Non solo il “buco” da 800 milioni di euro certificato da Aifa con un’azienda farmaceutica ogni due in ritardo, in parte o del tutto, nei pagamenti. Il payback farmaceutico per le procedure di ripiano dello sfondamento sul tetto degli acquisti diretti per gli anni 2019 e 2020 continua a far discutere nel mondo pharma italiano.
Payback: il problema non sono gli ammanchi ma le conseguenze degli stessi
I veri problema del 2022 non sono nemmeno tanto gli “ammanchi” quanto le conseguenze degli stessi. Tutto passa dalle decisioni prese in sede di Legge di bilancio. Primo: la finanziaria 2022 ha aumentato il tetto complessivo della spesa farmaceutica pubblica. Che passerà dal 14,85% al 15% del Fondo sanitario nazionale nell’anno e poi a salire al 15,15% per il 2023 e al 15,3% per il 2023. Nel dettaglio il tetto per la spesa convenzionata (acquisti in farmacia) resterà invariato al 7%. Il tetto invece per gli acquisti diretti (che include proprio i farmaci usati dagli ospedali e quelli di classe A distribuiti dalle Asl e presidi) passerà dall’attuale 7,65% del totale del Fsn all’8%: 185 milioni di euro aggiuntivi quest’anno, 375 milioni nel 2023 e 575 milioni di euro nel 2024 si stima nelle relazioni di accompagnamento al bilancio dello Stato.
Payback: la differenza tra risorse disponibili e spesa effettiva resta ampia
Quote più elevate che, almeno sulla carta, sembravano essere una buona notizia in grado di garantire il non superamento dei tetti o sfondamenti più ridotti. Ma non è tutto oro quello che luccica. Da calcoli che girano fra gli addetti ai lavori è già dimostrato che nonostante gli aumenti dei tetti in finanziaria la differenza tra risorse disponibili e spesa effettiva rimane talmente ampia che anche per i prossimi anni, senza un cambio radicale di rotta, persisteranno payback molto rilevanti. E a cascata, molto probabilmente, i ricorsi amministrativi delle aziende contro le decisioni dell’Aifa. Proprio evitare i contenziosi (che costano e “ingolfano” la macchina) è stata la parola d’ordine degli ultimi due anni nel settore. Con tutte le speranze riposte nelle modifiche apportate nell’ultimo biennio alla farraginosa procedura per calcolare il payback che è stata notevolmente semplificata. Il nuovo metodo di calcolo del disavanzo avrebbe dovuto far cessare i ricorsi e i contenziosi. Così non è stato e con ogni probabilità così non sarà.
Payback, aumenti dei tetti solo per chi ha pagato
Il secondo nodo riguarda le aziende ma anche l’intero servizio sanitario nazionale e i pazienti. Perché governo e maggioranza, sempre in Finanziaria, hanno aggiunto delle postille alla misura: entro 60 giorni dall’entrata in vigore della legge – i primi di marzo – il Ministero della Salute, Il Ministero dell’Economia e delle Finanze e la stessa Aifa emaneranno un decreto congiunto per applicare l’aumento dei tetti “esclusivamente in favore delle aziende farmaceutiche che hanno provveduto all’integrale pagamento dell’onere di ripiano per gli anni 2019 e 2020, senza riserva”.
La penalità per chi non è in regola con i pagamenti
Inoltre c’è anche una penalità per chi non è in regola con i pagamenti: verso le aziende farmaceutiche dove si ravvisano mancati pagamenti, in tutto o in parte dell’onere di ripiano previsto per il relativo AIC (Autorizzazione all’Immissione in Commercio), Aifa avvierà le procedure per la cessazione del rimborso a carico del Servizio sanitario nazionale dello stesso. L’Agenzia ha garantito che avvierà la sospensione del convenzionamento solo dopo aver prima individuato la “sostituibilità del farmaco con altro medicinale di analoga efficacia”.
Payback, un messaggio forte per chi non rispetta le regole
È un messaggio politico forte per chi non rispetta le regole – anche quando ritenute ingiuste – ma che rischia di creare uno tsunami e disparità di trattamento forieri di ulteriori contenziosi. Dall’elenco di Aifa aggiornato al 18 gennaio 2022 emerge infatti come per l’anno 2019 ben 83 aziende siano inadempienti, del tutto o in parte, rispetto alla propria quota. Sono 63 invece sul payback per l’anno 2020.
Senza darsi a facili allarmismi sul mancato rispetto delle norme va detto che dentro questa lista, contenente quasi un’azienda ogni due, c’è anche chi non ha pagato 41 euro stimati. È il caso più estremo verso il ribasso. Ma ce ne sono altre “indietro” di 30 milioni di euro sul saldo.
Cosa succede se le società non saldano il conto entro marzo?
La domanda che rimane è: quante di loro producono farmaci oggi in regime di Servizio sanitario? Quali e quanti pazienti servono? Si tratta di persone che, senza alcuna conseguenza sul piano clinico-terapeutico, potrebbero cambiare farmaco con un altro di “analoga efficacia” come scrive Aifa oppure no? E ancora: se le disposizioni governative dovessero rimanere uguali e le società non saldassero il conto entro marzo come impatterebbe la sospensione del regime di convenzionamento sui conti delle aziende stesse e su filiera e indotto a cominciare dalla logistica? Domande a cui per ora nessuno ha dato una risposta.