I sondaggi finali per le elezioni di domenica 25 settembre hanno ipotizzato come possibile una rimonta del Movimento Cinque Stelle guidato da Giuseppe Conte che le dinamiche politiche delle ultime settimane permettono di ritenere consolidata. Dato per morto pochi mesi fa e resuscitato dalla scissione di Luigi Di Maio, dalle mani libere dall’agenda Draghi e dai distinguo che hanno consentito lo sganciamento dal governo di unità nazionale, il Movimento targato Conte è rinato conquistando posizioni in difesa delle sue roccaforti nel Sud e delle sue proposte tradizionali sul welfare, l’ambiente, il pacifismo. Presentandosi come un attrattore di voti sparsi a Sinistra, tanto da essere definito il “Mélenchon italiano”.
Conte non è l’equivalente italiano del leader de La France Insoumise, spiega a True News il giornalista e politologo Paolo Mossetti, perché attrae voti senza federare forze, ma piazzandosi a sinistra del Partito Democratico ha fatto da calamita per un ampio elettorato che ora può consolidare alle urne la sua rinascita.
Mossetti, Giuseppe Conte ha posizionato il Movimento Cinque Stelle in una posizione più a sinistra del Partito Democratico: il partito del Decreto Dignità contro quello del Jobs Act. Ritieni questa una forma sufficiente per un “ritorno alle origini” dopo anni di governo?
Conte ha capito che esiste un elettorato di sinistra in fuga dal Partito Democratico, perché lo trova assolutamente inadeguato a rispondere alle domande del nostro tempo. Un elettorato non enorme, ma senza casa politica e disposto a credere alla conversione del M5S: un partito populista di sinistra, ecologista e pacifista, anche se non sente il bisogno di esibire queste etichette. Sì, questa forma lo avvicinerebbe a quella delle origini, se per origini intendiamo gli anni a cavallo tra il 2009 e il 2013. Quello che conquistò il 32 per cento era un’altra cosa.
Molti parlano per Conte di una svolta alla Mélenchon: svolta netta verso una Sinistra di piazza, ambientalista e progressista, e dialogo aperto con le realtà radicali ed ecologiste. Da Unione Popolare sono vari distinguo. Nei prossimi mesi come si svilupperà il dialogo tra i campi?
Sono anche io convinto che se c’è in questo momento qualcuno in grado di fare il «Mélenchon italiano», ossia un federatore delle sinistra variamente antagoniste, quello è Conte, per quanto assurdo possa sembrare. In realtà però segnali espliciti di apertura da parte di Conte verso le altre formazioni già esistenti non se ne sono visti. Il problema è anche, se non soprattutto, il sistema elettorale: il M5S aveva pochi collegi in cui partiva avvantaggiato, erano quasi tutti al Sud e lì doveva dare la priorità ai caporioni del partito che non vorranno farsi scaricare, specie dopo la riduzione del numero di parlamentari.
All’interno di Unione Popolare, la sinistra-sinistra di Potere al Popolo è stato il gruppo più contrario a un accordo con il M5S perché i militanti non volevano smazzarsi in campagna per poi farsi assorbire dai grillini. C’è stata comunque una silenziosa transumanza di molti esponenti della sinistra radicale storica verso il M5S, questo proseguirà anche dopo le elezioni e sarà un fenomeno interessante da seguire.
Unione Popolare, Sinistra Italiana-Verdi e via dicendo: il mondo radicale è diviso e tra PD, M5S e terze vie mai quanto oggi la strada che la sinistra può seguire è eterogenea. Ritieni positivo per la politica del campo il fatto che il mantra “tutti contro la destra” non sia prioritario ma si parli di progetti?
Credo che nessuno di questi partiti a sinistra, per quanto pieni di volenterosi e di gente preparata risposte coraggiose, profonde e strutturate circa le sfide che ci attendono nei prossimi decenni, anche sotto il profilo culturale: si pensi alla questione europea, alla cancel culture, o alle alleanze internazionali, al rapporto con la Cina. Pur con enormi contraddizioni, paradossalmente una risposta “organica” alla società del controllo sociale e del “vincolo esterno” viene dalla galassia sovranista. Sotto forma di un’alleanza tra estrema destra ed estrema sinistra che sposa proprio le definizioni “demonizzanti” che gli erano state attribuite dai giornalisti.
Una risposta che suona come un nuovo “vaffa” di tipo grillino, ma molto più radicalizzato e ideologico, anzi quasi monomaniacale, di quella prima ondata populista. Tra progressisti e sinistra libertaria ci si divide per lo più circa il modo di fare politica. C’è chi preferisce aggregazioni di centri sociali e lo stare fuori dal Parlamento; l’attivismo come vocazione quasi religiosa, e chi invece tende a finire sempre “per senso di responsabilità”. Come una costola del PD. In ogni caso credo che molti elettori di sinistra finiranno per votare per Conte: un po’ perché stanchi di restare fuori dalle istituzioni, un po’ perché convinti che certe istanze sociali ormai siano raccolte più dal malconci grillini che dagli antagonisti “professionali”.
Possiamo pensare che la visione comune sull’Ucraina possa essere un polo di attrazione nella fase post elettorale? Ritieni possibile la nascita di sinergie in nome del pacifismo?
Credo che un’escalation sul terreno sia improbabile prima dell’inverno e quindi il tema finirà il secondo piano per tutti i partiti. La stessa questione energetica ormai prescinde da quella delle sanzioni, e questo lo sanno tutti. Un partito riunito attorno alla parola “pace” poteva forse nascere qualche mese fa. Magari anche con il contributo di intellettuali ormai non più organici. Come quelli che gravitano attorno alla Commissione di Ugo Mattei e Massimo Cacciari, con Santoro e Freccero come promotori.
Comunque, se ci sarà qualche “campo largo” a sinistra del PD mi pare ovvio che dovrà avere il ritorno delle trattative con la Russia e la diffidenza verso il mainstream filo-Ucraina tra i punti focali. Non temerei invece derive troppo filo-putiniane tra i grillini e la sinistra antagonista di Unione popolare. Che ha già fatto un bel po’ di “pulizia” al suo interno (e parecchi nemici) da questo punto di vista.
Il cattolicesimo democratico e pacifista, invece, che posizione prende? Demos andrà col Pd, ma le realtà di base e il posizionamento di quotidiani come “Avvenire” non sembra essere univoca in questo senso. Conte può coinvolgere parti di questo mondo?
Se Conte eviterà un ritorno alla comunicazione ostile nei confronti dell’immigrazione clandestina; e l’opposizione del PD sarà incentrata sul supporto insincero alla NATO delle destre credo che il mondo cattolico di sinistra potrebbe diventare un interlocutore stabile.
Di fronte a un centro liberale, dal Pd a Calenda, che agita lo spauracchio Meloni, in caso di vittoria del centrodestra; le forze a sinistra in definitiva possono recuperare terreno nel dibattito parlando di temi concreti?
Potrebbero, se costruissero un manifesto ambizioso; scegliessero un leader che non sia un inetto; avessero il coraggio di abbandonare il “tutti dietro a Draghi”. Che ha caratterizzato il centrosinistra degli ultimi anni, che non si fissino sul “decoro” ma neppure esaltino il degrado. E soprattutto avessero soprattutto il coraggio di dire la verità agli elettori, sui limiti del nostro modello di sviluppo e sugli arcana imperi del nostro modello di democrazia.