di Francesco Floris
Il Covid? “Un acceleratore verso la sanità digitale”. La telemedicina? Una delle frecce da scoccare per trasformare la sanità sempre più in un sistema “di prossimità”. Ne è convinto il professor Alessandro Stecco, pur senza lasciarsi andare a facili entusiasmi. Vercellese, dal 2019 consigliere regionale della Lega in Piemonte, il medico chirurgo Responsabile della Struttura semplice di Neuroradiologia dell’Azienda ospedaliera universitaria “Maggiore della Carità” di Novara e professore associato all’Università del Piemonte Orientale, Stecco fa il punto sullo stato dell’arte della telemedicina in Italia. A partire dall’esperienza della sua Regione che, nell’estate del 2020, ha fatto da apripista nella penisola con l’approvazione del primo provvedimento che accredita e contrattualizza le Aziende sanitarie pubbliche e gli erogatori privati accreditati per erogare da remoto attività che prima avvenivano attraverso le visite tradizionali. Anticipando di fatto ciò che sarebbe avvenuto mesi dopo, a dicembre 2020, con le linee guida congiunte della Conferenza Stato-Regioni e dell’Istituto Superiore di Sanità.
“Abbiamo la tecnologia, serve la governance”
Cosa esiste oggi di concreto? Di certo “la tecnologia necessaria e i progetti sperimentali innovativi” risponde il professor Stecco a True Pharma. Cosa manca? “Una governance sanitaria e percorsi di formazione per gli operatori”. Sullo sfondo quella che per il tecnico e politico è una certezza: “Dobbiamo prendere atto di una realtà: il 70-80% di situazioni non necessitano della centralizzazione del paziente in maniera forzata dentro l’ambulatorio o in un ospedale” dichiara Stecco. “Se siamo in grado di ridurre la quantità di accessi e ‘targettizzare’ meglio quelli necessari attraverso un primo filtro di screening e l’interazione digitale, in realtà riusciremo ad erogare molte più prestazioni meglio finalizzate”. Certo, serve il riconoscimento da parte delle istituzioni della tele visita, del tele consulto, della medicina remotizzata e “in questo momento in Piemonte le prestazioni digitali sono rimborsate anche come prestazioni sanitarie”.
“Get Ready”, la lezione di Novara sulla telemedicina
Il pretesto per una riflessione più ampia sulla sanità digitale è un fatto di cronaca sanitaria che apre la strada a varie applicazioni. Il lancio da parte dell’Azienda ospedaliero-universitaria di Novara, presso la Cardiologia afferente al Dipartimento Toraco-Cardio-Vascolare guidato dal professor Giuseppe Patti, di un’innovativa tecnologia di telemedicina che consiste in una piattaforma denominata “Get Ready”. È un sistema che permette di seguire a domicilio i pazienti con patologie cardiache, attraverso un breve questionario automaticamente inviato, a intervalli regolari e prestabiliti, direttamente sul loro smartphone. Con poche e accessibili domande, il paziente è messo nelle condizioni di fornire informazioni sul suo stato di salute agli specialisti, senza la necessità di recarsi di persona in ospedale.
“Un sistema di prossimità sui follow up”
“Un’esperienza pilota” la definisce Stecco. “Una strategia per raggiungere nel post dimissione pazienti non covid, in epoca covid, con l’obiettivo di ovviare al distanziamento sociale e alle limitazioni in ingresso negli ospedali. Ma più in generale uscendo dalla contingenza una delle modalità per risolvere il tema della continua movimentazione di pazienti da e verso gli ospedali”. Per il consigliere regione questa è “una delle strategie per trasformare la sanità in un sistema di prossimità sui follow up”. Quella di Novara è “un’esperienza per patologie del ritmo cardiaco ma la prospettiva già in atto è quella di estendersi ai follow up di tutte le patologie cardiache”.
Popolazione e territorio, “serve stratificazione dei bisogni”
I nodi da risolvere per mettere a regime un sistema sono diversi e partono da una serie di domande: chi eroga la telemedicina? Qual è la governance? Chi sono i decisori che scelgono su quali progetti investire, come implementarli e come monitorarne gli esiti? Domande a cui rispondere è tutt’altro che semplice. Per il neuroradiologo piemontese oggi siamo nelle condizioni in cui gli strumenti tecnologici ci sono e dentro una strategia nazionale ben presto ci sarà anche l’infrastruttura per colmare il divario digitale in quelle aree, per esempio alpine o appenniniche, che renderà possibile la trasmissione di dati. Il ragionamento va invece incentrato sugli aspetti organizzativi: “Bisogna radicare dentro le aziende sanitarie locali, che sono comunque il primo soggetto a intervenire per erogare prestazioni ai propri assistiti, strumenti e funzioni di governance sui progetti di telemedicina”. Per esempio? Quella che in gergo si chiama “stratificazione dei bisogni”. “Si prendono le prime cinque o sei malattie croniche diffuse nella popolazione di un territorio e si avvia una progettualità in questo senso” spiega il consigliere regionale. “Ma soprattutto – aggiunge – analisi epidemiologiche aggiornate non soltanto sulla popolazione in generale ma su quel segmento che abita e risiede nei luoghi geograficamente più lontani dai centri sanitari e dagli ospedali: nelle valli, nelle comunità montane, vanno misurate lì le necessità e i bisogni”.
“Un nucleo valutativo dentro le Asl”
Non esiste un manuale per questo tipo di sperimentazioni. “Vanno prese le best practice e messe a sistema”. “Il punto chiave – spiega Stecco – è che ci deve essere un’équipe dedicata all’interno dell’azienda sanitaria locale, un team di persone raggruppato per competenze all’interno di un nucleo valutativo flessibile che ha gli strumenti per valutare se un progetto ha senso e avviarlo”. Analizzare, organizzare il lavoro, valutare gli esiti. Queste le parole chiave. Guardando a chi? Ai cugini d’Oltralpe. Il “modello francese”, dove già esistono delle strutture precise che si occupano di pianificazione e monitoraggio per la telemedicina. Affianco a tutto ciò, “La formazione degli operatori sanitari all’utilizzo di queste tecnologie per la sanità digitale” perché “esiste un gap che è sia tecnico quanto culturale e questi temi vanno affrontati”.
Quali applicazioni?
Le applicazioni? Potenzialmente infinite. Dalla possibilità di “interrogare” da remoto un pacemaker o un dispositivo. Per paradosso già avviene ma non è riconosciuta come una prestazione sanitaria e valorizzata in questo senso, costituendo un disincentivo alla larga diffusione di queste pratiche. O ancora: il monitoraggio dei valori glicemici nel paziente diabetico a casa, la riabilitazione fisiatrica a distanza. L’immensa gamma di possibilità che sta emergendo per “l’uso pediatrico della telemedicina”. È già oggi “possibile avere una visita completa dell’orecchio, del cuore, con prestazioni come l’auscultazione con il fonendoscopio, la visione della membrana timpanica e la misurazione di parametri vitali attraverso dei dispositivi a distanza che hanno più moduli intercambiabili e quindi più funzioni”. Dall’altra parte, in una struttura di controllo centrale, un pediatra o uno specialista che si attiva per una visita a domicilio di persona quando qualche parametro non torna.
“Una medicina di territorio basata sul digitale”
“Rendiamoci conto – dice Alessandro Stecco – come tutto ciò si esporti molto bene sul modello della cronicità: in una visione a medio periodo si potrà avere una maggiore capillarizzazione dei servizi”. Per esempio? “In Piemonte – chiude – abbiamo oltre 70 Case della Salute, poliambulatori dove ci sono sia i medici di famiglia che ruotano ma anche gli specialisti e sono già i punti di riferimento per i territori più remoti e lontani dagli ospedali. L’applicazione su larga scala della telemedicina in questi luoghi può diventare la formula per cambiare faccia alla medicina territoriale e di prossimità”.