Chi è Annagrazie Calabria? La si può trovare alla presentazione del Rapporto sulla filiera della sicurezza in Italia, realizzato da Federsicurezza e Censis, che mettono nel mirino andamento dei reati durante l’emergenza e le paure degli italiani. Oppure intervistata sui siti specializzati in security dove parla di aggiornare il contratto collettivo nazionale della vigilanza privata alla luce de “l’importante ruolo svolto nella gestione del social distancing e della vigilanza sul corretto uso dei dispositivi di protezione”.
Oppure ancora dal suo scranno alla Camera dei Deputati. Dove verga come prima firmataria leggi “in materia di videosorveglianza negli asili nido e nelle scuole dell’infanzia nonché presso le strutture socio-assistenziali per anziani, disabili e minori in situazione di disagio”, modifiche del codice penale in materia di diritto di difesa, mozioni, emendamenti e ordini del giorno dove impegna il governo “a procedere tempestivamente all’istituzione di sistemi di videosorveglianza a circuito chiuso negli asili nido e nelle scuole dell’infanzia”.
Annagrazia Calabria, figlia del matrimonio tra Luigi Calabria e Cynthia Alfonsi
L’onorevole Annagrazia Calabria ha una parola d’ordine: la sicurezza. Classe ’82, nata a New York dal matrimonio fra l’ex direttore finanziario di Finmeccanica, Luigi Calabria (ma anche Ansaldo, Poste, Mediocredito Centrale, Invitalia) e la coordinatrice regionale del Lazio del Movimento Azzurro Donna, Cynthia Alfonsi, la deputata di Forza Italia eletta per la prima volta nel 2008 a soli 26 anni, è fra le più “coccolate” da Federsicurezza in relazione alla sua attività politica. Anche nell’anno del Covid: 3,4 miliardi il fatturato delle imprese del settore secondo l’ultimo report.
Il legame tra Annagrazia Calabria, sicurezza e Finmeccanica
Un tesoretto dominato dalle medie e grandi imprese, che insieme producono oltre il 90% del volume d’affari. Ma non è tutto oro quello che luccica dicono gli addetti lavori. Che lamentano un pesante impatto economico della pandemia con il Covid che ha agito da moltiplicatore di criticità: oltre il 60% delle imprese ha rilevato un peggioramento e il 31,3% teme di dover chiudere i battenti. Serve un recovery plan della sicurezza? Le aziende hanno i loro scudieri in politica. Che sottolineando l’investimento tecnologico e la propensione alla digitalizzazione del settore sono riusciti a farlo rientrare fra quelli “resilienti” appetibili per il Recovery Fund italiano.
Sicurezza e vigilanza privata, un settore che non conosce crisi
Poco importa che gli ultimi anni siano stati una cavalcata trionfante per il business. Nel 2017? Il settore della vigilanza privata propriamente detta contava su 1.594 imprese, in crescita dell’11,3 per cento dal 2011 e del 2,4 per cento anno su anno, per un totale di 64.443 dipendenti, aumentati del 16,7 per cento dal 2011 e del 3,2 per cento dal 2016, con una media di 40 operatori per ogni azienda.
Se si aggiungono le aziende per la sorveglianza non armata ecco che i dati disponibili mostrano l’andamento “esplosivo” del mercato negli ultimi anni: le imprese attive sono 1.424 contro le 215 del 2011, con una crescita del 562,3 per cento. Nello stesso periodo i dipendenti sono passati dai 3.478 ai 21.761 del 2017, aumentando del 525,7 per cento.
Tutto ciò mentre i reati denunciati in Italia diminuivano (passando dai 2,7 milioni del 2008 ai 2,2 milioni del 2017, seppur non in maniera costante ogni anno) ma aumentano le licenze per porto d’armi: 1,4 milioni nel 2017, con un più 20,5 per cento dal 2014.
Soprattutto licenze per caccia e sportive che il rapporto di Federsicurezza e Censis mette in relazione “con i successi dei nostri tiratori nelle diverse competizioni internazionali”, pur scrivendo che è “difficile non mettere in relazione questo aumento della voglia di sparare anche con la diffusione della paura e con la tranquillità apparente che può derivare dal saper maneggiare un’arma da fuoco”.
Se si aggiungono le licenze per difesa personale (18.452), le guardie giurate (56.062) e gli operatori di corpi di polizia e forze armate emerge come circa 1,9 milioni di italiani possiedono regolarmente almeno un’arma da fuoco. Quasi 4,5 milioni di persone, fra cui 700 mila minori, se si tiene conto del “fattore” famiglia.
Serve davvero un Recovery per la sicurezza? Per risposte: citofonare Annagrazia Calabria.