Finita una tappa ce n’è subito un’altra, senza sosta. È una metafora ciclistica quella che esprime bene il tour de force del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza che in questi mesi approda dal Governo alla Regioni. Che sono preoccupate da tempi e procedure. Entro il 28 febbraio va presentato il piano a Roma. Entro il 31 maggio va sottoscritto il cosiddetto Contratto Istituzionale di Sviluppo, garantendo la realizzazione degli interventi. Serve questo per ottenere i fondi europei, anche quelli che riguardano la sanità, competenza semi esclusiva di governatori e assessori regionali e che assorbe l’80% delle risorse a bilancio. Che in un documento congiunto della Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome del 16 febbraio 2022 ha messo a chiare lettere qual è lo stato dell’arte. “Dal punto di vista tecnico, le attuali criticità sul Pnrr per la Sanità derivano dalla necessità di rispettare i target intermedi e le milestone di fase iniziale ed intermedia. Tali target, come evidenziato dalla Commissione e dai nostri tecnici, appaiono particolarmente “impegnativi” con riferimento alla progettazione e all’espletamento delle gare per appaltare interventi in edilizia”.
Pnrr e Regioni, la clausola: se sbaglia uno, pagano tutti
Non bastasse ci sono anche quelle clausole che per un errore o un ritardo di qualcuno rischiano di far pagare tutti: sono le condizioni risolutive, che comportano che l’inadempimento\l’adempimento tardivo di uno o più territori “possa avere conseguenze negative a livello nazionale” e “non dà completa certezza sull’accettabilità definitiva delle risorse”. Cosa servirebbe? Per le Regioni che i Ministeri mostrino “una grande attenzione alla semplificazione delle procedure, in modo che tutte le amministrazioni possano adempiere, in un contesto di regole tecnico amministrative chiare a priori e le spese siano facilmente rendicontabili” perché “la normativa relativa al Pnnr è densa di adempimenti e di requisiti da assolvere, requisiti plurimi che sono stati comunicati (e si teme verranno ancora comunicati) alle Regioni a programmazione già predisposta” come ad esempio una circolare Ministero dell’Economia e delle Finanze inviata agli enti locali il 30 dicembre 2021, data di approvazione definitiva della Legge di Bilancio, sugli obblighi per il DNSH (Do no significant harm), cioè una sorta di guida operativa in realtà partorita nei contenuti al Ministero della Transizione ecologica di Cingolani per far sì che qualunque riforma o investimento debba soddisfare il principio di “non arrecare danno significativo agli obiettivi ambientali” recita la stessa.
Pnrr, la denuncia dei governatori: “Difficoltà a fornire indicazioni puntuali”
Una è arrivata a Capodanno. Il 18 gennaio 2022 sono giunte le risposte a delle criticità sottolineate dalla Regioni stesse ma che erano state inviate a Roma a luglio dell’estate precedente. All’asse dei governatori e delle loro strutture tecniche sembra un po’ troppo. Tanto che “ad oggi – scrivono – si rileva ancora una difficoltà complessiva, del sistema Paese, nel riuscire a fornire indicazioni puntuali e complete sulla definizione degli oggetti del Pnrr”. In ballo ci sono cifre importanti e criticità ancora più importanti. Su tutti? Lo dicono chiaro: la disponibilità di personale. “Il ‘cambio di passo’ verso una nuova assistenza territoriale – scrive in un documento allegato la Commissione Salute della Conferenza delle Regioni – caratterizzata dalla medicina di iniziativa, richiede la presenza di professionisti sanitari. Attualmente le nostre Università non riescono a offrire un numero di infermieri laureati sufficienti al potenziamento del territorio”.
Pnrr, le Regioni: “Ristrutturare l’offerta didattica non è semplice”
E ancora: “Ristrutturare l’offerta didattica non è semplice: occorrono nuovi corsi di laurea, professori, aule, il rispetto delle direttive europee, il dialogo fra Ministeri. Occorre agire con forza per superare le drammatiche conseguenze del cosiddetto imbuto formativo, che per anni ha impedito ai medici laureati di entrare in specialità e che ancora oggi specializza un numero di medici per singola specialità insufficiente rispetto alle richieste del nostro Servizio Sanitario Nazionale”. Sono temi noti ma mai messi tutti così esplicitamente sul tavolo dopo la “sbornia”, almeno immaginaria, che il grande piano di aiuto europeo aveva garantito nel corso del 2021. Ora che i tempi si accorciano salgono anche i timori.
Il tema dei medici di base e delle Case di Comunità
Un altro esempio? I Medici di base e il loro lavoro all’interno della Case di Comunità. Come più volte scritto da true-news in queste settimane il tema è il rapporto di lavoro. A oggi medici e pediatri di libera scelta sono liberi professionisti in regime di convenzionamento. Così le Case di Comunità non potranno funzionare e serve almeno una quota degli iscritti agli Ordini professionali che si presti a rapporti di lavoro subordinati o simili. Sembra facile, non lo è. La legge (c’è uno schema approvato in Conferenza Stato-Regioni) e comunque bisogna fare i conti con una professione che non attira più da tempo. Solo per restare alla fredda cronaca, il 23 febbraio in Lombardia sono stati auditi i rappresentanti dei medici di base chiamati dalla Commissione Sanità del Consiglio regionale. Hanno portato numeri allarmanti seppur ristretti a piccole aree geografiche: su 36 nuovi inserimenti in Provincia di Bergamo, ben 24 medici lasceranno il posto entro fine mese. Rinunce che, sommate ai pensionamenti, rischiano di mettere sotto stress il sistema dell’assistenza territoriale proprio mentre arrivano i fondi per investire sulla stessa.
Pnrr e Sanità, i conti: Regioni e Province attendono 8 miliardi
Riassumendo i conti del Pnrr “Sanità” a Regioni e Province devono arrivare 8.03 miliardi di euro di cui 6,5 dal Pnrr e 1,45 dal Fondo Nazionale Complementare. Vanno realizzate 1.350 Case di Comunità (costo stimato: due milioni di euro ciascuna) con destinazione delle risorse per il 45% al Mezzogiorno. 380 saranno gli Ospedali di Comunità e 600 le Centrali Operative Territoriali che costeranno 103 milioni di euro di cui 42 per l’interconnessione e 58 per i device. Questa è la sfida più immediata anche nel tempo. Ma non finisce qui: ci sono 1,45 miliardi per la digitalizzazione dei Dea,l’informatizzazione, la gestione dell’attività clinica di Pronto Soccorso e dei blocchi operatori, cartella clinica elettronica ospedaliera con sistema informatizzato di prescrizione e somministrazione dei farmaci, repository e order entry. Poco più di un altro miliardo (1,18) per il parco tecnologico sanitario dopo aver stimato un fabbisogno complessivo di 3.133 grandi apparecchiature e attrezzature ad alto contenuto tecnologico in sostituzione di attrezzature caratterizzate da una vetustà maggiore di 5 anni come, in particolare con riferimento alla radiodiagnostica digitale (TAC, RM, Mammografi, Angiografi, apparecchiature di radiologia), gli ecotomografi, le attrezzature per la radioterapia (Acceleratori Lineari) e la medicina nucleare (Gamma Camere, Sistemi integrati TC/Gamma Camere e PET/TC).