di Francesco Floris
Partiamo da numeri. Importanti in Lombardia. Il settore socio-sanitario della regione è uno dei più sviluppati in Italia: nel 2015 la spesa rivolta agli over 65 era di 561 euro pro capite, il terzo valore più alto dopo Veneto ed Emilia-Romagna. Nel 2019 risiedevano nelle Residenze sanitarie assistenziali (Rsa) il 4,3% degli ultra65enni lombardi, in forte aumento rispetto alla stessa rilevazione del 2018 (3,8%) e al 3% rilevato dall’Istat nel 2016 e riferito all’intera offerta residenziale, comprensiva delle unità “leggere”. Il tasso lombardo è inferiore soltanto a quello di Trento (9,6%) e del Piemonte (4,5%). Ad ogni modo il primato nazionale inscalfibile delle regioni del Nord Italia nella copertura dei servizi residenziali si ridimensiona nel confronto con le altre nazioni europee basandosi su dati Ocse: meglio di Spagna, Portogallo e Irlanda ma molto simile a quelli di Germania, Francia e paesi scandinavi (4%-4,5%). Se si allarga al campo del “benessere” nella sua interezza si vede come in Italia il 42% degli over 65 anni si dichiari “in salute” contro il 68% della Norvegia e comunque dietro a Irlanda, Svezia, Olanda, Regno Unito, Danimarca, Finlandia e Spagna e davanti a Germania, Francia, Grecia e Portogallo.
Istat: fra 10 anni 500mila over 85
La sfida è riformare questo intero sistema. Alla luce dei dati, in parte di ciò che avvenuto durante la pandemia Covid ma soprattutto alla luce delle proiezioni demografiche: sempre secondo l’Istituto Nazionale di Statistica, fra il 2020 e il 2030 le persone con più di 65 anni residenti in Lombardia cresceranno da circa 2 milioni e 300mila unità a 2 milioni e 710mila (+18%). Fra dieci anni gli ultra-ottantacinquenni potrebbero essere vicini a quota 475mila (+33%).
Nel 2050 il 2,5% del Pil per “Long Term Care”
A livello nazionale, secondo la Ragioneria Generale dello Stato, il valore dei servizi per “Long Term Care”, che oggi ammonta all’1,7% del Prodotto interno lordo, raggiungerà il 2,5% del Pil prima del 2050. Oltre all’invecchiamento della popolazione, fra i motivi di questo trend anche la maggiore partecipazione al mercato del lavoro da parte delle donne, le quali non rivestiranno più il tradizionale ruolo di perno nel sistema di welfare “familistico” che ha caratterizzato l’Italia per decenni. In Lombardia, dai primi anni Duemila al 2019, la percentuale di donne in età attiva che hanno un lavoro è passata dal 51 al 60%. Inoltre sono sempre più le persone che si affacciano alla terza e alla quarta età prive di conviventi o senza una solida rete di supporto. Tra il 2009 e il 2019 gli ultra 60enni residenti in regione che vivono da soli sono aumentati da 603mila a 814mila. Solo considerando la popolazione degli ultra 75enni, i non autosufficienti sono 180mila, mentre la dotazione di posti letto regionale, anche considerando quelli “solventi” cioè non finanziati dal sistema sanitario in convenzione, raggiunge appena i 65mila posti.
Lo studio Cgil
È quanto emerge dalla corposa ricerca “Pandemia ma non solo. Le criticità del pianeta Rsa in Lombardia. Prospettive di intervento”, realizzata dalla Spi Cgil Lombardia insieme all’Associazione “Ires – Lucia Morosini” e presentata lunedì 15 marzo in diretta Facebook durante il convegno “Rsa, conoscerle per rinnovarle” alla presenza anche del presidente della Commissione Sanità della Lombardia, Emanuele Monti (Lega) e il consigliere regionale del Partito democratico, Carlo Borghetti.
Borghetti (Pd): “Rsa? Stessa retta, redditi diversi”
Proprio per Borghetti l’occasione per mettere mano all’intero sistema socio-sanitario c’è adesso con la riforma della legge 23/2015, la cosiddetta “riforma Maroni”. Obiettivo? Far diventare la Rsa “il fulcro di una filiera di interventi che vanno dal domicilio all’hospice, passando dall’assistenza domiciliare alla badante, al centro diurno integrato per anziani, agli alloggi protetti” dice il consigliere del Pd. Che si focalizza sia sulla “popolazione anziana fragile aumenta ed è destinata a crescere nel tempo” ma anche sulle disuguaglianze interne a quella stessa popolazione. Attenzione alla “stessa retta – dichiara Borghetti – per chi ha redditi ben diversi” con molti che “non possono permettersi una Rsa, mentre la Regione non copre i costi sanitari di sua competenza, come previsto dai Lea, che vengono fatti ricadere sugli ospiti. Vanno aggiornati gli standard strutturali e quelli gestionali, servono protocolli con le Asst a sostegno delle Rsa e serve un rinnovato rapporto tra Rsa e famigliari con l’istituzione del Consiglio dei parenti, per migliorare anche la comunicazione”.
Monti (Lega): “Revisione legge 23 e 700 milioni per la medicina di territorio”
Per il presidente Emanuele Monti (Lega), la revisione della legge 23/2015 è invece l’occasione “per rilanciare il percorso di integrazione fra sanitario e sociosanitario già avviato nel 2015”, due settori che “non vanno interpretati come compartimenti stagni”. “Siamo tra i popoli più anziani del mondo – spiega Monti a True Pharma – negli ultimi 50 anni il rapporto 1 a 1 tra bambino e anziano è diventato 1 a 5” e “di conseguenza va aggiornato il sistema di presa in carico del paziente geriatrico, nonostante la Lombardia sia da sempre un’eccellenza sul panorama nazionale in termini di investimento e di rete d’offerta”. Questo l’obiettivo che si prefigge il presidente della Commissione Sanità del Pirellone per il futuro. “Fondamentale – aggiunge – sarà un impegno rinnovato del Governo nell’investire nel sociosanitario con fondi mirati”. “La Lombardia darà ulteriore slancio a tutte quelle realtà che – ricorda – sono nel 71% dei casi di natura no-profit”. Come? “Cercando di rilanciare la medicina di territorio a partire da distretti sanitari erogativi di dimensioni più piccole, oltre ad investire oltre 700 milioni di euro su strutture sanitarie territoriali”.
Il censimento delle Rsa lombarde
Proprio alcuni dei punti sottolineati dal consigliere regionale della Lega emergono anche dalla ricerca condotta dalla sigla pensionati della Cgil r riguardano una serie di aspetti. Primo: se è vero che la Lombardia si piazza terza, in ottima posizione fra le regioni italiane, per le risorse destinate agli over 65 con 561 euro pro capite, è vero anche che dentro questa cifra ci sono marcati squilibri e sproporzioni: la spesa per i servizi residenziali ammonta a 457 euro mentre quella per i servizi domiciliari e ambulatoriali diurni solo a 104 euro, con quello che è il valore più basso di tutto il Centro-Nord, superato a livello nazionale soltanto da Puglia, Sicilia e Calabria. Un dato che fotografa bene il dramma che si è vissuto nei mesi più aspri della pandemia durante la primavera 2020: un elevato livello di presa in carico da parte delle Rsa, con il “censimento” delle strutture che parla di 717 centri nel territorio a maggio 2020 per 58.133 posti letto accreditati (a cui vanno sommati 2.506 posti letto autorizzati ma non finanziati dal Ssr, in parte destinati ai ricoveri di sollievo, e 4.344 destinati ai pazienti affetti dal Morbo di Alzheimer), ma a discapito di soluzioni di “residenzialità leggera” come gli alloggi protetti o le comunità per anziani e comunque una quota predominante della domanda di assistenza che viene soddisfatta da un mix invece di caregiving familiare e informale (badanti, parenti). Tradotto: molta “sanitarizzazione” con le Rsa hanno assunto “il ruolo ambiguo di contenitori per ogni disagio” si legge nella ricerca, ma poco “territorio”.
Lavoro in Rsa? “Un impiego di serie B”
Un altro capitolo della ricerca riguarda i costi delle tariffe per pazienti e famiglie e l’analisi dei bilanci di alcuni dei principali gruppi privati che operano nel settore Rsa in Lombardia: la quota sanitaria corrisposta dalla Regione è oggi stimata intorno al 39% dell’importo totale. In Veneto e Piemonte il pubblico copre invece il 50%, come previsto dalla normativa nazionale, e in Toscana ed Emilia-Romagna è anche superiore. Nonostante le cifre importanti, il personale interno alle strutture lamenta evidenti problematiche: dai bassi salari che inducono i professionisti della salute a considerare un impiego nelle Rsa “come una soluzione di serie B”, con i dipendenti del settore dell’assistenza residenziale che in Lombardia guadagnano il 29% in meno rispetto ai loro colleghi dell’assistenza sanitaria, ma anche insufficienti iniziative di formazione e valorizzazione del capitale umano, elevati tassi di precarietà, turnover, assenza e infortunio con “quest’ultimo spia di stress lavoro-correlato e carenze organizzative”. È un tema anche di attualità, con i contratti nazionali del lavoro della sanità privata da rinnovare (o rinnovati) in questi ultimi mesi, in alcuni casi dopo un decennio di mancati rinnovi o aggiornamenti. È il caso, per esempio, del Ccnl “Anaste” del settore “Istituzioni e Servizi Socio-Assistenziali-Educativi”, largamente usato nelle Rsa, e oggetto di un eterno scontro fra mondo sindacale, sia confederale (Cgil-Cisl-Uil) che di base (SI Cobas, Cub etc) e le organizzazioni datoriali.
Dieci proposte
Lo studio si chiude con 10 proposte da parte della Cgil e dell’Associazione Ires alla politica lombarda e nazionale. Che vanno dal chiedere “strategie di de-istituzionalizzazione e aging in place” come telemedicina, domotica, rimozione di barriere architettoniche oltre a strutture residenziali leggere inserite nelle comunità (centri servizi polifunzionali, co-housing) da associare alle RSA. Ma anche “vincoli efficaci alla realizzazione di nuove strutture in particolare riguardanti la dimensione” per disincentivare la realizzazione di strutture con un elevato numero di posti letto, quelle ovviamente predilette dal settore privato perché lì è possibile realizzare economie di scala e margini più elevati. Sempre dal punto di vista dimensionale e geografico viene anche notato come spesso le strutture siano site in luoghi remoti della Lombardia, dove si risparmia sui costi immobiliari o di locazione e sul costo del lavoro. Per esempio la dotazione di posti letto non è territorialmente uniforme ma appare concentrata nelle zone più periferiche rispetto all’area metropolitana della Grande Milano nelle Ats di Pavia, Montagna e Val Padana. Mentre invece andrebbero incentivate “strutture situate in prossimità della precedente abitazione dell’anziano” per far sì che “gli scambi con l’esterno non possano limitarsi alle visite dei parenti” ma “debbano comprendere un’apertura verso il territorio” come “scuole, parrocchie, associazioni”. La Cgil sottolinea anche come sia necessario un adeguamento rispetto al “problema del mancato adeguamento della quota sanitaria che attualmente copre circa il 39% della retta complessiva, nonostante la normativa nazionale preveda un’equa ripartizione tra ATS e assistito” ma soprattutto la costruzione di un sistema di “cure domiciliari” e “strutture intermedie” dove “sarà possibile ridefinire il ruolo delle Rsa” e “lasciarsi alle spalle l’ambiguo compito di surrogati degli ospedali per malati cronici terminali e luoghi di accoglienza per anziani”.