Dati locali, lombardi, e internazionali, europei, che indicano la stessa direzione. “Il Covid ha messo dura prova il nostro sistema” afferma secco il dottor Daniele Generali, Direttore dell’Unità Patologia Mammaria e Ricerca Traslazionale dell’Azienda socio sanitaria territoriale di Cremona. Ed essere messi a dura prova ha significato vedere i trend della patologie mammarie tirare indietro le lancette dell’orologio di quasi 20 anni.
Generali: “Il mancato accesso agli ospedali ci ha fatto tornare indietro”
“A livello locale abbiamo visto nell’ambito delle patologie mammarie un retrocedere” spiega Generali a true-news a margine di “Direzione Nord 2021” lo scorso 13 dicembre alla Fondazione Stelline di Milano dove ha preso parte al panel di discussione sull’importanza della prevenzione primaria e secondaria .
“Ero abituato nel 2000 a vedere, pur presente lo screening, tumori della mammella localmente avanzati e molto meno tumori piccoli -afferma –. Questo trend è lentamente diminuito ma purtroppo con la pandemia e il mancato accesso agli ospedali ha riportati quei vecchi numeri a cui non eravamo più abituati”. Conseguenze sulla salute delle donne? “Non si tratta soltanto di tumori alla mammella localmente avanzati ma anche altri tumori che sono difficilmente curabili dal punto di vista chirurgico”. Perché? Si torna sempre al solito punto, la saturazione delle strutture sanitarie dove il “paziente non poteva accedere o aveva paura di farlo” causando così una “una crescita registrata del 18% sul territorio”. Numeri importanti.
La nascita del consorzio internazionale “Onco-Covid”
Lo dice il caso “locale” di Mantova. Lo dicono i progetti condivisi a livello europeo. Lo hanno chiamato “Onco-Covid”, nato per monitorare l’atteggiamento dei singoli ospedali e le dinamiche delle attività oncologiche nei confronti dei pazienti. “Si è visto in Francia, Inghilterra, Germania e in varie realtà afferenti a questo consorzio con tanto di pubblicazioni su Lancet – spiega Daniele Generali –. C’è stato un incremento della difficoltà di gestione e del numero di patologie , stimabile nel 20%, su tumori non aggredibili chirurgicamente e quindi potenzialmente curabili” con relative “diffficoltà di gestione e incremento dei costi del percorso sanitario”.
Ma l’Italia vive in uno stato di emergenza e non di programmazione
Numeri che parlano di una diagnosi netta che necessita di una prognosi altrettanto netta sintetizzabile nella parola “prevenzione”. Se l’Italia investe meno del 5% del Fondo Sanitario Nazionale ogni anno sul prevenire e fare ricerca questo accade perché “viviamo in uno stato di emergenza e non di programmazione” come “sarebbe necessario per costruire un percorso molto rigido e corretto”. Come si inverte un trend, peraltro decennale, sulla prevenzione primaria e secondaria allo scopo di mantenere la sostenibilità finanziaria del sistema sanitario e affrontare le sfide dell’invecchiamento demografico? “Sopratutto sulla prevenzione primaria è molto complesso – spiega il Direttore dell’Unità Patologia Mammaria e Ricerca Traslazionale dell’Asst di Cremona – perché interferire o interagire con le abitudini sociali delle persone è sempre una scommessa.”
Prevenzione, la Lombardia può ambire ad un cambio culturale
Discorso diverso per “l’investimento sulla prevenzione secondaria”, quella che per esempio può intervenire post evento acuto. “È nelle nostre potenzialità e nelle nostre mani” Generali. E, almeno in Lombardia, “grazie alla recente riforma regionale della sanità che pone maggiore attenzione e apertura sul territorio” si può ambire ad un “cambio culturale” verso “la prevenzione in svariati ambiti, dalla vaccinazione dell HPV allo stimolo sugli screening per quanto riguarda il tumore alla mammella”. Si tratterebbe di “una maggior attenzione sociale” che comporta anche “una riduzione dei costi”. Come a dire: spendere di più ora per spendere meno in futuro.
Generali: “Cosa possiamo fare noi per il sistema?”
Ma il cambio culturale deve riguardare anche medici e cittadini. “Riprendendo il monito di Kennedy – chiude Daniele Generali – ricominciare da noi operatori sanitari, pazienti e utenti a domandarci cosa possiamo fare per il sistema, visto che siamo messi nelle condizioni di farlo, cominciando dall’aumentare l’adesione alle campagne di prevenzione secondaria”.