Perché leggere questo articolo? La Francia ha inserito il diritto a interrompere la gravidanza nella Costituzione. In Italia al momento non ci sono proposte che vanno nella stessa direzione. True news ne ha parlato con Miriam Campana, avvocata e vicepresidente del consultorio laico Aied a Bergamo, di cui è anche componente nell’esecutivo nazionale.
“La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo e della donna. Per lei, la Repubblica riconosce il diritto all’interruzione di gravidanza”. Questo potrebbe essere l’articolo 2 della Costituzione italiana del futuro. Un futuro che, qualche giorno fa, in Francia è diventato presente. Il 4 marzo, deputati e senatori hanno approvato (con 780 voti favorevoli e 72 contrari) la modifica della costituzione proposta dal governo del presidente Emmanuel Macron.
Una modifica che ha inserito il diritto ad abortire nella Carta costituzionale. Al momento nel nostro Paese questo diritto resta ancora una legge ordinaria, conquistata nel 1978 con la cosiddetta 194, che ha anteposto la volontà della madre a quella del feto.
Per capire cosa significa avere nella Costituzione il diritto ad abortire e se l’Italia sia pronta a imitare la Francia, True News ha parlato con Miriam Campana, avvocata e componente dell’esecutivo nazionale di Aied, consultorio laico.
In Francia l’interruzione volontaria di gravidanza è legge dal 1975 ed ora è presente anche nella Carta fondamentale. Cosa cambia avere tale diritto anche nel testo costituzionale?
La differenza è notevole: i diritti sanciti nelle carte costituzionali assurgono a diritti che non possono essere “toccati” e messi in discussione dalle leggi ordinarie e dunque godono di una sfera di tutela superiore a quella di altri diritti riconosciuti solo a livello legislativo. Tanto che se successivamente al riconoscimento del diritto in Costituzione dovesse essere approvata una legge che anche solo nella sostanza sia volta a minare o rendere difficile l’esercizio di quel diritto, si potrebbe impugnare davanti alla Corte Costituzionale per vederla dichiarata illegittima. Oggi in Italia potrebbe essere approvata una legge (vi sono già tentativi in tal sens ) che modifica le norme sull’aborto, con scarsa possibilità di rimedio proprio per la natura della fonte normativa.
La ministra francese per l’uguaglianza di genere, Aurore Bergé, spera che la misura adottata in Francia ispiri anche altri Paesi dell’Unione europea. L’Italia seguirà l’esempio?
L’Italia ha visto protagonista un movimento di piazza e di popolo importantissimo a cavallo tra gli anni 70 ed 80 che ha portato all’adozione della legge 194. Questa doveva essere un primo passo verso il riconoscimento del diritto all’aborto ma oggi tale diritto viene ancora messo in discussione. Non esiste alcun impedimento a livello normativo affinché possa essere riconosciuto un vero e proprio diritto all’aborto, ovviamente normato e regolamentato. Tuttavia è chiara una posizione culturale e politica che soprattutto negli ultimi anni sta prendendo il sopravvento e che mina la salute ed i diritti sessuali e riproduttivi delle donne.
A cosa si riferisce?
Alcune forze politiche, non osando mettere in discussione l’attuale testo della legge italiana sull’aborto, in cui è veramente già molto “limitante” il diritto di scelta della donna, insistono nel proclamare la necessità di applicare la 194 così come è, ma poi nel concreto mirano ad incentivare e dunque sostenere solo ed esclusivamente le norme che prevedono l’attività di prevenzione e il diritto all’obiezione di coscienza, trascurando tutto il resto. In sostanza “non possiamo negare il diritto all’aborto, ma non ci occupiamo di renderlo effettivo”.
Come mai definisce limitante la Legge 194?
Questa norma è stata approvata in una fase storica in cui era una grande novità. Essa consentiva il diritto di abortire entro certi limiti. Sono questi limiti, a mio avviso, che oggi sono anacronistici. E non parlo delle dodici settimane come arco temporale, ma delle parole scritte nella legge che parla esplicitamente della tutela della maternità e della sua funzione sociale, facendo sentire in colpa la donna che sceglie, dopo l’incontro coi consultori e in sede di rilascio di certificazione per l’interruzione della gravidanza, di procedere comunque. Questo oggi è anacronistico: fa sentire colpevole di scegliere di non aver un figlio colei che decide di accedere alla pratica dell’interruzione volontaria di gravidanza prevista dalla legge. Ciò andrebbe rivisto completamente, specie se l’aborto in Italia fosse iscritto in Costituzione. Ma temo che questo in Italia non accadrà”
A cosa va incontro oggi in Italia una donna che desidera interrompere una gravidanza?
A una situazione drammatica. Quando una donna vuole interrompere la gravidanza, nel rispetto dell’attuale normativa, deve ottenere un certificato medico che attesti la condizione di gravidanza e la sua volontà di abortire, entro 12 settimane più 5 giorni, ma dal rilascio del certificato devono decorrere almeno 7 giorni prima che l’intervento possa essere effettuato.
Ed è qui che iniziano i problemi?
Sì perché la disponibilità dei medici e ginecologi non è così scontata, poiché spesso viene invocata l’obiezione di coscienza anche e solo per il rilascio del certificato, che invece dovrebbe essere atto dovuto e i tempi per l’ottenimento dello stesso si dilatano già in fase del suo rilascio.
Ottenuto il certificato la situazione è burocraticamente più “semplice”?
No perché il vero dramma si verifica quando si tratta di recarsi nella struttura ospedaliera per l’effettuazione dell’intervento. La maggior parte delle strutture ospedaliere in Italia ha un solo medico non obiettore o addirittura nessun medico e ciò impedisce spesso di fatto l’esercizio del diritto all’aborto. Molte donne ci raccontano di essere rimbalzate da un ospedale all’altro e di essere trattate come persone non degne.
Come state monitorando queste segnalazioni?
Abbiamo a tal proposito iniziato un lavoro di monitoraggio sia a livello regionale che nazionale sulle esperienze delle donne con le singole strutture ospedaliere, anche per consigliarle sulle strutture più immediate a cui rivolgersi, sia per evitare di essere giudicate,- teniamo conto che per la donna è sempre una scelta dolorosa! – sia per evitare che decorrano inutilmente giorni e giorni di ricerca e si finisca per superare il limite di legge che oggi è molto limitante.
Se una donna volesse portare a termine la gravidanza ma è restia nel farlo perché non ha disponibilità economiche, il consultorio come si comporta?
Ad Aied effettuiamo sempre i colloqui con la donna per comprendere se vi sia a monte una scelta già effettuata di non avere un figlio, ovvero vi sia più preoccupazione sul futuro di natura economica o legata alla solitudine della donna senza rete parentale. Il mio pensiero va ad una donna che proprio di recente dopo un colloquio con la nostra assistente sociale è riuscita a trovare una rete di supporto e ci ha portato i confetti per la nascita del suo bambino. Quando una nuova vita è desiderata, vince sempre anche per noi! Crediamo poi molto nella cosiddetta educazione alla contraccezione e insistiamo molto su questa ad ogni visita, proprio perché sappiamo quanto dolore rappresenti per una donna decidere per l’aborto. Ma non giudichiamo mai la libera scelta.
La Francia ha festeggiato con la scritta “Mio il corpo, mia la scelta”. Quanto siamo distanti in Italia da questo slogan?
Lontanissimi! Ricordiamo lo slogan “l’utero è mio e me lo gestisco io” che pensavamo ormai conquistato ma … il corpo delle donne è considerato qualcosa di pubblico, di non disponibile per la donna, che vale meno di quello di un uomo. Questo è il grande problema: sei fatta per fare figli, quindi non decidi tu, ma decidiamo noi (le istituzioni, i politici, ecc….). La distanza tra le istituzioni, la Chiesa e invece le singole persone sta diventando enorme in questo paese, e mi auguro che parta presto un nuovo movimento di massa che sia volto a rivendicare la libertà delle donne e dei loro diritti sessuali e riproduttivi. Solo così, ci avvicineremo alla Francia.