Quarantotto ore per decidere del futuro dell’Ordine degli Architetti di Milano. E al momento hanno votato in 1.900. Su 12mila iscritti. La maledizione dell’astensionismo che il 3-4 ottobre ha colpito la politica, ora si abbatte su una delle classi professionali e intellettuali più importanti della città. Loro che immaginano e disegnano la metropoli del futuro. Ma a quanto pare dell’organismo di rappresentanza interessa a meno di 1 su 6. E si votava online, non esattamente un fastidio.
Ordine degli Architetti, la maledizione dell’astensione
Problema noto, quanto ignorato, dai diversi Ordini dei professionisti italiani. Qualcuno dice che si “siano fatti casta”, con un linguaggio avanzo del grillinismo non più imperante nel Paese. Certo è che il vuoto di rappresentanza esiste. E conta. Basti pensare che la sola Fondazione dell’Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori del capoluogo lombardo, l’ente senza fine di lucro che valorizza la professione guidata dal presidente del cda Leonardo Cavalli, maneggia 900mila euro all’anno circa. L’Ordine di via Solferino invece un paio di milioni. Ma più dei soldi – che sono spiccioli a Milano in questa entità – qui conta il luogo: spazio di dibattito, di relazioni e lobbying, dove si possono distribuire o suggerire incarichi, dove si fa “cultura” e in certo senso “egemonia”, sicuramente politica. Con le Università, a cominciare dall’eccellenza Politecnico del dominus incontrastato Alessandro Balduzzi, ex assessore all’Urbanistica. Come nelle collaborazioni con gli altri atenei per diventare multidisciplinari e tran-settoriali, con la Consulta Regionale Lombarda degli Ordini, con soggetti e sviluppatori privati di Milano, con musei, fondazioni, enti pubblici. E tanto altro.
Di tutto ciò a 10mila architetti iscritti che ogni staccano obbligatoriamente il loro obolo all’Ordine pare non interessare nulla. La vivono come una tassa imposta e basta.
Architetti di Milano: la città che cambia
Di temi su cui riportare l’attenzione gli ultimi mesi ne hanno offerti parecchi: la città post Covid – certo – con le sue nuove infrastrutture sanitarie, con la gentrification e gli investimenti promessi (13 miliardi in 10 anni si diceva pre-pandemia, ora di più), con le nuove deleghe inaugurate dalla appena insediata giunta di Milano guidata da Beppe Sala: l’assessorato alla Rigenerazione urbana dell’architetto – non a caso – Giancarlo Tancredi. E quella al Piano quartieri “indossata” da Pierfrancesco Maran assieme alla Casa. Certamente il superbonus con le sue opportunità e le sue storture da moral hazard (capita quando a pagare è qualcun altro, come per il Superbonus) come anche il rischio che in nome dell’efficienza energetica si impatti male e pesantemente su patrimonio edilizio dal valore artistico-culturale immenso.
O ancora: la città cambia, rapidamente. San Siro e il rinnovato entusiasmo del presidente del Milan Paolo Scaroni per stadio e nuovo quartiere associato, mentre altri pezzi grossi della professione in città come Massimo Roj propongono alla politica il loro piano per la riqualificazione degli alloggi popolari nel quartiere dello stadio Meazza. Scalo Romana, area adiacente e il business district di Covivio che fa il record di incassi con i nuovi headqaurter delle principali società pubbliche e private, domestiche e internazionali, da A2A a Snam. Rogoredo e Santa Giulia con le Olimpiadi. Reinventing cities e le aree dismesse. Expo con Cascina Merlata. Il quartiere a sud di Fondazione Prada tristemente ribattezzato “SOUPRA” (South of Prada), per fare concorrenza a NoLo (North of Loreto), con un po’ di provincialismo che almeno strappa un sorriso strizzando l’occhio all’inglese. Se negli Stati Uniti hanno inventato l’associare i nomi dei brand ai palazzetti dello sport (l’American Airlines Arena, AT&T Center etc.), Milano trasforma piazza Gabrio Rosa – patriota italiano – in “South of Prada” o almeno nella perifieria di Soupra. A ognuno il suo.
Architetti, quei silenzi sullo sfruttamento e partite iva
Parlare di architettura, ma ancora più di architetti, per il rinnovo dei veritici dell’Ordine avrebbe avuto un senso alla luce dei veri e propri scandali sullo sfruttamento del lavoro emersi in questi mesi negli studi professionali più blasonati della città, come ripetutamente raccontato da True-News: da Piuarch allo studio David Chipperfield. Da chi sottrae il bonus 600 euro ai suoi “fake” dipendenti (sono false partite iva) giocando anche alla povera vergine quando il bubbone esplode prima sui social e poi sui giornali, dicendosi stupiti delle polemiche, fino a quelli che scrivono dei regolamenti aziendali deliranti e chiedono il lavoro notturno a parità di stipendio. Una serie di casi ormai troppo cospicua per parlare di “devianza” dentro a un settore sano. Piuttosto un “sistema”. Che si regge sullo sfruttamento di più o meno giovani iper qualificati. Lo fa per rimanere in piedi, non sempre e non solo per avidità (anche se esiste). E allora si potrebbe aprire uno sprazzo di dibattitto su quali sono i prezzi che vengono praticati alle committenze finali, ai grandi clienti dei grattacieli, delle arene e degli scali ferroviari, piuttosto che accapparsi 600 euro dell’Inps a una partita iva pur di rimanere sul mercato. A quale prezzo si vincono le gare e i masterplan? Questo bisogna chiedersi.
Di tutto ciò però non si parla. L’Ordine non ne vuole parlare, nonostante nel tempo abbia subito la mutazione genetica che ancora oggi lo caratterizza: da organo che dovrebbe vigilare a favore del privato cittadino sull’attività dei professionisti, a corporazione para-sindacale che per lo più difende o comunque fa gli interessi dei suoi iscritti più potenti. Davanti agli scandali qualcuno ha chiesto spiegazioni e timide prese di posizione, piena di “se”, “ma”, distinguo, c’è stata. Perché è pur sempre un’élite progressista quella degli architetti, dove le cose si fanno ma non si dicono e quando emergono ce ne si dissocia pensando di fare bella figura. Ci sono noti architetti dei vari Saloni meneghini che di fronte alle segnalazioni sullo sfruttamento hanno rilasciato interviste al vetriolo contro i colleghi parlando di una “ giusta gogna mediatica”. Che però attuano gli stessi comportamenti nelle loro imprese
Ordine degli Architetti: i nomi per il post Paolo Mazzoleni
Quando di fronte alle infinite segnalazioni all’Ordine ci si sente rispondere così: “Non abbiamo funzioni né di magistratura, né di sindacato”. Parole e musica di Stefano Tropea, consigliere uscente dell’Ordine di Milano, scuola Iuav di Venezia. Formalmente ha pure ragione. Ma allora bisognerà spiegare a un architetto trent’enne che guadagna 1000 euro al mese lavorando 10 ore al giorno a che cosa serve la sua struttura e perché ne paga 200 all’anno solo per aver scelto una professione invece di un’altra. Discussione che è già andata in soffitta.
Ora la vera sfida è fra chi deve prendere la guida di via Solferino dopo l’addio del brillante Paolo Mazzoleni, che con il suo studio associato BeMA è destinato a lavorare parecchio nei prossimi anni. L’ultimo grande successo? La consulenza tecnico-urbanistica su scalo Romana – futuro epicentro dei Giochi olimpici invernali – ottenuta nel 2021. A 48 ore dall’addio di Mazzoleni siprova rivotare dopo il primo e il secondo turno elettorale che si sono svolti dal 23 settembre al 4 ottobre si sono conclusi senza il raggiungimento del quorum, rispettivamente con 1.381 voti e 1.177 voti.
Ora, con 1.900 e ancora un po’ di tempo a disposizione può essere la volta buona. In corsa ci sono varie liste e vari volti conosciuti in città. Da Giovanni Oggioni a Massimo Cella a Edmondo Jonghi Lavarini (è il fratello), passando per Lavinia Tagliabue, fino al “polemico” Emilio Battisti, l’ex portavoce dei Verdi in città Andrea Bonessa che ha dato l’addio alla politica proprio mentre il suo partito tornava a governare Milano. Ci ha già provato nel 2011 senza riuscirci, ora l’ambientalista punta a intercettare l’ondata “green” che a Milano sembra inarrestabile (Beppe Sala è un “verde”, il partito ambientalista prende il 5% senza troppo impegno).
Ingresso dalla porta principale anche per i più giovani. Il più rampante di tutti? Nell’ambiente si dice sia Alberto Bortolotti, Consigliere uscente e Architetto Iunior, che da CV “in questi anni si è occupato di valorizzare la sezione B e di promuovere i giovani architetti attraverso alcuni progetti come il Bando Giovani del Consiglio Nazionale, l’agevolazione della quota di iscrizione under35 e le attività del Comitato tecnico-scientifico Professione” dopo aver collaborato “con il Politecnico di Milano, la Fondazione Feltrinelli e diverse riviste e giornali tra cui Abitare, Pandora, Huffington Post e gli Stati Generali” e aver “svolto un apprendistato nello studio del Commissario Presidenziale per la Politica Architettonica della Corea del Sud Seung H-Sang e ha lavorato presso il Segretariato Generale del Parlamento Europeo e la Direzione Generale Arte e Architettura contemporanee e Periferie Urbane del MiBAC”. Autore del saggio “Modello Milano”? Una ricerca su alcune grandi trasformazioni urbane recenti, di lui si fa un gran parlare in città come giovane scalpitante. Ma bisognerà vedersela anche con un certo conservatorismo di fondo. Fare previsioni è impossibile. Si vota da un mese ma nessuno ha rumors che vadano oltre le chiacchiere da bar. Non resta che attendere 48 ore.