Nella giornata di mercoledì 4 maggio è stato nominato il successore di Federico Cafiero de Raho alla guida delle Procura nazionale antimafia. Giovanni Melillo, negli ultimi cinque anni Procuratore capo di Napoli, è stato eletto a maggioranza questa mattina dal Consiglio superiore della magistratura, superando per preferenze Nicola Gratteri, procuratore della Repubblica a Catanzaro, e Giovanni Russo, già alla DNAA come procuratore vicario. Dopo cinque anni di mandato, è tempo di bilanci sulla guida dell’Antimafia di Cafiero de Raho.
Un’Antimafia equilibrata
Parola d’ordine: profilo basso. Quando Cafiero de Raho è stato scelto all’unanimità dal Consiglio superiore della magistratura per guidare l’Antimafia italiana, nel 2017, ha impostato una strategia precisa volta a soddisfare quattro necessità. In primo luogo, depoliticizzare il più possibile la sua struttura. Ovvero, non farla entrare nelle lotte quotidiane di rilettura storica degli esiti delle sentenze o di concessione delle patenti da “Antimafia da salotto“.
In secondo luogo, costruire un approccio orientato ai risultati. Pochi orpelli, molta sostanza. Cafiero lo ha dimostrato nei primi mesi del suo mandato. Chiamato a commentare la sentenza di primo grado della “Trattativa” – poi risoltasi in appello in un nulla di fatto – nel 2018 ha risposto alle critiche di chi contestava la mancata discesa in campo dell’associazione di categoria dei magistrati (Anm) e del Csm sul processo, limitandosi a dire che “è quello che solitamente avviene per non interferire in un processo. Un loro intervento finirebbe per alterare i meccanismi processuali stessi, che vedono protagonisti le parti dell’accusa e della difesa”.
Ovvero, conta il risultato, non la narrazione. I continui racconti di cronaca su latitanti arrestati, carichi di droga sequestrati, cosche smantellate parlano chiaro. Il rapporto 2021 della Polizia federale elvetica (Fedpol) cita la riapertura della pista sull’inchiesta riguardo le attività delle mafie italiane in Svizzera come una conseguenza dell’impegno dell’Antimafia italiana nel guardare questa partita anche oltre i confini nazionali.
Gioco di squadra senza protagonismi
Cafiero ha poi creduto nella ‘squadra Stato‘ che è fatta da magistrati, da poliziotti, carabinieri, finanzieri e, in ultima istanza, giudici come unico insieme in grado di portare a risultati la lotta alla mafia. Il modello della “squadra Stato”, ha dichiarato ad Avvenire, “vuole coinvolgere i cittadini, anche quelli più timorosi vengono fuori perché vedono che ce ne sono tanti altri. si riconoscono e sono pronti ad operare”.
Infine, l’Antimafia di Cafiero è stata poco avvezza ai protagonismi. “Non è consentito al pubblico ministero, in prossimità della sentenza, sostenere una tesi che orienti il dispositivo, o anche indirettamente lo condizioni, preparando la folla a una decisione che, se diversa da quella ipotizzata, venga interpretata come prodotto di timori del giudice o addirittura di condizionamenti”.
Scrisse Cafiero De Raho su La Stampa il 13 dicembre 2021 rispondendo direttamente a Nicola Gratteri che sul Corriere del 23 gennaio 2021 dichiarava: “Noi facciamo richieste, sono i giudici delle indagini preliminari, sempre diversi, che ordinano gli arresti. Poi se altri giudici scarcerano nelle fasi successive non ci posso fare niente, ma credo che la storia spiegherà anche queste situazioni”. Pochi mesi prima era stato Catello Maresca, nel duplice ruolo di magistrato e candidato sindaco a Napoli, ad essere strigliato. Nessuna fuga dal gruppo è stata consentita senza reprimende.
Il senso dell’Antimafia oggi
L’Antimafia, dopo cinque anni, appare come una centrale operativa capace di muoversi dunque con profilo basso e mentalità orientata ai risultati nel coordinare il lavoro della macchina investigativa sparsa sul territorio nazionale e di adattarla ai tempi che corrono. Non è più solo la Mafia tradizionale a trazione della classica Cosa Nostra siciliana a essere nel mirino, ma al tempo stesso anche di ‘ndrangheta e camorra e dei rispettivi traffici globali nel settore della droga e delle armi c’è maggiore conoscenza.
Lo Stato è presente, più forte, da Napoli alla Calabria. L’esperienza pregressa di Cafiero a Reggio Calabria gli ha permesso di capire come siano i devoti della Madonna di Polsi, oggi, ad avere il maggior peso sistemico nel mondo criminale mafioso. Ma anche la mafia nigeriana, con i suoi rituali e la sua focalizzazione sul traffico di esseri umani, i legami tra mafie italiane e bande dell’Est e le attività della mafia foggiana, tra le più violente e tribali, hanno visto un’offensiva notevole scatenata dall’Antimafia di Cafiero.
L’Antimafia che sarà
L’Antimafia nazionale ha poi esteso il suo raggio d’azione al digitale: cybersicurezza, metadati, paradisi fiscali. Cafiero ha lanciato allarmi sulle infiltrazioni economico-aziendali nei gangli dei decreti post-Covid: ristori, Superbonus, Pnrr hanno portato Cafiero a prendere una posizione chiara contro ogni semplificazione eccessiva, ricordando che la prevenzione si fa con leggi che impediscano alle mafie di utilizzare scorciatoie per innervarsi surrettiziamente nel sistema economico – produttivo. I controlli a posteriori non sono efficaci.
“Oggi è più che mai necessario – ha scritto Libera in un rapporto – unire forze e competenze, vigilare sulla corretta distribuzione dei fondi europei per contrastare non solo la pandemia ma anche le organizzazioni criminali, parassiti della società favoriti da quelle forme virali che da troppo tempo infettano la democrazia: complicità, disuguaglianze, divisioni”. I
l senso dell’Antimafia dopo Cafiero sta dunque nel tentativo di rafforzare la “squadra Stato” e di tenerla al riparto da frazionismi e correntismi interni alla magistratura. La divisione nell’elezione di Melillo apre sicuramente a dei dubbi su possibili “guerre” intestine tra un’Antimafia pragmatica e una militante, più giacobina, che sarà difficile tenere a freno ora che per il 70enne Cafiero, moderatore e paciere di natura, si sono aperte le porte della pensione.