Perché questo articolo potrebbe interessarti? L’Argentina ha un nuovo presidente: Javier Milei. Definito anarco-capitalista, il leader conservatore è pronto ad inaugurare una nuova era. Vorrebbe dollarizzare l’economia del Paese e spingere sul pedale delle privatizzazioni, mentre in politica estera è fautore della convergenza con gli Usa. Lezioni per l’Italia da Buenos Aires.
Giorgia Meloni, fa sapere Palazzo Chigi, ha telefonato a Javier Milei augurandogli buon lavoro. Un lavoro che si preannuncia complesso, almeno a giudicare dalle proposte sventolate in campagna elettorale dal nuovo presidente dell’Argentina. L’economista 53 enne potrebbe infatti presto inaugurare una nuova era per il suo Paese. Smarcandolo dalla narrazione dei Brics, dal cosiddetto Sud Globale e dalla Cina. E avvicinandolo, al contrario, agli Stati Uniti.
Il futuro economico dell’Argentina di Milei
Milei, del resto, incarna uno strano binomio politico ed economico, a metà strada tra l’anarco-capitalismo e l’ultra liberismo. Ha ricevuto i complimenti da Donald Trump ed è ben visto da molti altri leader della destra populista. Meloni, pur rimarcando al suo interlocutore i profondi legami storici e culturali esistenti tra Italia e Argentina – dove vive la più grande comunità di italiani all’estero – è tuttavia attenta a mantenersi fuori da questa “internazionale conservatrice”.
Milei ha ottenuto il 55,7% dei voti, quasi 12 punti in più del rivale, il peronista Sergio Massa, fermatosi al 44,3%. Il nuovo leader argentino ha trionfato soprattutto nell’entroterra del Paese, in particolare nelle province di Mendoza, dove ha avuto il 71% dei voti, e a Córdoba, dove ha preso il 74,14%, ottenendo una vittoria superiore alle previsioni dei sondaggi.
La ricetta ultraliberista dell’Argentina
A parole, Milei ha più volte spiegato di voler tagliare il bilancio dello Stato. Come? Imbracciando simbolicamente una motosega, ma più realisticamente preparando una ricetta ultraliberista per Buenos Aires. Il punto è che l’economia dell’Argentina è sovraindebitata, con un’inflazione record e con il 40% della popolazione sotto la soglia di povertà.
C’è un altro aspetto sul quale vale la pena accendere i riflettori: la dollarizzazione sognata da Milei. Il Paese latinoamericano deve fare i conti con un rischio sistemico enorme e non ha in cassa quantità di dollari – ma più in generale di valuta estera – sufficienti per attuare un simile cambio di registro.
Lo dimostra anche un report pubblicato dall’Ice la scorsa estate. Già a luglio, l’Amministrazione Federale delle Entrate Pubbliche argentina era costretta a bloccare, o ritardare, i pagamenti delle esportazioni. Anche con aziende italiane. Il motivo? La mancanza di dollari, appunto.
Dai Brics alla convergenza con gli Usa
Come se non bastasse, a destabilizzare ulteriormente l’economia argentina è stata fin qui proprio la dipendenza dal biglietto verde. L’aumento dei tassi di interesse da parte della Federal Reserve statunitense, infatti, ha avuto come effetto collaterale l’apprezzamento del dollaro nei confronti delle altre valute, tra cui il peso argentino.
Non dimentichiamo, inoltre, che l’Argentina è sotto scrutinio del Fondo Monetario Internazionale (Fmi). Un po’ di numeri per inquadrare lo scenario? Il Paese ha un’inflazione pari al 142%, un debito pubblico da circa 420 miliardi di dollari, riserve monetarie limitate.
In più c’è un’enorme spada di Damocle sulla testa del governo argentino. Buenos Aires è indebitata direttamente con l’Fmi per un valore di 44 miliardi di dollari. Per sciogliere questi nodi, Milei ha promesso di tagliare “a colpi di motosega” la spesa pubblica (del 15%) e di avviare un programma di privatizzazioni per raggiungere la disciplina di bilancio richiesta dallo stesso Fmi.
Lezione Argentina per l’Italia?
Tutto questo si unisce all’ipotetica road map geopolitica di Milei. Niente più Brics (l’Argentina è stata invitata a prender parte al gruppo pochi mesi fa) o Sud Globale; sì ad una strettissima convergenza con gli Stati Uniti. Una scommessa rischiosissima. Anche perché la nazione ha rapporti economici più profondi con la Cina che non con gli Usa. Nel 2022, il totale degli scambi commerciali tra Cina e Argentina è stato di oltre 25,530 miliardi di dollari contro i 21,960 miliardi con l’Ue e i 21,250 miliardi con l’America del Nord. Abbandonare lo schieramento dei Paesi in via di sviluppo capitanato da Pechino per avventurarsi sull’imprevedibile strada del dollaro potrebbe essere pericoloso. L’Italia nel frattempo prende appunti su quello che farà l’Argentina.