Un “modello Irccs” per il terzo settore sanitario e sociosanitario lombardo. Disponibilità a collaborare nelle nuove infrastrutture sanitarie previste dal Recovery Plan ma con la consapevolezza di “un nostro ruolo marginale” perché “saranno al 90% pubbliche” e “fa bene la Regione ad andare in questa direzione”.
Sanità lombarda, il Terzo settore presenta i suoi emendamenti
Entra la voce del terzo settore della Lombardia nel percorso di riforma della sanità. Aris (Associazione Religiosa degli Istituti Socio Sanitari) e Uneba Lombardia (Unione Nazionale Istituzioni e Iniziative di Assistenza Sociale), che in regione rappresentano quasi 500 strutture ed oltre 50mila posti letto, hanno depositato un pacchetto di emendamenti alle III Commissione Sanità e Politiche sociali del Pirellone. La discussione per la nuova legge 23, annunciata e poi resa a nota a luglio dalla giunta guidata da Attilio Fontana, entra ora nel vivo. Nell’autunno appena iniziato si va verso dibattito e poi approvazione in Consiglio.
Le proposte di Aris e Uneba
E il Terzo Settore lombardo vuole giocare la sua partita puntando dritto in alcune direzioni: rimane netta la distinzione dal pubblico e dal privato, come anche l’assenza di finalità a scopo di lucro. Ma gli enti no profit del privato sociale puntano su una maggiore integrazione nel sistema sanitario lombardo. Dal punto di vista della programmazione sanitaria e di quella economica. “Nelle nostre interlocuzioni spesso ci si figura il Terzo Settore come piccole associazioni di volontariato” dice a True News l’ingegner Nicola Spada, Presidente di Aris Lombardia e Direttore Generale di Fatebenefratelli Provincia Lombardo Veneta dell’Ordine Ospedaliero di San Giovanni di Dio: circa 60 in Lombardia fra sanitario e sociosanitario. “La realtà – prosegue – è che il Terzo Settore è molto più evoluto di questa rappresentazione e pur non cercando, come il privato puro, una remunerazione del capitale investito, consta di numerose strutture di alto contenuto professionale, anche di profilo ospedaliero”.
“Modello Irccs per il Terzo settore”
Gli emendamenti presentati in maniera congiunta da Spada e dall’avvocato Luca Degani, Presidente di Uneba Lombardia, puntano al riconoscimento di questa “storia” del privato sociale e a modificare il rapporto di finanziamento con le istituzioni. È il “modello degli Irccs anche privati – spiega Spada – che ricevono risorse pubbliche a fondo perduto e maggiorazioni tariffarie sulle prestazioni erogate perché non sono solo un luogo di cura ma anche di ricerca”. Il terzo settore non fa ricerca ma ha sua volta delle funzioni “sociali” che Aris e Uneba definiscono nella loro proposta normativa “non tariffabili”. Garantiscono “uno standard minimo proporzionato a quel territorio” spiega l’ingegnere citando, a titolo di esempio, “la caserma dei vigili del fuoco e che esiste a prescindere dal numero di incendi annuali in quell’area”. Una modalità di finanziamento del privato sociale che “rimarca la necessità, per un terzo settore così costruito, di avere forme di finanziamento diverse rispetto al privato puro”. Per esempio? “I bandi per il mondo no profit abbandonati dal 2009 che consentano di avere un minimo di solidità finanziaria alle spalle anche nei momenti di difficoltà. Momenti di difficoltà che nel privato vengono coperti dall’azionista, dal socio, dall’investitore di lungo periodo: ruoli inesistenti, per statuto, nel privato sociale”.
In questo senso gli emendamenti più importanti proposti al Consiglio regionale parlano chiaro. Se la legge, come partorita dagli uffici di Letizia Moratti e della Direzione Generale Welfare, già prevede l’equiparazione delle strutture private sociali a quelle private accreditate tradizionali o pure, Aris e Uneba chiedono infatti che le fonti di finanziamento ripartite ogni anno dalla giunta vadano anche “ai soggetti erogatori sanitari e sociosanitari aventi qualifica di Enti del Terzo Settore” per “la remunerazione di eventuali funzioni non tariffabili” sotto forma di “contributi per progetti e finalità specifiche con vincolo di destinazione” anche “a titolo di riequilibrio e eventuali interventi destinati ad investimenti in conto capitale”. Come è molto concreta la richiesta che gli Istituti di ricovero e cura e carattere scientifico (Ircss) privati vengano inseriti nella nuova “Rete regionale della ricerca, della ricerca biomedica e dell’innovazione nelle scienze della vita” coordinata dagli Ircss pubblici, una delle novità più interessanti inserite nel testo di riforma.
Case di Comunità: il ruolo del Terzo settore nel Recovery Plan
Da ultimo: il ruolo nel Recovery Plan. Parla di “una connessione” ma realisticamente con un “ruolo marginale” Nicola Spada. Se i fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza serviranno infatti in ambito sanitario a costruire le Case e gli Ospedali di Comunità e c’è già la disponibilità di Regione Lombardia a coinvolgere il privato sociale in queste iniziative, “credo che comunque ciò avverrà con un ruolo marginale sia nostro che del privato puro, perché saranno infrastrutture pubbliche”. “Regione ha chiarito molto bene – afferma – che la maggior parte dei finanziamenti saranno concentrati sulla città di Milano e le grandi manifestazioni d’interesse di questi mesi potrebbero scontrarsi con gli aspetti di sostenibilità economica: tariffe, pochi posti letto (da 20 a 40 NdR) e inoltre il Recovery copre la spesa per investimenti ma poi serve trovare le risorse per la gestione corrente di quelle strutture che arriveranno, in buona parte, dal budget oggi a disposizione delle Asst”. “L’aggravio di costi sarà quindi limitato a poche figure professionali, create da zero, ma tutto il resto deve essere trasferito dalle aziende ospedaliere come anche i nuovi spazi che è facile immaginarli come ristrutturazioni di luoghi andati in disuso calo piuttosto che nuove strutture”.
L’obiettivo di Case di Comunità e Ospedali di Comunità rimane chiaro: presidiare quelli che un tempo erano i vecchi distretti territoriali delle Asl. Qui Aris, Uneba e i vari omologhi lombardi di carattere religioso e non potrebbero giocare un ruolo, mettendo a disposizione tempo e parti del proprio personale per creare le famose equipe multidisciplinari di cui le nuove strutture del Pnrr dovranno essere dotate per funzionare.