di Francesco Floris
Regna il caos all’ombra delle due Torri. A Bologna il centrosinistra non ha ancora un nome per il candidato sindaco ed è sequestrato dalle continue lotte intestine ereditate dalla scissione di Italia Viva. Mentre il centrodestra è invece ostaggio delle proprie sconfitte recenti in Emilia con Fratelli d’Italia che non ci sta più a farsi dettare un nome dalla Lega. Nel Partito democratico bolognese a cercare di far quadrare il cerchio è il segretario provinciale Luigi Tosiani. Saltata a piè pari l’ipotesi di fare le primarie durante una pandemia, suo il compito di trovare un nome che unisca le diverse anime.
Nomi ce ne sono tanti. Quelli credibili sono pochi. Quelli che uniscono ancora meno. Chi piace di più in città all’elettorato sembra essere Matteo Lepore, delfino del sindaco Merola, la cui ricandidatura è esclusa, assessore alla Cultura e già da un po’ di tempo una sorta di sindaco ombra. L’aspetto che piace di Lepore? Con una definizione da militante sembra “un outsider dell’establishment”, con la capacità di apparire un volto moderato ma di sinistra per davvero che in una città come Bologna può ancora contare parecchio. Non particolarmente voluto dalla segreteria che a Lepore preferirebbe il “proprio” candidato: Alberto Aitini, assessore alla Sicurezza e Polizia locale, subentrato durante un rimpasto, non pare in grado di scaldare i cuori dell’elettorato e che per i modi ricorda le azioni da “sceriffo” con il pugno di ferro. Più di qualcuno nel capoluogo emiliano lo associa al sindaco Cofferati che dopo aver guidato la Cgil nazionale da sindaco si è fatto ricordare più per la battaglia contro i lavavetri che per i lavoratori.
Tra gli outsider di questa corsa a due l’auto candidatura dell’eurodeputata Elisabetta Gualmini, area ex Margherita, già vice presidente dell’Emilia Romagna nello scorso mandato che si è lanciata qualche frecciata a mezzo stampa proprio con Virginio Merola. Circola anche il nome di Marco Lombardo, assessore alle Attività produttive della giunta comunale: si presenta bene, attenzione al mondo di terzo settore e cooperative e si è ritagliato un piccolo ruolo nazionale facendosi fautore della “Carta di Bologna” per i diritti dei rider, nei mesi del primo governo giallo-verde quando Luigi Di Maio riceveva al Mise i moderni operai delle consegne che in quel momento andavano molto di moda come feticcio del precariato sul lavoro. La realtà però è che, rider a parte, Marco Lombardo non ha tante chances. Come non hanno chances (ma i nomi si sono fatti) Alessandro Alberani, Presidente di Acer Bologna, la municipalizzata delle case popolari, ex sindacalista Cisl, oppure Cathy La Torre, l’avvocato dei dritti Lgbtq e contro l’hate speech, iper attiva sui social (pure troppo) ma che ultimamente è finita nel mirino del suo stesso mondo per il protagonismo un po’ acchiappa-like e con l’accusa di sfruttare le battaglie delle minoranze per visibilità personale.
Infine è girato il nome del deputato del Pd, Andrea De Maria, burattinaio nel Merola-bis, di corrente “cuperliana” dentro i dem – ammesso che esista la corrente – sposato con l’assessore all’ambiente dell’Emila Romagna, Irene Priolo. È stato anche sindaco di Marzabotto per dieci anni che, come valore simbolico per la storia del Paese, conta molto ma la realtà è che forse il suo nome viene fatto girare più sui giornali che non per un vero interesse, personale o di partito, a correre come primo cittadino della città rossa eterna. Non proprio eterna, a onor del vero.
Una volta infatti ha vinto il centrodestra a Bologna. Ma con un candidato civico, Giorgio Guazzaloca, mai con uno dei partiti. Ed è quello che Fratelli d’Italia sta provando a fare anche in questo 2021. Corteggiando Giancarlo Tonelli, il numero uno di Confcommercio Ascom Bologna. Il numero uno dei commercianti ci dovrebbe essere con una lista civica ma il compito di farlo entrare nell’orbita della destra è stato affidato all’avvocato Galeazzo Bignami, onorevole di Montecitorio alla Camera dei Deputati dopo un’appartenenza a Forza Italia. La Lega? Questa volta dovrà farsi da parte, almeno sul nome dell’ariete per provare a conquistare bologna. Il partito di Matteo Salvini in Emilia è ostaggio della propria doppia sconfitta comunali-regionali sempre con Lucia Borgonzoni dopo aver sognato l’impresa. Gli alleati stavolta non sembrano voler essere succubi del Carroccio. Mentre nella sinistra dura e pura bolognese sulla Borgonzoni si fa sarcasmo: la politica leghista ha infatti un passato di frequentazioni giovanili nei centri sociali e nei locali della sinistra di movimento, come il Link a Bologna. Maturando è diventata leghista. Ma proprio come a Matteo Salvini si rinfaccia sempre a Milano la leggenda dell’appartenenza al Leoncavallo, nella città delle due Torri a Borgonzoni tutti ricordano l’inversione a U. Dai centri sociali ai leghisti. Sta volta forse fare un nome tocca a chi è sempre stato di destra. Magari guardando ai commercianti feriti dalla crisi Covid.