Sono stati limati gli ultimi dettagli del Piano Nazionale Malattie Rare 2023-2026. Manca solo l’approvazione della Conferenza Stato Regioni dove il testo sarebbe dovuto approdare ieri ma – come comunicato a True-News.it da fonti vicine al Ministero della Salute – il testo non è arrivato solo per alcuni dettagli tecnici. Ma il Piano è ormai pronto.
Piano Nazionale Malattie Rare 2023-2026: indicazioni per l’attuazione e l’implementazione dei Livelli Essenziali di Assistenza (Lea)
Il Piano è uno strumento di programmazione e pianificazione centrale nell’ambito delle malattie rare, che fornisce indicazioni per l’attuazione e l’implementazione dei Livelli Essenziali di Assistenza (Lea). L’ultimo approvato era il PNMR 2013-2016, la proposta di nuovo piano 2023-2026 rappresenta una cornice comune degli obiettivi istituzionali da implementare nel prossimo triennio.
Previsto per la sua attuazione uno stanziamento di 25 mln a valere sul Fondo sanitario nazionale
Previsto per la sua attuazione, come può anticipare Quotidiano Sanità, uno stanziamento di 25 mln a valere sul Fondo sanitario nazionale per ciascuno degli anni 2023 e 2024 il cui riparto tra le Regioni sarà da definire con una successiva intesa. Le Regioni e Pa dovranno recepire i documenti con propri provvedimenti e a dare attuazione, entro 12 mesi dalla data di entrata in vigore.
I capitoli: verticale e orizzontale
Il documento è strutturato in capitoli verticali che includono azioni specifiche e capitoli orizzontali che includono azioni che contribuiscono trasversalmente a integrare tutti gli ambiti principali:
Capitoli verticali: Prevenzione Primaria; Diagnosi; Percorsi assistenziali; Trattamenti farmacologici; Trattamenti non farmacologici, Ricerca;
Capitoli orizzontali: Formazione; Informazione, Registri e monitoraggio della Rete nazionale delle malattie rare.
Prevenzione primaria: la premessa
Si riporta un estratto del piano, reso disponibile da Quotidiano Sanità.
La traiettoria della vita umana è influenzata da eredità genetiche, epigenetiche e intrauterine, da esposizioni ambientali, da relazioni familiari e sociali capaci di sostenere e promuovere la crescita, da scelte comportamentali, da norme sociali e opportunità che vengono offerte alle generazioni future, e dal contesto storico, culturale e strutturale (Minsk Declaration, WHO, 2015).
L’80% delle malattie rare ha un’origine genetica: circa il 72% è di natura mendeliana, il 7% è causato da uno sbilanciamento/aneuplodia cromosomica e l’1% ha un’origine multifattoriale 1. Circa la metà delle malattie rare monogeniche è recessiva, perciò potenzialmente a rischio di ricorrenza; la maggior parte delle malattie dominanti origina de novo al concepimento e l’età parentale, in particolare quella paterna, è un fattore di rischio significativo2,3
In questa categoria di malattie di origine genetica, la consulenza genetica risulta centrale non solo come strumento di informazione, ma anche di prevenzione primaria (non–concepimento in una condizione di elevato rischio), oppure di prevenzione secondaria (monitoraggio prenatale di una gravidanza a rischio), o prevenzione terziaria (rivolta alla prevenzione delle recidive e delle complicanze di malattia). Si rileva che l’accesso ai servizi di consulenza genetica, dei test genetici e dei percorsi preconcezionali, già previsti nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) è ancora oggi carente.
Circa il 20% delle malattie rare ha un’origine non–genetica, multifattoriale che può annoverare cause ambientali, infettive, autoimmuni, neoplastiche o, spesso, avere un’origine non nota. In questa categoria sono da considerare anche alcune anomalie congenite rare che per prevalenza, cronicità, grado di invalidità e peso familiare e sociale sono incluse nell’allegato 7 al dPCM 12 gennaio 2017.
In considerazione dell’importante ruolo dei fattori ambientali, compresi gli agenti infettivi, i farmaci, gli stili di vita, l’alimentazione, in breve del cosiddetto” esposoma” che modula funzionalmente il genoma durante lo sviluppo prenatale e nella vita postnatale, è fondamentale ridurre o eliminare i potenziali fattori di rischio, promuovere i fattori protettivi attraverso campagne di informazione e interventi attivi di provata efficacia.