idea di scorporare i costi dell’energia da quelle del bilancio delle strutture sanitarie, a mio avviso è un’idea assolutamente condivisibile.ù
C’è bisogno di una nuova e moderna governance farmaceutica? E di un adeguamento delle risorse pubbliche? Ritiene adeguato il sistema dei tetti di spesa?
Quello dei tetti di spesa è un modello che va superato e in particolare per le terapie genich e per quelle avanzate, seppur costose. Abbiamo proposto nel nostro programma di considerarle delle voci di investimento, perché queste sono terapie che davvero cambiano la qualità di vita delle persone. Cambiano anche proprio le prospettive e le aspettative di vita, possono far guarire una persona con una malattia rara o genetica. Pensare a nuovi modelli significa pensare anche a modelli come quello che abbiamo utilizzato, per esempio per le terapie carenti.
Ci spieghi un modello.
Noi proponiamo il modello “payment by results”, cioè il pagamento in base al risultato ottenuto. Se la terapia funziona, allora viene rimborsata. Ma il futuro della medicina in generale va verso terapie che saranno sempre più mirate, sempre più personalizzate. Chiaramente saranno più costose, ma a lungo termine comporteranno risparmio di spesa. Quindi come? Come conciliare la sostenibilità di questi nuovi farmaci con la tenuta del Servizio sanitario nazionale andando ad efficientare la spesa, riducendo gli sprechi, razionalizzando l’utilizzo delle risorse, ma certamente non tagliando fondi a questi settori invece in cui non bisogna mai smettere di investire, che sono anche quello della ricerca e dello sviluppo. Il nostro è uno dei pochi Paesi che, anche negli anni della crisi economica che hanno preceduto la pandemia, ha tagliato proprio ricerca e sviluppo, che è un settore invece che ha un alto fattore moltiplicativo. Infatti gli altri Paesi, Germania in testa, hanno investito proprio in questi settori col Pnrr. In parte questa tendenza si è invertita, ma questa deve essere la prospettiva e noi dobbiamo diventare sempre più attrattivi anche per investitori stranieri, per aziende farmaceutiche che vogliano venire nel nostro Paese. Investire, produrre qui nuovi farmaci, nuovi brevetti e finanziare sempre di più anche la nostra ricerca pubblica. Noi siamo uno dei paesi che finanzia di meno la ricerca pubblica: investe solo il 1,4% del Pil in ricerca e sviluppo. Eppure i nostri ricercatori sono ai primi posti nell’area Ocse. Tra i ricercatori che producono di più. Questo vuol dire che, nonostante le poche risorse, noi abbiamo delle eccellenze che dovremmo valorizzare sempre di più.
Come si può velocizzare la procedura per la disponibilità di nuovi medicinali, senza la valutazione nelle singole Regioni che aggiungono 10 mesi ai 13-14 di quella nazionale?
Riguardo ai tempi di messa in commercio in commercio dei farmaci innovativi che variano da regione a regione, anche qui entra di nuovo in campo il discorso di una gestione che in alcune materie, come quella della farmaceutica, della messa in commercio dei farmaci, deve avere una una governance sempre più centralizzata, quindi non demandata alle decisioni regionali ma centralizzata. Noi in realtà, per accorciare però questi tempi già nel disegno di legge concorrenza abbiamo previsto, ad esempio, che si può i produttori di farmaci generici possono avviare la procedura e la richiesta di messa in commercio quando ancora i brevetti sono sono validi. E questo per far sì che poi, a scadenza di brevetto, non serva altro tempo per la messa in commercio del farmaco, ma la procedura in qualche modo accelerato.