L’indagine di IQVIA su Farmacisti ospedalieri e Direttori generali segna la strada: indietro non si torna. Ecco i numeri
di redazione
Numeri che scendono rispetto ai pazienti visitati dagli specialisti: meno 54%; limitazioni nell’accesso alle cure: meno 36% le diagnosi su nuovi pazienti meno 33% l’inizio di nuovi trattamenti. Tutto ciò a causa della pandemia. Da dove si può ripartire per il futuro? Da un’indagine su Farmacisti ospedalieri e direttori generali condotta da IQVIA, leader mondiale nell’elaborazione e analisi dei dati in ambito healthcare, che fa emergere a sorpresa un clima di fiducia nel futuro e un dichiarato ottimismo nella capacità di cura e fiducia negli esperti (scienziati, medici, farmacisti). La fotografia scattata da IQVIA a ottobre 2020 mostra infatti che il 73% dei farmacisti ospedalieri si dice ottimista rispetto al clima presente nella propria struttura di lavoro. Per il 69% di loro c’è organizzazione e un altro 73% si dice “pronto al cambiamento” e innovativo. Dati simili per i Direttori generali e sanitari delle strutture: il 69% per cento è ottimista rispetto agli scenari futuri; nell’81% delle interviste si dichiarano organizzati e nel 73% “pronti al cambiamento”. Per venire incontro a queste aspettative sarà fondamentale la collaborazione fra pubblico e privato e sviluppare partnership di valore medico tra istituzioni, specialisti e aziende. Con queste ultime che hanno un ruolo chiave a supporto del sistema accanto al medico: vicinanza, informazione e formazione per garantire e migliorare l’accesso del paziente alle cure e al mantenimento della salute. Un’indagine che apre la strada all’esigenza di un cambiamento radicale, con nuovi modelli di presa in carico del paziente e follow up a distanza (telemedicina/gestione integrata ospedale territorio), nuovi modelli distributivi e multicanalità dell’informazione scientifica. I numeri che raccontano il cambiamento. Le percentuali riportate da IQVIA fanno parte del più ampio report “Numeri che raccontano il cambiamento”. Proprio dai numeri si parte: quelli sugli effetti – duri – della pandemia nell’attività ospedaliera e quelli che analizzano i ritardi cumulati sulle “classiche” attività sanitarie. Statistiche figlie di un’indagine condotta fra maggio e novembre 2020, intervistando un campione di 250 medici di medicina generale e 1.200 specialisti, e confrontando i numeri con quelli del 2019 nel periodo pre-Covid. Anche durante la seconda ondata pandemica si sono ripetute dinamiche già viste durante la prima: gli specialisti hanno potuto vedere e seguire un numero di pazienti inferiore del 36%. Le diagnosi su nuovi pazienti hanno fatto segnare meno 42%, come meno 46% è il dato relativo all’inizio di nuovi trattamenti. La “classifica” degli specialisti più colpiti dal calo vede in ordine decrescente neurologi, pneumologi, cardiologi, oftalmologi, reumatologi, gastroenterologi, diabetologi, medicina interna, ortopedici, urologi, ginecologi. Mentre “resistono”, con cali uguali o inferiori al 50% sul fronte dei pazienti seguiti, specialisti come pediatri, oncologi e dermatologi. Discorso molto simile per i Medici di Medicina Generale: meno 50% sui pazienti seguiti e visitati, meno 38% su nuove diagnosi e meno 34% rispetto all’inizio di nuovi trattamenti. Di fronte a questo scenario, con il calo generalizzato di visite e trattamenti realizzati in modalità “face to face”, diventano importanti i dati relativi alle nuove “forme” che hanno assunto i consulti con il proprio medico o con uno specialista: IQVIA registra ad aprile 2020 un aumento del 202% dei consulti telefonici rispetto ad aprile 2019. Tutte le voci legate a contatti da remoto, in particolare attraverso canali digitali, fanno registrare aumenti: da quelli contenuti del 16% della normale posta fino al più 140% dei meeting online. A tal proposito uno dei dati più sorprendenti è quello che riguarda “l’attitudine” dei medici italiani: l’82% di loro (contro il 44% dei colleghi europei) pensa che le interazioni attraverso i canali digitali e da remoto rispondano alle esigenze formative dei clinici. Cambiando capitolo, anche i dati aggregati sul mercato farmaceutico nel canale ospedaliero segnalano un cambio di passo nel settore: se da una parte il volume espresso in miliardi di euro del mercato in generale fa registrare un meno 3% rispetto dell’anno precedente (nello specifico: meno 4,2% nei presidi ospedalieri e meno 3,1% sul segmento retail) dall’altra aumentano del 4,6% i cosiddetti “farmcaci DPC”, cioè quelli acquistati dalle Asl e distribuiti alle farmacie per permettere ai pazienti di ritirare il farmaco vicino al proprio domicilio senza doversi recare presso strutture ospedaliere più lontane. Un dato che mostra in qualche modo il tramonto – almeno parziale – del modello di gestione del paziente “ospedale-centrico”. Un modello che proprio durante la pandemia ha evidenziato l’esigenza di sviluppare nuove formule, che vadano dal coinvolgimento del territorio alla domiciliarizzazione delle cure fino alla gestione a distanza. Non a caso è in totale controtendenza il canale e-commerce. Che invece mostra dei rialzi corposi grazie all’espansione della base di utenti. Rispetto al 2019 fa segnare un balzo del 45% e solo da gennaio a settembre il mercato online viene stimato in 274 milioni di euro. Sotto questo profilo il lockdown ha avuto anche un impatto “qualitativo” sui farmaci acquistati. Nei mesi della scorsa primavera (marzo-aprile-maggio) si è assistito a un picco di acquisto di psicofarmaci e tranquillanti e a un crollo verticale della pillola del giorno.