L’esponente della Commissione Sanità in Piemonte: “Garantiamo le cure, ora il problema è la ricerca personale”. Autonomia? “Non si tocca”
Terapie intensive raddoppiate. Sub-intensive triplicate. Nuovi laboratori di analisi – trenta ora in totale dopo averne ereditati due dalla precedente amministrazione e averne inaugurati 28 nel giro di un anno – e infine l’apertura di ospedali da campo grazie a risorse private della grandi Fondazioni Ospedaliere. “Le persone si stupiscono che dopo qualche mese vengano chiusi gli ospedali da campo ma anche se sembra un controsenso è proprio quello l’obiettivo: meno durano più è un successo e comunque non si è mai sprecato denaro pubblico visto che si tratta di offerte private”. Elenca quanto fatto dalla Regione Piemonte nei mesi di pandemia Sara Zambaia, consigliere regionale della Lega e componente della Commissione Sanità del Piemonte. Dopo la prensenza come ospite a DN il 14 dicembre durante il panel “Messaggi d’amore-Il prendersi cura ai tempi della pandemia” dedicato alle propsettive di pharma e sanità post pandemia, Zambaia spiega che ora è cruciale “per tutte le Regioni non solo quelle governate dal centrodestra” difendere “l’autonomia locale in campo sanitario” dalle volontà “accentratrici di Roma”. È certamente un tema che corre nel sottobosco della politica italiana e non da oggi. É una battaglia della Lega, giusto Zambaia? “Sì ma ne farei un tema pre-politico o comunque che viene prima dei partiti: siamo sicuri che un unico sistema uguale, banalmente anche al nord fra Lombardia, Piemonte, Veneto o Liguria, possa funzionare? È ovvio che si cerca di capire dove sono i virtuosismi, ma regioni così diverse sotto il profilo demografico, geografico, di governance hanno bisogno di modelli differenti”. Il rapporto con Roma invece? “Senza la forza delle Regioni virtuose, lo Stato centrale nei mesi del lockdown come si sarebbe comportato? Avremmo avuto il caos come sulla scuola? Me lo domando da cittadina più che da politica: chissà cosa sarebbe accaduto se la sanità fosse stata centralizzata”.
Il Piemonte invece come si è comportato? Lei risponde a partire da un aneddoto che la riguarda personalmente: la consigliera leghista era incinta nei mesi del lockdown e ha partorito ad agosto riuscendo ad accedere a tutte le prestazioni necessarie senza alcuna interruzione. Il Piemonte si è organizzato con delibere e documenti in tre fasi che di fatto seguono quelle della pandemia: in fase uno sono state rinviate o spostate le prestazioni procrastinabili senza pericolo per i pazienti mantenendo invece attivi i canali di emergenza e urgenza anche sui pazienti non Covid. Per i quali sono stati aperti ospedali da campo anche e proprio per “levare pressione” sulle strutture e curarsi più serenamente. A maggio-giugno si è ripreso il regime ordinario e a giugno trasmettendo alle Asl le indicazioni per la ripresa delle attività sospese e richiedendo un piano organizzativo di rientro. A luglio avvio delle visite specialistiche da remoto soprattutto per le numerose aree provinciali e di montagna della regione. A settembre è stato trasmesso al Ministero il piano operativo per il recupero delle liste d’attesa. Ora che l’Italia vive una seconda ondata seppur, pare, nella fase calante e deve evitare a tutti i costi una terza di entità simile a quelle precedenti, cosa fa Torino? Il Dipartimento Malattie e Emergenze Infettive il 30 ottobre ha deciso quali prestazioni sarebbero state rese continuative anche durante la seconda ondata. E questo per far fronte ad una delle grandi criticità che la pandemia si è portata con sé: l’attenzione a tutti quei pazienti fragili non Covid che nel corso del 2020 hanno visto – per paura del contagio o per l’impossibilità del sistema di rispondere a tutte le necessità di salute – limitato il loro accesso alle cure. Tra questi, su tutti, gli oncologici e i pazienti affetti da malattie cardiovascolari che, oltre ad essere cronici, ancora oggi rappresentano la prima causa di morte in Italia. “Tutta l’oncologia, inclusi gli screening per le diagnosi, ora funziona – spiega Sara Zambaia – la radioterapia, l’ematologia, le malattie rare, le terapie salva vita, le attività trasfusionale e altre ‘reti’ devono essere garantite a prescindere dalla pandemia”. E dunque consigliera: dove stanno i problemi, i “nodi” che non si riesce ancora a sciogliere? “I timori dei pazienti soprattutto anziani ma non solo che preferiscono rinviare rispetto a passare due settimane in ospedale. È comprensibile ma un collettivamente un problema da risolvere”. E poi? “La ricerca personale – chiude l’esponente della Commissione Sanità –. I neolaureati specializzandi siamo riusciti a collocarli negli ospedali da campo fin da subito e stiamo facendo concorsi sia per la ricerca di personale che per la stabilizzazione interna alle strutture, ma ciò non toglie che il problema sono le professionalità molto rare, come gli anestesisti. Vi faccio un esempio: un concorso in un’Asl tra le più importanti di Torino si è presentato un solo partecipante e che quindi si è aggiudicato il posto. Se non ho anestesisti anche in ottica post Covid poi è chiaro che devo chiudere alcuni reparti o pronto soccorsi perché se ti faccio operare senza quella figura si rischia anche di finire in galera. Quello della formazione e del personale è il vero nodo italiano da affrontare”.