Cosa deve fare la riforma della legge 23 in Lombardia? “Scaricare a terra le opportunità del Recovery Plan”. Parla chiaro il professor Pietro Previtali, Direttore dell’Excutive Master in Management Strategico e Leadership delle Organizzazioni Sanitarie dell’Università di Pavia (EMMLOS). L’opportunità per parlarne? Il 30 aprile. All’incontro organizzato dal master con il titolo: “Reimmaginare il sistema sanitario regionale – Pensiero strategico, organizzazioni antifragili e innovazione strutturale”. Ospiti d’eccezione: a cominciare da Domenico Mantoan, lo storico manager della sanità veneta approdato nel 2020 alla Direzione Generale di Agenas, una delle maggiori istituzioni sanitarie in Italia, e Giovanni Pavesi, il Direttore Generale Welfare della Lombardia. Sul piatto tanti temi: la legge 23 da riformare – certo – ma anche le risorse del Recovery Plan che approderanno in Lombardia.
“Inerzia istituzionale anche nella sanità”
Il convincimento di Previtali? Che parlare solo di miliardi di euro e stanziamenti ha poco senso se non si strutturano modelli organizzativi e governance di spesa che permettano di trasformare le parole dei Piani di rilancio in azioni concrete. Lo spiega con un esempio semplice: “Durante la pandemia è saltata la cosiddetta assistenza di territorio?” si domanda retoricamente. “Certo – risponde – ma nella legge 23 i Presidi territoriali ci sono eccome”. Il problema, secondo il docente universitario, è che se vengono definiti per legge a dicembre 2015 è quasi impossibile che siano implementati a dicembre 2019? Stesso discorso per le cooperative dei medici: nate proprio per la presa in carico dei pazienti cronici con la cosiddetta riforma Maroni. Perché questo accade? “Come dice Draghi questo è un Paese che si dà un orizzonte ma il sistema vive di piena inerzia istituzionale iper regolamentata, come anche giusto che sia nella sanità, e i tempi non sono mai sufficienti”.
“Nella sanità mancano gli innovation maker”
Un problema di classe dirigente? “Non credo o quantomeno non soltanto – dice il professore –: i Direttori degli ospedali o delle Asst sono adeguati, a volte hanno curricula sterminati, ma quello che manca è il management di medio livello: quanti ‘innovation maker’ ci sono dentro l’organigramma di un Asst o di un ospedale? E se non ci sono, come effettivamente è, chi e come gestirà nei prossimi anni la partita sulla telemedicina o quella sulla sanità digitale?”. Per Previtali è “chiaro che non non se ne può occupare il Direttore Generale anche se ha un cv pluriennale. Di fatto abbiamo dei generali senza esercito e questo si traduce poi sul territorio e sui cittadini: siamo sicuri che chi vive in Lombardia negli ultimi cinque anni si sia accorto che le Asl non esistono più? Che è cambiato il modello e che adesso deve cambiare nuovamente?”. È questo il succo della sua riflessione: “Se manca il modello organizzativo si arriva nella situazione in cui dei professionisti clinici di alto livello come quelli lombardi, come dimostrano i flussi di pazienti interregionali che vengono qui a farsi curare, sono lasciati orfani di quelle competenze organizzative, di innovazione, i cosiddetti ‘middle manager’ che non ci sono: abbiamo degli ottimi primari, degli ottimi oncologi, ma non puoi chiedere a loro di implementare modelli gestionali”.
“Obiettivo: contaminare la sanità”
Chi e come deve farlo? “Distinguiamo i livelli – risponde Previtali a True Pharma –. Primo: c’è da definire i valori, senza i quali non si decide nulla. Il modello lombardo è costruito sull’universalismo del welfare ma anche su partnership pubblico-privato e sulla sussidiarietà. Se questi valori sono da mantenere allora vanno messi nero su bianco e bisogna evitare ogni cinque anni le polemiche sul pubblico, sul privato o sul privato accreditato”. Secondo? “Un orizzonte temporale”. “Non si fa una riforma per vedere i risultati nel 2023. La si fa per il 2030. Tenendo conto di tecnologie e trend demografici”. Terzo? “Contaminare la sanità”. Cosa vuol dire? Significa lavorare sulle professionalità e, di conseguenza, sugli incentivi economici e non per attirare in certi luoghi di lavoro i più giovani e brillanti laureati. “Il team che gestisce i posti letto deve avere al suo interno economisti e ingegneri gestionali, oppure vogliamo davvero che le risorse siano in mano al caposala di un reparto?”. “Chi se ne devo occupare di una cartella clinica se non informatici, ingegneri, esperti di big data?” dice Previtali. Stesso discorso per il teleconsulto o la telemedicina” che oggi è sulla bocca di tutti anche alla luce del miliardo di investimenti promessi con il Pnrr italiano, più altri tre miliardi sulle cure domiciliari. “Qual è la governance?”, si domanda il Direttore di EMMLOS, “chi prenderà le decisioni dentro l’assessorato al Welfare su questa partita e chi farà monitoraggio dei risultati raggiunti dentro la macrostruttura e nei livelli inferiori dentro alle Asst, visto che in organigramma non ci sono le competenze?”.
“Servono specializzazioni universitarie per la Medicina Generale”
Ultimo? “Se si decide di appoggiare una riforma sul ruolo dei Medici di Medicina Generale, com’è possibile che siano tutti dei liberi professionisti? Non hai nessuna leva. Per questo vanno contrattualizzati trovando la formula adatta e bisogna iniziare a pensare a delle specializzazioni universitarie sulla Medicina Generale, proprio come accade per qualunque altra branca della medicina”.
Spunti, certo. Ma necessari. Alcune delle risposte si proverà a darle già il 30 aprile partendo dalla carta fondante del master di Pavia che si basa su tre valori: universalismo e dignità della persona; sostenibilità come opportunità di investimento e non come problema a cui adattarsi per circostanze esterne; merito e capitale umano.