Home Pharma Tumore al seno: un percorso condiviso per l’ottimizzazione del PDTA

Tumore al seno: un percorso condiviso per l’ottimizzazione del PDTA

Tavola-Rotonda-PDTA-Tumore-Seno

Favorire il confronto interregionale tra responsabili clinici e organizzativi, istituzioni, rappresentati di associazioni pazienti e comunità scientifica per l’ottimizzazione e il miglioramento continuo del percorso diagnostico terapeutico della paziente con tumore alla mammella.

È stato questo l’obiettivo della tavola rotonda che si è svolta  recentemente presso il Montecitorio Meeting Center di Roma dal titolo “Tumore al seno: un percorso condiviso per l’ottimizzazione del PDTA” a cura di Over e con il contributo non condizionante di BD. Il tutto partendo da una maggiore consapevolezza e diffusione di recenti linee guida internazionali e del Documento di Consenso elaborato da GISMa/SIAPEC sulle procedure diagnostiche preoperatorie delle lesioni mammarie che enfatizzano l’importanza di un approccio multidisciplinare nella presa in carico delle pazienti senza dimenticare il ruolo delle Breast Unit come espressione di tale multidisciplinarietà.

A prendere parte all’iniziativa sono stati: Mattia Altini Direttore dell’Assistenza Ospedaliera della Regione Emilia-Romagna e Presidente della SIMM, Società Italiana di Leadership e Management in Medicina, Francesca Catalano Direttore dell’unità operativa complessa multidisciplinare di Senologia dell’azienda ospedaliera Cannizzaro di Catania, Giuseppe Catanuto Membro Consiglio Direttivo Società Europea di Chirurgia Oncologica (ESSO European Society of Surgical Oncology), Francesca Caumo Direttore UOC Radiologia senologica Istituto Oncologico Veneto IRCCS Padova e Vicepresidente GISMa, Fabio Falcini Direttore Dipartimento Onco-ematologico AUSL Romagna, Valentina Guarneri Direttore della UOC Oncologia 2 dell’Istituto Oncologico Veneto, IRCCS di Padova, Elena Murelli Senatrice della Repubblica Italiana e Membro Intergruppo parlamentare sulle nuove frontiere terapeutiche nei tumori della mammella, Loredana Pau Vicepresidente di Europa Donna Italia,  Tommaso Perretta Medico, radiologo, senologo, Università Tor Vergata Roma e ArsBiomedica Roma, Antonio Rizzo Direttore U.O. Anatomia patologica, Biologia Molecolare e genetica oncologica HUMANITAS Istituto Clinico Catanese Membro del direttivo della SIAPEC (Società Italiana di Anatomia Patologica), Alfredo Santinelli Membro del Comitato di Coordinamento GISMa – Gruppo Italiano per lo Screening Mammografico, Direttore UOC Anatomia Patologica Azienda Sanitaria Territoriale Pesaro Urbino, Simona Saraceno, Presidente ANDOS Onlus Roma, Manuela Tamburo De Bella Responsabile Ufficio Reti Cliniche Ospedaliere e DM70, Agenas e Rita Vacondio Responsabile Struttura Semplice Mammografia e Screening Mammografico, AUSL di Reggio Emilia.

Il cancro al seno: la neoplasia più diffusa tra le donne italiane

Il carcinoma mammario rappresenta la neoplasia più diffusa nella popolazione femminile italiana, mostrando però dati sulla sopravvivenza sempre più incoraggianti. Nonostante i grandi traguardi raggiunti nella riduzione della mortalità, miglioramento della qualità di vita e fiducia nella nuova medicina preventiva, il tumore al seno rimane un significativo problema di salute pubblica che richiede un impegno incessante nella ricerca e nell’innovazione.

L’incidenza così elevata di questo tumore ha portato alla creazione di modelli assistenziali in grado di assicurare standard massimi di cura come le Breast Unit, maggiore attenzione alle politiche di prevenzione e screening e ad un miglioramento delle tecniche diagnostiche, oggi sempre più orientate verso una chirurgia meno invasiva possibile.

Al fine di escludere o confermare dubbi diagnostici emersi da indagini radiologiche e valutazioni cliniche, la biopsia mammaria è una procedura di assoluta importanza. Recenti linee guida internazionali ed un documento di consenso nazionale, hanno confermato l’utilità di questo approccio, da categorizzare a seconda del tipo di sospetto diagnostico.

Questi documenti, tra le altre finalità, intendono anche fornire una guida ed essere punto di riferimento per tutte le figure professionali coinvolte nella stesura dei PDTA regionali per la presa in carico delle pazienti con cancro al seno.

Il ruolo della multidisciplinarietà e di una presa in carico condivisa

A introdurre la discussione è stato Antonio Rizzo che nel suo ruolo di Coordinatore del gruppo di lavoro che ha steso il documento di consenso relativo alle procedure diagnostiche preoperatorie delle lesioni mammarie, ha fornito un inquadramento generale relativo all’importanza di un percorso di presa in carico condiviso illustrando anche la rilevanza della classificazione delle lesioni in rapporto ai controlli di qualità e ponendo l’accento sul concetto di multidisciplinarietà, fondamentale anche quando si parla di Breast Unit, la cui efficacia può e deve essere implementata.

Aspetto sottolineato anche da Alfredo Santinelli che si è soffermato, partendo dal documento di consenso, sull’importanza dello screening e sul ruolo delle Breast Unit sempre in una logica di approccio multidisciplinare che si attua anche per le cosiddette lesioni B5, ovvero quelle inequivocabilmente maligne.

Le linee guida europee in materia di lesioni mammarie con potenziale maligno incerto (lesioni B3)

L’affondo invece sulle lesioni B3, ovvero le lesioni mammarie di incerto potenziale maligno, è stato affidato a Francesca Caumo che a tal proposito ha illustrato alcuni punti-chiave delle linee guida europee per la diagnosi, il trattamento e il follow-up di tali lesioni sviluppate congiuntamente da EUSOMA, EUSOBI, ESP (BWG) e ESSO. Si tratta di lesioni composte da una varietà di entità patologiche con diversi rischi di malignità che vengono diagnosticate sempre più spesso grazie a programmi di screening e all’uso di tecniche di imaging più sensibili.

Gestione delle lesioni B3 e nuove tecniche per evitare l’asportazione chirurgica

La gestione delle lesioni B3 ha subito un cambiamento significativo negli ultimi anni. Storicamente, tutte le lesioni B3 venivano gestite con l’escissione chirurgica, a causa dell’incertezza sul potenziale maligno e della preoccupazione sull’adeguatezza del campionamento guidato dalle immagini. Tuttavia, nella pratica moderna, l’uso di aghi di calibro maggiore (14 G) e di aghi per biopsia vuoto assistita VABB) consente di diagnosticare il 5-20% di tutte le lesioni B3 a lesioni apertamente maligne. I miglioramenti nelle tecniche di imaging e negli interventi di intervenistica radiologica, che ora includono l’escissione percutanea vuoto assistita (VAE), possono consentire alle donne di evitare l’asportazione chirurgica. La VAE mira a ottenere una quantità di tessuto simile a quella di un’escissione chirurgica diagnostica, cioè 4 g di tessuto, utilizzando lo stesso metodo VABB per rimuovere l’intera lesione B3. Questo ha un immediato vantaggio sulle pazienti, che possono evitare di sottoporsi ad un intervento chirurgico in sala operatoria, per il sistema sanitario in un’ottica di razionalizzazione dei costi e di abbattimento delle liste d’attesa.

L’importanza di un approccio multidisciplinare per la diagnosi delle lesioni B3

La discussione multidisciplinare è fondamentale per garantire la concordanza radiologica e patologica per la diagnosi delle lesioni B3. Secondo le linee guida internazionali, nella comunicazione con i pazienti è inoltre essenziale spiegare la complessità della previsione del rischio e, idealmente, si dovrebbero utilizzare fonti di informazione scritte in un linguaggio laico di alta qualità. Le procedure interventistiche e la gestione devono essere discusse con i pazienti in un processo decisionale condiviso.

Breast Unit, il ruolo dell’Osservatorio per il monitoraggio e l’implementazione delle reti

Nato con l’obiettivo di supportare le Regioni e Province Autonome nel lavoro di miglioramento delle Reti oncologiche regionali e in particolare dei Centri di Senologia, l’Osservatorio per il monitoraggio e l’implementazione delle reti della Breast Unit,voluto da Agenas e coordinato da Manuela Tamburo De Bella, ha anche il compito di valutare l’operatodelle Breast Unit nonché di elaborare rapporti periodici con proposte di interventi migliorativi e diffusione dei risultati, affinché vengano individuati, attraverso indicatori specifici, degli standard omogenei ed efficaci di presa in carico su tutto il territorio nazionale.

Se quella delle Breast Unit secondo Mattia Altini è un caso di successo di applicazione del DM70, per il Presidente della SIMM occorre tuttavia un aggiornamento e una programmazione nazionale che faccia da cornice condivisa con le Regioni.

L’eterogeneità regionale nel trattamento del tumore alla mammella: la posizione della Senatrice Murelli e delle associazioni pazienti

In tal senso l’attenzione del Parlamento su questi temi è forte, come testimoniato dall’intervento della senatrice Murelli che ha rivelato come l’eterogeneità regionale nel trattamento del tumore alla mammella, dalla diagnosi alla cura, rappresenti una criticità che va affrontata sia attraverso momenti di confronto costanti con i vari stakeholder sia mediante campagne di informazione e sensibilizzazione sempre più pervasive. L’obiettivo è garantire una maggiore uniformità alle linee guida dei PDTA regionali.

E per farlo, ha sottolineato Loredana Pau di Europa Donna Italia, il coinvolgimento delle associazioni pazienti può essere determinante come accaduto ad esempio in Sicilia e Lombardia. Così come la figura dello psico-oncologo presente di default nelle Breast Unit, una effettiva oncologia del territorio e un equo accesso alle cure che vada oltre le disparità non solo territoriali, ma anche socio-economiche, come ribadito da Simona Saraceno di ANDOS Onlus.

L’aggiornamento delle linee guida nei PDTA di Lazio, Emilia-Romagna, Sicilia e Veneto

La parola è poi passata ai clinici e ai rappresentanti organizzativi di quattro Regioni, Lazio, Emilia-Romagna, Sicilia e Veneto che hanno analizzato lo stato dell’arte dei rispettivi PDTA. Sebbene nel caso della gestione delle lesioni B3, tutti hanno confermato la presenza di questo tema  all’interno dei percorsi diagnostico terapeutici e assistenziali, una maggiore uniformità, talvolta anche all’interno della stessa Regione e tra le aziende ospedaliere del territorio, è un obiettivo da perseguire.

Se per Valentina Guarneri (Veneto) e Francesca Catalano (Sicilia) occorre lavorare su punti di accesso con un’accoglienza immediata e dedicata delle pazienti metastatiche e per quest’ultima la stesura di un PDTA nazionale dovrebbe essere percorribile, per Tommaso Perretta (Lazio) bisogna facilitare il collegamento tra le Breast Unit e i medici di medicina generale per creare uniformità nella diagnosi e nei percorsi di cura.

A ritornare sul tema dell’uniformità è stato Fabio Falcini (Emilia-Romagna) che ha ricordato come la Regione si fosse dotata di un PDTA già dieci anni fa, ma che le aziende ospedaliere, per aggiornarlo, hanno preferito agire singolarmente creando eterogeneità. Falcini ha inoltre posto l’accento sulla riabilitazione e sugli effetti post-trattamento per le pazienti con tumore al seno con la possibilità, dopo dieci anni, di riattivare lo screening. La necessità di aggiornamento per Rita Vacondio (Emilia-Romagna) è un aspetto imprescindibile per l’efficacia dei PDTA che devono essere sottoposti a valutazione e adeguamento costanti delle linee guida internazionali e di indicatori di qualità.