Perché leggere questo articolo? Si pensa ai Savoia e viene in mente Torino. Idem per gli Agnelli. Per Bruno Babando sono le due “case reali” di cui la città è orfana.
Si pensa ai Savoia e viene in mente Torino. Logico che la città sabauda per eccellenza sia, a maggior ragione, osservata speciale pochi giorni dopo la morte di Vittorio Emanuele di Savoia, il “principe di Napoli” primo della sua casata a non ricoprire il ruolo di monarca dopo il referendum istituzionale del 2 giugno 1946 che privò della corona il padre, Umberto II. La camera ardente del Savoia sarà alla Venaria Reale e i funerali si svolgeranno in Duomo. Scelta che, a sinistra, ha provocato alcuni mugugni. Ma il clima dominante è quella di una “generale indifferenza”, dice a True-News Bruno Babando, giornalista e direttore de Lo Spiffero.
Babando nota “indifferenza” per la morte di Vittorio Emanuele
Babando, guida di una testata che è voce narrante e memoria storica della città e del suo sistema istituzionale, culturale, economico e di potere, con l’occhio di chi ha un retaggio “sabaudo e subaplino da generazioni” parla con attenzione del tema. Le polemiche emerse sui giornali non ingannino: “Vittorio Emanuele è morto circondato dall’indifferenza della città” per il trapasso del patriarca del legittimismo sabaudo contemporaneo. “Innanzitutto, perché personalmente è stato più un personaggio da jet set, da rotocalco che una figura di matrice storica importante”, nota Babando. In secondo luogo perché “poco della sua parabola personale, dopo il ritorno in Italia, è stato associato a Torino”.
La cesura tra Torino e i Savoia
Infine, il direttore de Lo Spiffero ricorda che “da tempo Torino ha elaborato il lutto dell’addio di Casa Savoia. E del resto”, aggiunge Babando, “già in almeno due momenti la cesura tra la città e la storica casa monarchica si è fatta sentire”. A cosa si riferisce Babando? Alle due svolte importanti con cui Torino si è fatta sempre meno associata ai Savoia. “La prima data da ricordare è il 1865: l’anno dello spostamento della capitale da Torino a Firenze che fu vissuta in città come un tradimento”. Babando ricorda che “la scelta fu imputata soprattutto a Casa Savoia”, che da allora fu sempre meno associata nei fatti alla città. Ma “la vera svolta fu il trapasso dalla prima casa reale di Torino, i Savoia, a quella che per un secolo ne ha segnato maggiormente la storia, gli Agnelli, consumatosi nel primo ventennio del secolo scorso”.
Dalla Casa Reale, i Savoia, alla Real Casa dell’industria, gli Agnelli. Da Stupinigi a Villar Peroso. Un connubio oggi accomunato maggiormente dal graduale distacco dalla città di John Elkann, cosmopolita erede dell’impero che fu dell’avvocato Giovanni Agnelli. “Si può dire che col tempo i cavalli vapore hanno sostituito i cavalli delle carrozze come referenti della Torino che cercava sempre un re”, nota Babando.
Torino dai Savoia agli Agnelli
“Del resto, all’inizio la Fiat degli Agnelli nacque sulla scia dell’alleanza tra la storica nobiltà sabauda e componenti della rampante borghesia cittadina“. Un’alleanza che portò la firma del dualismo tra i più noti fondatori del gruppo automobilistico: da un lato, il primo Giovanni Agnelli, simbolo dell’imprenditoria subalpina; dall’altro, la figura del nobile torinese Emanuele Cacherano di Bricherasio, “la cui morte in circostanze misteriose nel 1904 aprì la strada al completo controllo della Fiat da parte degli Agnelli”. I quali, nel secondo dopoguerra, consolidarono il ruolo di punto di riferimento della città.
Del resto, nota Babando, “negli anni gli Agnelli hanno assunto tutta la conformazione di una casa reale. Come se fossero diventati il ramo cadetto della famiglia delle teste coronate sabaude. Riti, liturgie e vezzi vari degni di una famiglia reale con una dinastia da preservare hanno contraddistinto la storia degli Agnelli”, nota Babando. Un esempio tra tutti? “Il legame tra la famiglia e un’unità militare connessa alla storia sabauda come il 1° Reggimento “Nizza Cavalleria”, in cui servì il primo Giovanni Agnelli” e in cui militarono nel loro periodo sotto le armi sia l’Avvocato che il fratello Umberto Agnelli. Gli Agnelli costruirono attorno alla Fiat “un mondo, un sistema di welfare, un’identità: dalle colonie Fiat alla squadra di casa, la Juventus, usata per plasmare l’identità torinese degli operai del Sud tutto contribuì a lungo a una presa quasi monarchica sulla città”.
La città orfana di due monarchie
La città è dunque oggi “orfana non di una monarchia, ma di due”, sottolinea Babando. Dalla corte dei Savoia a quella degli Agnelli, “la presenza di una monarchia ha contraddistinto una città che è e resta una corte. Ove anche lo spirito della borghesia e del mondo economico obbedisce a un principio gerarchico, che cerca sempre un re, un comandante attorno a cui stratificarsi”. Qualcosa di diverso da altre città, “a partire da Milano”, ci ricorda il direttore. In questa fase storica, dunque, la morte di Vittorio Emanuele appare come un fenomeno di minor impatto sulla città rispetto al tramonto di Mirafiori. Emblema del tramonto del legame con Torino di una dinastia che “con John Elkann, piaccia o meno”, ricorda Babando, “segue le logiche di un altro tipo di capitalismo”. In cui per il territorio subalpino forse non c’è più spazio.