Herat è caduta. L’ultima di 11 città capoluogo conquistata dai talebani in una settimana. Kabul dista poco più di 100 km, il governo tratta coi rappresentanti dei fondamentalisti, ma invano: dopo 40 anni di guerra civile e gli interventi sovietici e occidentali, l’Afghanistan torna al punto di partenza, a un passo dal baratro. Fausto Biloslavo è stato il primo reporter italiano a entrare a Kabul liberata dai talebani dopo l’11 settembre, prova a spiegare la situazione nel paese più tormentato della storia contemporanea.
Biden sembra confermare, entro l’11 settembre gli americani si ritireranno dall’Afghanistan. Può tracciarci un bilancio sul senso storico di 20 anni di missione?
Non possiamo dimenticare il perché dell’avvio della missione: è scattata perché Osami bin Laden, ospite dei talebani, proprio dall’Afghanistan aveva ordito l’attacco alle Torri gemelle. Siamo rimasti 20 anni e, come dimostrano questi giorni, la guerra l’abbiamo persa. È un dato. Molto è stato fatto: ci sono state elezioni “afghane”, non proprio democratiche ma comunque un passo avanti rispetto alla stagione precedente; stessa cosa è avvenuta sul fronte dei diritti delle donne, della scolarizzazione e della salute. Quanto di buono è stato fatto, rischia di essere perduto con la sconfitta che rischia di diventare cocente se i talebani dovessero tornare al potere armi in pugno. Al di là di quello che dice Biden, l’Afghanistan si è trasformato in un nuovo Vietnam per gli Stati Uniti.
Che ne sarà del paese dopo il ritiro degli occidentali? In quanto tempo i talebani torneranno al potere?
L’intelligence americana ha stimato la caduta di Kabul in un periodo compreso tra i 30 e i 90 giorni. Penso che quello che resta delle forze governative e delle forze di difesa popolare possano rallentare questa inesorabile avanzata talebana. In queste ore sono in contatto telefono con un ufficiale dei corpi speciali afghani a Ghazni, che è caduta ma dove si sta ancora combattendo. In un ottimo italiano, dato che è stato addestrato all’Accademia militare di Modena, mi ha assicurato che lui e i suoi uomini sono decisi a combattere fino alla morte. Non tutto l’esercito afghano si sta sciogliendo come neve al sole, è però indubbio che ci sono enormi responsabilità occidentali, dato che in vent’anni non siamo riusciti a creare quell’ossatura di sicurezza che avevamo sbandierato. Senza l’appoggio militare occidentale, il governo afghano perde 10 capoluoghi di provincia alla settimana, più del 65% del territorio, i talebani sono a 100 km da Kabul che sta diventando sempre più insicura. Si parla di un mese perché sarebbe legato alla data dell’11 settembre, un anniversario che rischia lasciare un ricordo ancor più amaro.
Dopo venti anni di conflitti che Trump a definito “stupide” crede che gli Stati Uniti e la Nato torneranno a fare missioni “boots on the ground”?
Non penso si possa parlare di guerre “stupide”, occorre sempre ricordare il punto di partenza e gli errori nella gestione di una missione che però aveva le sue ragioni storiche. Nei primi mesi di guerra, tra il 2003 e il 2004, Stati Uniti e Nato pensavano di aver vinto in Afghanistan e si sono dedicati a invadere l’Iraq, diminuendo le forze nel paese, quando invece si sarebbe potuto dare la spallata definitiva ai talebani. Adesso siamo felici di non fare più guerre stupide, ma rischiamo di fare i conti con un nuovo emirato talebano come nel 1996. Le guerre di oggi sono asimmetriche, non dichiarate tra stati e credo che il mondo continuerà a essere confuso e non in pace, quindi è possibile che in un futuro prossimo ci siano nuovi interventi militari. Adesso è il momento della smobilitazione generale, non so quanto durerà a lungo.
Perché l’Afghanistan nella storia ha sempre avuto un ruolo centrale nella geopolitica globale?
Dall’Ottocento è “la tomba degli imperi”, solo Alessandro Magno passò quasi indenne nel paese. È stato li teatro del Grande Gioco, lo scontro diplomatico, di intelligence e anche militare tra impero russo e britannico nel corso di tutto il XIX secolo. Inglesi, russi prima e sovietici poi e infine americani hanno provato a controllare questo crocevia tra occidente e oriente. Nessuno ci è riuscito.
Dopo l’abbandono degli occidentali, il paese potrebbe essere in balia di attori regionali e globali?
Un missionario italiano dell’Ottocento diceva che “l’Afghanistan è un vaso di coccio tra vasi di ferro”. Sicuramente il paese tornerà a essere al centro delle mire dei vicini attori. I talebani si sono già mossi per assicurarsi una continuità politica dopo la vittoria militare: hanno incontrato i russi a Mosca per garantire di non interferire sulla stabilità delle vicine ex repubbliche sovietiche, come invece avevano fatto in passato; sono andati a Pechino, a cui interessa una zampa del Dragone in Afghanistan e impedire che qui vengano accolti Uiguri e miliziani del confinante Xinjiang. Si dice che la recentissima conquista di Herat da parte dei talebani sia stata agevolata dalle milizie iraniane, il paese sciite vorrebbero mettere mano sulle dighe del sud est dell’Afghanistan. In un paese che ormai da quarant’anni, dal 1978, conosce una guerra civile senza fine, sono molteplici gli interessi che si scontrano e si riformulano tra vari attori internazionali. Iran, Pakistan, Cina e Russia sono enormi vasi di ferro.
La caduta del paese in mano ai talebani che risvolti potrebbe avere sul fronte terrorismo?
Non credo che i talebani faranno l’errore di ospitare in casa un nuovo bin Laden come negli anni Novanta, ma nel paese permangono 11 sigle terroristiche. Rimane il fatto che il ritiro è una pietra tombale, il segno che gli occidentali non ne vogliono più sapere dell’Afghanistan. Dal momento che non siamo in grado di garantire il benché minimo supporto aereo o terrestre alla lotta del governo, o qualche garanzia a quelli che fino a pochi mesi fa sono stati i nostri collaboratori, chi si fiderà più degli occidentali? È una vergogna che non riusciremo a portare in salvo i nostri alleati dalle ripercussioni talebane. Hanno lavorato per anni spalla a spalla con i nostri soldati e i nostri funzionari, ma nemmeno questo basterà a mettere al sicuro loro e le loro famiglie. Dal 2015, con l’avvio della prima ondata della furia islamista, abbiamo accolto in Italia solo 291 perone, 81 nuclei famigliari che provenivano dalla regione di Herat. In quei luoghi, dove per vent’anni è stata stanziata la base italiana (chiusa lo scorso 8 giugno) ci sono oltre 50 interpreti che sono già tagliati fuori. Lo stesso vale per tutti i collaboratori di tutti i paesi della grande coalizioni. La vergogna sarà doppia e il ritiro avrà conseguenze in tutto lo scacchiere mediorientale.
Tornerà in Afghanistan?
Spero di sì, mi sto organizzando. Sinceramente mi preoccupa più il Covid che i talebani