“Ho sempre cercato di far innamorare i cittadini di questa istituzione, è la seconda più antica dopo il Duomo. Attraverso il racconto di quello che è successo in questo ospedale nei secoli, si racconta buona parte della storia di Milano e della Lombardia”. Alla guida di uno degli ospedali più antichi d’Italia, fondato nel XV secolo dal Duca Francesco Sforza, ci sarà per altri cinque anni Marco Giachetti.
Nel ruolo di presidente del Policlinico di Milano lo ha designato il governatore di Regione Lombardia Attilio Fontana. Una nomina che arriva con qualche settimana di ritardo – “È stato un giro di nomine un po’ più complicato delle scorse volte” – insieme a quella dei Consigli di amministrazione delle 4 Fondazioni Irccs pubblici lombardi. Nel frattempo, a sostenere l’architetto in quota Lega sono scese in campo 70 associazioni e sigle sindacali – “Mi ha fatto molto piacere; anche questa spinta da parte della società civile ha contribuito a farmi fare un altro mandato e a concludere il lavoro iniziato” – che hanno firmato delle lettere per chiedere continuità alla guida di questa istituzione milanese.
Da architetto, come ha valorizzato il patrimonio culturale della Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico?
Essendo il nostro un ospedale storico, la Fondazione ha un patrimonio culturale incredibile. Quando sono arrivato, era poco valorizzato e non visibile al pubblico, tenuto in archivi e scantinati. La mia idea all’inizio è stata, in quanto architetto, rivedere e ridisegnare il piano terra del palazzo uffici, dove ci sono gli uffici amministrativi dell’ospedale, ottimizzando gli spazi di lavoro da un lato e liberando un’ala che nel 2019 abbiamo destinato a museo della Fondazione. Qui c’è una selezione dei 1100 ritratti che abbiamo dei nostri benefattori. Ne abbiamo esposti solo 23 per ragioni di spazio. Abbiamo dei capolavori importanti, una collezione di strumenti medicali e un percorso museale con l’archivio storico, che racconta la storia dell’ospedale dal 1456 ad oggi. Recentemente abbiamo aggiunto la visita della Cripta sotto la Chiesa dell’Annunziata dove c’è una mostra permanente sullo studio in corso insieme all’Università degli Studi di Milano con la professoressa Cattaneo dei resti di 150mila persone, morte in ospedale tra il 1600 e il 1700 e seppellite sotto la cripta dell’ospedale. Ora l’obiettivo è, a ospedale finito e tutto sistemato, spostare una parte degli uffici in via Francesco Sforza e dedicare almeno un’ala al Museo della storia della città.
Con questa riconferma nel ruolo di presidente, potrà inaugurare tra un anno il nuovo Policlinico.
Sarà un ospedale di prossimità, per tutti, nel cuore della città, moderno, all’avanguardia e pubblico, con un progetto di autofinanziamento per il 70% grazie alla filantropia e alla beneficenza di tutti i milanesi nei secoli, che abbiamo rimesso in gioco con questo progetto, che da un lato finanzia l’ospedale, dall’altro porta una progettazione di 600 alloggi a canone concordato e convenzionato in housing sociale. Il nuovo Policlinico rdisegnerà anche gli spazi pubblici. L’obiettivo era quello di ricostruirlo all’interno dell’edificio, quindi senza consumare suolo. Volevamo rendere permeabile un pezzo di città, quindi invece che fare il giro da San Barnaba e ritornare in Francesco Sforza, percorrendo la galleria che avrà spazi commerciali, si potrà arrivare direttamente alla fermata della metropolitana all’ingresso dell’ospedale, sul lato di Francesco Sforza. Ci sarà anche un giardino pensile sopra, sarà principalmente al servizio dei pazienti e degli operatori, poi in certe occasioni faremo eventi aperti a tutti, per poter visitare e utilizzare questo spazio.
Regione vi ha sostenuto nei vostri progetti?
La Regione sta investendo molto nell’innovazione tecnologica, nella ricerca biomedica e nelle scienze della vita e crede molto nei nostri progetti. Stiamo unendo le forze dei 4 IRCCS nel campo della medicina. Il Policlinico di Milano è il primo istituto pubblico per quantità e qualità di ricerca scientifica in campo medico.
E ora state progettando il nuovo hub dell’innovazione al Mind. Com’è coinvolto il Policlinico?
Come Policlinico siamo stati capofila di un progetto preparatorio della fondazione innovazione, sviluppo e trasferimento tecnologico (FITT). Abbiamo coordinato 2 anni di lavoro per allineare tutti gli uffici e creare dove non c’erano, nei 3 IRCCS milanesi e in quello di Pavia, il trasferimento degli uffici di innovazione. Noi avevamo quello più avanzato e ci siamo fatti promotori nel parlare la stessa lingua, usare gli stessi database su cui fare ricerca, riuscire a trasformare le idee dei nostri ricercatori, brevettarle, e farle diventare un farmaco o una tecnica. Il presidente Fontana crede molto in questo progetto, abbiamo fondato tutti insieme con Arexpo, dove sorgerà la sede di questa fondazione che si occuperà del trasferimento tecnologico di tutti i brevetti che fanno i nostri ricercatori nei nostri ospedali per metterli al servizio dei cittadini, portare ancora di più la Lombardia all’avanguardia nel campo delle scienze biomediche. La Fondazione è già esistente, è stata inaugurata l’anno scorso.
Attualmente la sede è negli uffici Arexpo in regione Lombardia, ma grazie ai fondi che ha messo a disposizione Regione avremmo temporaneamente la sede presso Arexpo in cascina Triulza. Regione ci ha dotati di un fondo di 15 milioni per costruire un edificio dentro Mind che sarà sia la sede di FITT che quella di Arexpo. È importante che sia a Mind perché ci saranno lì le sedi di aziende che si occupano di bioscienze, di scienze della vita e di innovazione tecnologica. Essere lì per IRCCS pubblici lombardi significa avere contatti unici con progetti innovativi. È una posizione strategica.
Con la Fondazione state cercando di diffondere un nuovo modello di assistenza e cura, più attento alla persona e all’accessibilità dei servizi. Queste caratteristiche, insite nello spirito sociale del Policlinico, derivano anche dall’esperienza del Covid? Cosa ha lasciato la pandemia nella sanità italiana?
Il covid ha insegnato in primis che bisogna lavorare in gruppo e che nessuno è indipendente. La medicina deve occuparsi a 360 gradi della persona. Parallelamente è importante la cura dell’ambiente. Grazie al patrimonio agricolo che abbiamo in gestione, stiamo cercando di fare quella sanità a 360 gradi, one health, dove cerchiamo di migliorare la qualità dell’aria, aumentare la biodiversità, creare ecosistemi che permettano di usare meno chimica nell’agricoltura. Facciamo anche corsi gratuiti per gli agricoltori, per spostarsi verso un’agricoltura più ecosostenibile. Tutto l’ambiente, l’aria che respiriamo, la salute degli animali, sono importanti per la salute. Inoltre, un altro insegnamento è imparare a interagire tra gruppi diversi di lavoro e la collaborazione ha rafforzato i rapporti all’interno dell’ospedale, tra colleghi. Dal Covid si lavora molto più in team.
La sanità pubblica è però tra le più colpite dai tagli di spesa pubblica.
Negli ultimi anni si sono fatti troppi tagli sulla sanità pubblica. L’ultimo governo ha rimesso delle risorse per la società. La sanità pubblica deve essere potenziata. In Italia soprattutto in Lombardia è un bene prezioso, che funziona bene, ma ha bisogno di risorse da parte di tutti. Siamo fortunati che regione Lombardia aumenti sempre il budget che lo Stato gira alla regione, con un po’ più di autonomia si potrebbe fare anche di più.
Dunque è favorevole all’autonomia differenziata?
Sì, la vedo bene. Questo responsabilizzerebbe anche le regioni meno virtuose a ragionare in termini di efficienza e risparmio. Permetterebbe a tutti di riallinearsi verso i livelli di eccellenza della sanità italiana che ha un sistema sanitario primario e di eccellenza rispetto ad altri paesi europei.
La Regione sta limitando il ricorso alle cooperative e ai medici gettonisti, è d’accordo?
Io sono d’accordo con le scelte che sta facendo Regione. Questo permetterebbe di dare più stabilità a tanti giovani medici. Se vogliamo dare prospettiva a chi studia medicina, bisogna lavorare sulla possibilità di dare spazi non temporanei ma a lungo periodo. Questo inciterebbe i medici a innamorarsi ancora di più della professione, anche grazie alla possibilità di avere una prospettiva a lungo termine. Inoltre, ne beneficerebbe anche il rapporto con i pazienti: un medico che conosce la struttura e i suoi pazienti riesce a dare molto di più di chi arriva sporadicamente.